MCC. Sembra una formula della fisica, in realtà è, molto più semplicemente, l’acronimo di Marco Camisani Calzolari, il personaggio che tutti abbiamo imparato a conoscere attraverso Striscia la Notizia, dove smaschera le fake news e le insidie del web. Marco Camisani Calzolari è però prima di tutto un professionista che ha fatto di una passione il suo lavoro e che ha costruito il proprio brand personale sulla competenza e sulla capacità di fare divulgazione.
È uno dei massimi esperti di tecnologia. Professore, divulgatore scientifico e noto personaggio televisivo, lavora nel mondo digitale da 30 anni. Marco Camisani Calzolari insegna Comunicazione all’Università ed è autore di diversi saggi sul marketing e la comunicazione digitale. È consulente di comunicazione per grandi aziende ed è un pioniere del settore dal 1995. Ha fondato aziende di successo e dagli anni 90 divulga cultura digitale attraverso i mass media. Il 7 novembre sarà ospite del Digital Security Festival 2022, l’evento che spiega la cultura della sicurezza digitale ad aziende e cittadini, in programma tra Veneto e Friuli Venezia Giulia.
Come si diventa Marco Camisani Calzolari, chiediamo ironicamente…
Striscia ha fatto il 99% del lavoro, è un programma storico e uno dei più seguiti della TV italiana, e chi passa da lì entra nel cuore degli italiani. Tuttavia hanno parzialmente aiutato anche i 30 anni di esperienza che ho nel settore del digital. Ho iniziato con Claudio Cecchetto nel 1995 e ho avuto un mio percorso mediatico negli anni, iniziando con attività minori di divulgazione in televisione, fino ad arrivare a Striscia, è stato di aiuto perché, innanzitutto ci arrivi più preparato e poi perché quando la gente si chiede chi sei, si rende conto che dietro c’è tutto resto. Per questo oggi sono abbastanza sereno di quello che sono e di come appaio: alla fine, sono me stesso e questo è importante perché significa che non devo aver paura di dover dimostrare niente, di dover vestire ogni volta una maschera non mia.
La parte del suo lavoro che le piace di più?
È talmente tanto bello e mi piace talmente tanto che è difficile rispondere. Sono riuscito a farlo un po’ a modo mio, grazie alla fiducia da parte di Antonio Ricci. E vi assicuro che non è facile trovare un altro che abbia il coraggio di mandare in prima serata un informatico a parlare di questi temi. Mi diverto a “smanettare coi computer” – lo studio virtuale dal quale mi collego, è una mia creazione – sia la parte che riguarda l’ideazione dei contenuti, sia l’aspetto più colorato di quello che propongo, insomma è come una tela che mi diverto a comporre come un matto. Ovviamente aiutato dal team autoriale di Striscia che è molto preparato. Chiaramente, come in tutti i lavori, ci sono attività meno piacevoli come, in questo caso, il dover fare mille verifiche prima di dire qualcosa, ma questa è la responsabilità del buon padre di famiglia che tutte le persone con grande visibilità dovrebbe applicare.
La parte di cui godo di meno è la popolarità in giro. Vivendo a Londra la fama la vivo sono in alcuni momenti dell’anno, ad esempio durante le vacanze. E la cosa mi piace, in quanto mi fa capire attraverso l’affetto delle persone, che quello che faccio è apprezzato. Quasi 15 anni fa ho scelto di vivere a Londra e ormai è casa in quanto ci vivo da tanti anni. È una scelta consapevole e mi dà grande serenità da questo punto di vista, soprattutto per i miei figli che non vivono né viziati né avvantaggiati dalla popolarità del padre. In generale sono molto, molto soddisfatto.
Riguardo a Marco Camisani Calzolari personal brand, c’è una strategia? Ci sveli qualche segreto.
Ci sono delle tecniche. Dire che è tutto spontaneo sarebbe un errore perché evidentemente chiunque riflette prima di fare o dire qualcosa. Per esempio, la scelta dei mezzi con cui comunicare è una scelta o anche quella di essere me stesso, è una scelta. Può sembrare banale ma non lo è. Quella di quanto comunicare e di quando affrontare certi temi, sono tutte scelte ben ponderate.
Adesso sto cercando di combattere le truffe e i falsi miti del mondo delle cripto-valute e degli NFT. Anche questa è una scelta che so già che mi creerà qualche problema, visto che dietro c’è un mondo economico molto ricco e alcuni, che ne sono vittima e stanno perdendo anche molti soldi, sono arrabbiati. In teoria, un personaggio pubblico non dovrebbe portarsi a casa nemici gratis ma siccome la moneta di cui mi nutro è la verità, la trasparenza, l’aiutare le persone, perché sono fatto così e non ho intenzione di cambiare… chissenefrega! Ma col tempo, chi è stato salvato da una truffa, mi ringrazia; è già successo. A volte si fanno delle scelte di personal branding apparentemente sbagliate, secondo le regole, ma io sono così! Il fatto che io viva a Londra mi tiene anche lontano da certi meccanismi e interessi quindi sono davvero libero. Sono scelte etiche. Se vogliamo, chiamiamolo personal branding.
Quale strumento è più efficace, in base alla sua esperienza, per il suo brand personale?
I social network assolutamente. Li uso tutti e dico cose diverse su ognuno. Quello su cui c’è più scambio con la gente è Facebook. Sugli altri, specie Instagram, i follower passano avanti scorrendo le immagini, credo che abbia una serie di limiti, anche se orientati a velocizzare l’interazione. Facebook mi è più congeniale anche rispetto a LinkedIn, ho modo di essere maggiormente me stesso e mi piace rispondere a ognuno, anche se a volte i commenti sono mille, perché ogni persona ha speso del tempo per scrivermi e quindi credo sia giusto che un personaggio pubblico risponda. Certo, finché ce la farò!
Quindi segue lei i suoi social, personalmente? Non deve essere semplice con oltre 1 milione di follower su Instagram e 400mila su Facebook!
Ho qualcuno che mi aiuta nella parte più operativa come girare un video, tagliarlo, montarlo, postarlo sui vari social, ma non ho nessuno che scrive o commenta al posto mio anche perché i temi di cui parlo sono sempre molto particolari: dietro hanno aspetti tecnici delicati e ogni cosa può avere una sottigliezza o un dettaglio che richiede attenzione e precisione. Quindi non possono essere altri a farmi parlare.
Vive a Londra ma conosce la realtà italiana. Quali differenze nota nel modo di comunicare tra l’Italia e l’Inghilterra.
In questo periodo di pandemia, ci stiamo chiedendo quanto siamo ignoranti, specie nell’ambito della medicina. In Inghilterra ritengo che la popolazione sia mediamente più ignorante di noi italiani, ma quando si tratta di temi scientifici sono meno arroganti. Quindi se non sanno, stanno zitti, ovviamente questo “generally speaking”. Quindi quando usano i mezzi di comunicazione, ognuno dice quello che sa, mentre in Italia ci sono più tuttologi o personaggi che parlano di cose che non conoscono. Guardano due video su YouTube che parlano di cripto-valute e pensano di essere esperti e questo rappresenta e rappresenterà un grande problema del settore.
Come è cambiato il suo modo di fare comunicazione negli anni, dall’analogico al digitale?
Ho sempre usato il digitale, prima in maniera più rudimentale, con i forum, perché non c’era il web e io ho contribuito a crearlo, sviluppando il primo social network della storia prodotto da Claudio Cecchetto, ero un programmatore all’epoca e poi ho creato i primi siti web di molti media italiani. Da MTV, Radio 105, Radio Montecarlo. Ho vissuto la fase di crescita di quel mondo. L’ho affrontato sia dal punto di vista tecnico, sia da imprenditore con una mia azienda che creava piattaforme digitali, sia da quello della comunicazione. Non poteva che essere così: la comunicazione è una materia viva, che si evolve con l’evolversi dei tempi.
In base alla sua grande esperienza nel settore digitale, vede all’orizzonte nuovi strumenti di comunicazione? Un nuovo Facebook, un nuovo Instagram?
Un conto è quello che sta arrivando, un conto è quello che rimarrà. Quello che sta arrivando riguarda la realtà virtuale, che viene spacciata per quello che è stato definito meta-verso in un romanzo del ’92. Ci sarà un’evoluzione in cui Facebook e altri player tenteranno di aprire verso contenuti fruibili in modo diverso, non solo in due dimensioni, attraverso l’intelligenza artificiale: ma sarà solo per i big del settore, visto che solo pochi ne conoscono le caratteristiche. Non avrà la portata che si pensa e non sarà così aperta, non sarà per tutti e lo stesso sarà con la Blockchain e la realtà aumentata. Se manca la cultura di base per comprendere il contesto, questi strumenti non potranno avere la portata che alcuni, oggi, preannunciano.
Photo: Alessandro Gianferrara