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Il brand Panini, un pezzo di storia d’Italia fatto di figurine, motori e agricoltura biologica

di Paola Carella
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Con Matteo Panini, nipote del capostipite Antonio, ripercorriamo alcuni tratti della storica famiglia modenese. Che con le indimenticabili figurine ha reso felici milioni di bambini e adolescenti.

 

Fa dal bèin e descòrdet d’averel fat – Umberto Panini

 

Tutti quelli che sono stati bambini tra gli anni ’60 e ’90, hanno collezionato album di figurine: da Sandokan alle raccolte Calciatori per i maschietti; da Heidi, Candy Candy e Lady Oscar per le femminucce. Passatempi che rappresentano la fotografia di un reportage socio-culturale.

Le Figurine Panini possono essere considerate una delle passioni popolari più longeve per gli italiani. Inizialmente le incollavamo sui nostri album con la coccoina, con grande cura; poi, molto più semplicemente, divennero autoadesive.

Le immagini raffigurate in quei rettangolini di carta rimangono nella nostra memoria come un momento unico e indimenticabile dell’infanzia, insieme ai cartoni animati di cui proprio le figurine riproponevano le storie. Era un prosieguo, un continuus dei cartoni animati stessi: portarsi a casa le figurine era un po’ come portarsi a casa i personaggi amati, se non gli stessi beniamini del calcio.

Ogni bambino aveva il proprio rituale: il mio momento tanto desiderato arrivava la domenica quando papà, insieme al suo giornale, acquistava dieci bustine di figurine: cinque per me e cinque per mia sorella. Collezionarle non significava un piacere fine a se stesso, c’era il gusto della sorpresa, della ricerca del pezzo raro e poi c’era lo scambio e per i maschietti la sfida scommettendo con i tappi di bottiglia. A scuola, durante la ricreazione il mantra era “ce l’ho, ce l’ho, mi manca!

La storia delle Figurine Panini è la storia di una grande famiglia italiana che è stata capace di diventare un brand internazionale: dal lontano 1900, quando il capostipite Antonio apre la sua officina meccanica a Pozza di Maranello, al 1961 quando i nipoti, già titolari nel 1945 di un chiosco nel corso Duomo di Modena e nel 1954 dell’omonima Agenzia di distribuzione di giornali, decidono di commercializzare la prima collezione Calciatori Panini.

Intervistiamo Matteo Panini, figlio di Umberto, uno dei fondatori del famoso brand.

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La famiglia Panini rappresenta un pezzo dell’identità e della genialità del nostro Paese e lo sono ancora

La mia famiglia affonda le sue radici nella terra, nel vero senso della parola, perché eravamo e siamo ancora legati all’agricoltura. Mio padre ebbe fin da subito le idee chiare, era un uomo che non si arrendeva, perché come diceva a noi figli “Povertà e miseria sono una bella scuola di vita”. Nel 1957 si era trasferito in Venezuela, dove aveva lavorato come meccanico saldatore. Torna sei anni dopo mettendo la sua esperienza tecnica al servizio dell’azienda di famiglia: crea dei macchinari innovativi come la Fifimatic, che permetteva il rapido imbustamento delle figurine.

Dalle figurine alla prima azienda agricola biologica, come siete passati da una realtà familiare a un brand che esporta italianità in tutto il mondo?

Mio padre era un visionario, il suo desiderio era quello di investire sul territorio e allo stesso tempo tornare alle proprie origini: a metà degli anni ’70 sceglie di intraprendere l’attività di agricoltore creando una fattoria, denominata Hombre, dal soprannome con cui era conosciuto in Venezuela, e che negli anni ’90 è la prima azienda a convertirsi al biologico. Ciò che fece fu pura avanguardia, non solo per l’agricoltura modenese ma per l’Italia di quella seconda metà degli anni 80, quando da una fattoria di circa 30 ettari (oggi ne conta più di 300) si cominciò a parlare di filiera chiusa e di agricoltura biologica. Un vero precursore che ha introdotto concetti innovativi a livello di sostenibilità, come quella del caseificio aperto dove chiunque ogni giorno può venire, visitare, muoversi, guardare gli animali e vedere come si produce il Parmigiano Reggiano davanti ai loro occhi.

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Umberto Panini incarna la vera essenza italiana: l’amore per la propria terra e il coraggio di intraprendere sfide difficili, creando non soltanto lavoro ma anche cultura, come il Museo Maserati all’interno dell’azienda.

L’automobile, i motori sono il genius loci di Modena, l’amore per la meccanica nasce dal senso pratico di noi emiliani. Di necessità virtù: dovevamo essere contemporaneamente contadini e meccanici, da qui la parola metalmezzadri. Prima di emigrare in Venezuela, Umberto aveva lavorato come meccanico per la Maserati, un amore che non era mai finito, tanto che nel 1996 acquista una collezione di 19 auto d’epoca Maserati salvandola da una vendita all’asta in Inghilterra e per la quale realizza uno spazio espositivo in una struttura stile anni ’20, in cui spicca un colonnato che mio padre recuperò per caso, da un robivecchi di Gambettola, in provincia di Forlì.

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Oggi il Museo Maserati rappresenta una delle più belle e complete collezioni e comprende anche 60 esemplari di motociclette di vari costruttori. Ci sono i marchi più gloriosi italiani come Ducati, Gilera, Moto Guzzi, o quelli stranieri come Norton e Harley Davidson, e altri che potremmo definire di piccolo cabotaggio, tra cui Maserati stessa.

La creatività e l’intraprendenza fanno parte del DNA della famiglia Panini e infatti nel 2012 nasce la start up IXOOST che vanta grandi partnership come Lamborghini e Pirelli.

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La voglia di fare e di sperimentare è nello spirito della città di Modena, siamo nella Motorvalley. Il trattore per noi è un simbolo, è il trait d’union del nostro mondo dove convivono motori, cibo, artigianalità e innovazione. iXOOST è nata partendo quasi per caso. Un amico che voleva realizzare un simulatore di Formula Uno ci chiese un consiglio e da lì ci venne l’idea di trasformare i tubi di scappamento e le marmitte delle supercar da competizione in impianti acustici originali. È così che nasce il nome del brand iXOOST che riecheggia il termine inglese “exhaust” appunto scarico. Con il tempo, quello che è cominciato come una sorta di hobby è diventato una startup di successo, che crea pezzi unici e di design, disegnati su misura, che sono al tempo stesso impianti hi-fi ad alta fedeltà e dock station, un’elaborata piattaforma per riprodurre musica con il proprio smartphone. Immaginate di possedere un potente impianto stereo e dategli voce grazie a dei collettori di scarico originali di derivazione F1: ne avrete un suono pazzesco, che grazie a specifiche applicazioni può suonarvi il rombo di qualsiasi motore al mondo. Ma fidatevi, che se è un V8 o un V10 rende di più!

 

Paola Carella

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