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Marged Trumper: «Con la passione per l’India, ho creato una professione che mi rende felice»

di Valentina Tafuri
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«Se conoscessi una persona che mi stimola come l’India, la sposerei». A pronunciare queste parole è Marged Trumper, indologa, ricercatrice e docente di lingua hindi, di musica e canto indiani. Un’affermazione che testimonia la sua grande passione per la lingua, per la cultura e la civiltà indiana.

 

Da dove nasce questo interesse per l’India?

Non c’è stato un momento preciso. Sono stati diversi input, ricevuti sin da bambina. Mia madre ascoltava musica indiana, aveva degli abiti indiani acquistati a Londra, si interessava di cultura indiana, poi da ragazzina ho letto alcuni romanzi, come quelli di Kipling o il Siddharta di Herman Hesse. Questo è stato il primo approccio ma poi questa attenzione è rimasta latente fino al momento in cui ho dovuto scegliere cosa studiare all’università. A farmi decidere di studiare lingue orientali, e poi precisamente l’hindi, sono stati un documentario e l’incontro con una persona che mi disse «se dovessi scegliere, mi attirerebbe solo l’India». Mi fece riflettere e tutto è partito da lì. Scegliere è stato una conseguenza, visto che il mio interesse per l’India si era solo assopito. Poi è diventato qualcosa di più. Ho notato che, rispetto a diversi colleghi-studenti dell’università, che arrivavano al primo anno convinti di voler studiare una lingua orientale come l’hindi, io ero molto più tranquilla, meno “entusiasta”. Ma al terzo anno di corso siamo rimasti solo in 4 o 5. Questo perché per me lo studio non ha mai significato solo “prendermi una laurea”, c’era e c’è qualcosa di più profondo.

Aveva un blog, anzi più di uno, quando in Italia quasi non si sapeva ancora cosa fosse un blog. Che valore hanno avuto per far conoscere il suo lavoro?

Il blog è un mezzo di comunicazione che ho sondato fin da subito, nei primi anni 2000. Inizialmente, essendo un nuovo mezzo, non ho pensato a una formula precisa. Ne avevo uno dove raccontavo dei miei viaggi in India e uno anche sulla lingua hindi. Sono tutti in lingua italiana e questo è un po’ limitante per me che usufruisco di molti contenuti in lingua inglese o anche hindi, perché, ovviamente, il bacino di utenza che posso raggiungere con contenuti in italiano è più ristretto rispetto a quello rappresentato dalle persone anglofone. Per me però è importante usare l’italiano perché è importante far conoscere quello che faccio qui in Italia.

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In ogni caso, a farmi conoscere maggiormente per la mia professione è stato YouTube, che uso in maniera più consapevole per divulgare la mia attività. Quello che faccio è piuttosto particolare e quindi probabilmente raggiungo una nicchia di interessati. Ma alcuni video, come quello sull’arte dell’henné, hanno avuto tantissime visualizzazioni, specie per l’epoca: è impossibile che chiunque si interessi di henné in Italia non lo abbia visto.

Attualmente come cura la sua comunicazione personale?

Sono attiva specialmente su Instagram e su Facebook e quando ho più tempo libero dall’insegnamento, su YouTube con contenuti sulla lingua hindi e sulla musica indiana in particolare. Poi c’è il mio sito web che è più istituzionale ma rimanda comunque agli altri canali di comunicazione.

In che termini giovano o hanno giovato alla sua professione?

Svelerò un piccolo segreto. Spesso la gente posta contenuti per far sapere che fa delle cose o per dare una certa immagine di sé. Io mi sono chiesta, per quel che concerne il mio settore, «perché qualcuno dovrebbe iscriversi al tuo corso?» perciò ho pensato di postare contenuti in hindi per dimostrare che puoi imparare a parlare l’hindi bene, che non è una lingua difficile da imparare: piuttosto è difficile, persino per gli indiani, trovare un metodo d’insegnamento efficace. Perciò è difficile trovare un occidentale che lo parli bene e lo insegni bene. Quindi secondo me, il modo migliore per ottenere dei risultati, anche sui social, è far vedere come fai le cose ed i risultati arrivano. Infatti non reclamizzo i miei corsi ma poi la gente, vedendo i miei video, mi chiede di farli.

Quanto è importante per lei comunicare il proprio brand personale, anche per l’attività di docente?

Il web mi aiuta nella divulgazione e sono stata una delle prime in Italia a fare lezioni online. Ora sono un po’ una moda e una necessità, ma quando ho iniziato era rarissimo che un italiano accettasse di fare lezioni online, tanto che il più delle volte lavoravo con persone anglofone. A dir la verità, se non fosse stato per internet, probabilmente non avrei avuto i contratti di insegnamento che ho avuto. Nel senso che all’Università Statale di Milano, ad esempio, mi hanno conosciuto perché una studentessa aveva seguito un mio corso online e qualcosa di simile è successo anche con l’Università di Bologna. La “reputazione” online è stata importante anche perché ha un riscontro immediato. 

Ha dato un contributo a diverse pubblicazioni. Ha mai pensato di scrivere un libro sulla sua esperienza?

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Sulla mia esperienza no, ma ho in cantiere delle idee di tipo più didattico perché mi fa piacere rendere più facile l’esperienza a chi volesse intraprendere il mio stesso cammino. Anche per il campo della ricerca, che proseguo sempre, mi piacerebbe metterne per iscritto i risultati. La partecipazione a convegni rientra in questo tipo di attività e sono per me occasione di condivisione delle mie idee e delle mie ricerche in cui anche l’arte dell’henné, per esempio, è parte di un insieme di strumenti aggiuntivi per esplorare una realtà, quale quella indiana, molto complessa ma anche molto affascinante. Il mio è un approccio multi-disciplinare che probabilmente fa parte del mio DNA.

 

Valentina Tafuri

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