Un diffuso modo di dire definisce “braccia sottratte alla terra” quelle di lavoratori inadatti e con scarse qualità. E invece ci sono braccia capaci e cervelli brillanti che scelgono proprio di dedicarsi alla terra mettendo in campo tutte le proprie competenze. Ne è un esempio Valentina Stinga, trentaduenne campana che, dopo una laurea in Marketing alla Bocconi, ha deciso di tornare a Sorrento e aprire l’azienda agricola Rareche. Ha cominciato raccontando la sua storia in un blog, postando foto sui social e vendendo cassette di zucchine agli amici. Ora ha un e-commerce, è responsabile regionale Coldiretti Donne Impresa e parla di agricoltura alle conferenze internazionali.
Hai studiato Marketing alla Bocconi, ma poi sei tornata a Sorrento e hai aperto un’azienda agricola. Com’è nata l’idea?
Ho lasciato Milano subito dopo la laurea, nel 2013, ma non avevo questo proposito in mente. Immaginavo di fare tutt’altro. Ho iniziato prima a dare una mano nell’azienda di famiglia che si occupa di trasporti, poi ho lavorato per un anno per Booking. Finita quell’esperienza, non riuscivo a trovare qualcosa che mi soddisfacesse. Nel 2010 mio padre aveva comprato tre ettari di terreno con un rudere all’interno, sulla zona collinare di Sorrento. I miei ne coltivavano una piccola parte per uso familiare. Così ho preso in considerazione la possibilità di ristrutturare il rudere e avviare un’attività turistica. Ma i lavori richiedevano tempo e risorse. Perciò ho pensato intanto di dare vita a una produzione agricola da affiancare al futuro agriturismo.
Come hai avviato Rareche da zero?
A Milano non ho mai avuto nemmeno una pianta grassa. E devo ammettere che anche adesso non sono brava con le piante che non danno frutti. Ne ho una che mi hanno regalato quando mi sono trasferita. Non so come faccia a sopravvivere, probabilmente grazie alla signora delle pulizie che la innaffia ogni volta che viene.
Tutto è cominciato piantando le zucchine, che non richiedono grande cura, e una decina di piantine di pomodoro (solo quando i pomodori sono arrivati a strusciare per terra, ho capito che le piante avevano bisogno di un sostegno). Ho comprato un sacco di libri per studiare la stagionalità e ho appreso molto da alcuni contadini che avevo intervistato per un libro che, alla fine, non sono riuscita più a scrivere. Sono stati i miei amici a spingermi a vendere i prodotti dell’orto, io non ero affatto convinta. Mi chiedevo per quale ragione avrebbero dovuto acquistare la verdura da me.
Nel 2017 ho iniziato a vendere le zucchine alla mia migliore amica e ai miei librai di fiducia. Pian piano, un po’ attraverso la presenza sul web, un po’ con il passaparola, mi sono ritrovata a non riuscire a produrre abbastanza per soddisfare tutte le richieste. Nel mio terreno c’erano anche 300 piante d’ulivo. Ho frequentato un corso di sommelier dell’olio e mi sono lanciata nella produzione di extravergine. E notando la sovrabbondanza di pomodori in estate, ho pensato di utilizzare le eccedenze per le conserve. Con questi prodotti che avevano la possibilità di fare qualche chilometro in più, a febbraio del 2020 ho aperto l’e-commerce: mentre tutti erano chiusi nelle proprie case, io entravo in quelle degli altri. Una scelta giusta al momento giusto, visto il picco delle vendite online durante la pandemia e la maggiore attenzione delle persone a ciò che mangiavano.
Sei partita con un blog nel 2018 e usi molto i social. Quanto contano la comunicazione nel tuo lavoro?
Ho aperto il blog perché, nel periodo in cui sono rimasta a casa senza lavoro e con un crociato rotto, ho frequentato un master in Social Media Communication. Il mio professore diceva sempre che per far risaltare un sito nelle ricerche, occorre un contenuto unico. Ho pensato che nulla più dei miei flussi di coscienza potessero esserlo. Nel blog raccontavo i miei primi passi e i disastri in campagna. In realtà non c’era un piano editoriale dietro, ma più un’ispirazione momentanea.
I social sono stati fondamentali. In realtà non mi sono mai dedicata a Instagram nell’ottica di diventare un’influencer. Ma quando ho iniziato, c’erano poche aziende agricole che lo utilizzavano. Ora sono un po’ più strutturata, cerco di alternare post testuali di storytelling a post più visual con foto e immagini.
Qual è stato il percorso che ti ha portata dal non sapere nulla di agricoltura a diventare responsabile regionale di Coldiretti Donne Impresa?
Sono stata scelta come responsabile provinciale di Napoli quasi subito. È stata una scommessa del direttore generale. Io ignoravo tante problematiche, tante questioni tecniche e burocratiche. Sono entrata in un mondo che mi sembrava più grande di me. Dovevo rappresentare le imprenditrici senza sapere tutto quello che facevano. Però riuscivo ad ascoltarle e a comunicare all’esterno le loro esigenze. Nel 2019 sono diventata responsabile regionale e ho iniziato a girare i territori, cercando di capire anche le produzioni molto diverse dalle mie per poter parlare con cognizione di causa.
Come prepari i tuoi interventi per le conferenze internazionali?
A settembre ho partecipato all’Open Forum che ha aperto il G20 sull’Agricoltura. L’intervento l’ho abbozzato mentre aspettavo di fare il vaccino. Io sono la prima a odiare quelli che leggono quando parlano in pubblico, ma se preparo qualcosa sono comunque concetti che mi appartengono e cerco di essere quanto più empatica possibile. Racconto la mia esperienza e faccio advocacy per le persone che fanno il mio mestiere. Un messaggio che trasmetto spesso riguarda la necessità di sburocratizzare, soprattutto a livello di accesso ai finanziamenti perché ci sono tanti giovani che vorrebbero accedervi. Bisogna incentivare il più possibile il ritorno alla terra e ai lavori tradizionali. Anche per lo stile di vita legato a questi.
Da una parte la vendita diretta, dall’altra e-commerce. Da una parte il contatto diretto con la terra, dall’altra la presenza costante sui social. Come si fa a coniugare al meglio innovazione e tradizione?
Io faccio anche lezioni online e dico agli studenti che spesso l’innovazione produttiva è molto costosa. Come i sensori d’umidità, le tecnologie avanzate per l’irrigazione o gli scanner che controllano la maturazione della frutta. Ma l’innovazione comunicativa non costa nulla e porta molti vantaggi. Ci sono tante aziende agricole che sono rimaste relegate alla vendita con una filiera lunga e non comunicano nulla ai loro clienti. Secondo me questo lavoro racchiude già in sé lo storytelling: la sola crescita di una piantina è una storia da raccontare. La giusta comunicazione abbinata a un prodotto di qualità è l’innovazione alla portata di tutti.
Che consigli daresti a un giovane che vuole intraprendere la tua stessa strada?
A chi parte da zero consiglio di fare un’analisi di mercato. E magari prendere in considerazione prima un’esperienza in un’altra azienda per valutare. Poi si passa agli step successivi. Durante il lockdown, da responsabile Coldiretti, ho tenuto un webinar alla settimana per le mie colleghe partendo proprio dalle basi. Tra queste c’è la scelta del nome e la realizzazione del logo: molte imprese agricole tuttora si chiamano con nome e cognome del titolare. Se c’è una storia e una tradizione ci sta, ma bisogna scegliere bene il logo perché è la cosa che fa ricordare il brand nella testa del consumatore. Io ho chiamato la mia azienda Rareche che, in napoletano, significa radici. Come quelle a cui sono tornata io.
Repubblica – Dalla Bocconi all’impresa agricola: “Sono tornata a Sorrento e sono felice”
LA VITA IN DIRETTA – Dalla Bocconi a Sorrento
La visita a Roma del Vice Segretario Generale dell’ONU
Servizio TV (Valentina si racconta in inglese)
Intervento all’Open Forum on Sustainable Agriculture in occasione dell’apertura del G20 Italy
1 commento
Ammiro molto Valentina e il mio desiderio è quello di poter comprare i suoi prodotti