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Ugo Mendes Donelli: «Qualità e idee per distinguersi. Questo è l’obiettivo del brand»

di Agnese Azzarelli
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Imprenditore, speaker e innovatore di modelli di business. Ugo Mendes Donelli ci spiega perché “personal brand” sia sinonimo di distinzione, citando George Clooney, Martin Lindstrøm e gli archetipi che lo identificano.

Ugo Mendes Donelli è imprenditore, speaker e innovatore di modelli di business. Un’attitudine speculativa fortemente ancorata alla pratica, una conoscenza approfondita del settore, complici passione e attenzione verso gli innumerevoli casi imprenditoriali che è solito sciorinare, quasi la Coca Cola, la Nespresso e la Philips, la Swatch e gli equilibristi del Cirque du Soleil siano riposti nelle tasche della sua giacca, solitamente nera o marrone, accomodata sui jeans e abbinata a scarpe singolari o dai colori vistosi. Si capisce anche e da questi dettagli come per Ugo il personal brand sia sinonimo di distinzione; ma, prima di andare nello specifico, abbiamo preferito dare una definizione, quanto più accurata, di brand.

Ugo, sorprendendo come sempre, inizia questa volta dagli albori: «Sia per noi che per gli anglosassoni il brand deriva da un’abitudine: quella di marchiare il bestiame, per evitare che qualcuno lo rubi o che dica che è suo». Il brand è nel tempo divenuto «un simbolo che rimanda a delle qualità, un simbolo per un altro elemento sempre intangibile, ovvero per delle caratteristiche, delle qualità o delle idee».

La maniera che Ugo sceglie per spiegarci, al meglio, cosa voglia dire associare delle idee ad un brand è estrarre dalla tasca del jeans [oggi e solo per Business Celebrity non indossa la giacca consueta] niente po’ po’ di meno che George Clooney, testimonial della Nespresso. «Ciò che è George Clooney finisce sulla Nespresso. Il valore che Nespresso voleva era il discorso del lusso e del concedersi un piacere di un certo livello. Il significato fondamentale della Nespresso non è la cialda o il fatto che io mi faccia un caffè in un modo comodo. Questo c’è nel valore offerto, ma non è fondamentale. Tanto che il valore del lusso Nespresso lo porta avanti anche nel punto vendita, cercando di farti sentire un vip quando vi entri».

Ugo-Mendes-Donelli-personal-brandingIn un modello di business come quello proposto da Alexander Osterwalder in Business Model Generation (a handbook for visionaries, game changers, and challengers), di cui sei revisore tecnico per l’edizione italiana, sembra che il lavoro sul brand interessi diversi blocchi…

«Il brand interessa il valore offerto, il canale e la relazione con il cliente, perché quando i tecnici del marchio dicono che il brand ti posiziona questo vuole dire che ti posiziona nella testa del cliente, in un luogo mentale accanto a dei concetti, tanto che c’è qualcuno che dice che l’apoteosi del brand è di essere proprietari di una parola. Tipici sono quei brand che, a loro volta, significano un oggetto specifico…».

Ugo continua a sorprenderci, estraendo dalla tasca un esempio che parla da solo, quale quello della Jeep, brand che ha finito per arrivare a coincidere con il noto veicolo a quattro ruote motrici, valevole a raggiungere i luoghi più remoti e inaccessibili.

A questo punto, la mia formazione filosofica e la sua attitudine speculativa si incontrano su una questione eminentemente pratica, ovvero se si possa fare una scienza del brand. Ugo Mendes Donelli mi parla degli esperimenti di Martin Lindstrøm, autore di Neuromarketing. Attività cerebrale e comportamenti d’acquisto, ma, soprattutto, dell’importanza della logogenesi e della costruzione del suo brand personale, per l’edificazione del quale si è chiesto: «Quali sono le emozioni che mi mettono in sintonia con il mio target e come declinarli nella comunicazione?» La risposta che si è dato è inscritta in tre archetipi: quello del ribelle, quello del creatore e quello dell’esploratore; archetipi dai quali ha tratto una strategia di comunicazione.

Siamo giunti al punto di maggiore interesse, quello del personal branding, in compagnia di un maestro ed esploratore d’eccezione…

«Il livello base del personal branding lo fanno tutti: dal mettere il rossetto, all’eyeliner. Quando ti vesti e ti trucchi stai considerando due elementi: con chi avrai a che fare (il target) e quale sia il tuo obiettivo (cosa vuoi fare). In funzione di questo ti vesti o usi del maquillage. Il fard nasce dall’esigenza degli antichi egizi di barare sull’età per essere più attraenti. Il colore sulle guance è la manifestazione fisica di un’emozione ed è anche segno di gioventù. Il personal branding è una di quelle cose che, in un certo senso, tutti fanno tutti i giorni».

Gli domando cosa voglia dire, per una personalità estroversa come la sua, il legame con la propria immagine. Scopro qualcosa sul singolare rapporto con il nome che gli è capitato in sorte: «Sai quante persone si chiamano Ugo Mendes Donelli sul pianeta? Una. Una geniale mossa di branding che io non ho fatto». Del rapporto col rosso ramato della sua capigliatura, un patrimonio ereditario per il quale non vorrebbe essere confuso con Rosso Malpelo; o del fatto che abbia indossato la cravatta due sole volte nella vita.

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Distinzione e competenza paiono proprio essere le due prime parole chiave per descrivere Ugo. Autenticità la terza. Una parola che emerge dall’esposizione di un progetto a cui sta lavorando, scaturito da un’esperienza vissuta in prima persona e volto a dare beneficio a lui stesso, prima che agli altri, come al personale di un’azienda; volto ad integrare sfera corporea, emozionale e cognitiva in un metodo di gestione del tempo.

«Ci sono delle volte in cui i pezzi del puzzle non si incastrano più. C’è stato un momento in cui mi sono dovuto fermare. Non avevo più energie. Sono arrivato oltre il mio limite. Ho cercato di capire cosa potevo fare e ne ho provate di tutti i colori. Tutti i metodi di gestione del tempo non hanno funzionato; allora ne ho inventato uno mio che non c’entra nulla con quello degli altri: ONEATATIME. La maggior parte dei metodi di gestione del tempo ignora i limiti. Tu segui le regole e perdi. Perdi perché non sono adatte a te. Usare lo stesso algoritmo per un artista e per un contabile è sbagliato. Questo è quello che io rifiuto di alcuni metodi di gestione del tempo: che esista una ricetta uguale per tutti».

In conclusione, Ugo, c’è un suggerimento che vorresti dare ai lettori di Business Celebrity?

«Io invito a considerare come il personal brand richieda impegno tutti i giorni e debba essere allineato a ciò che sei. Se in quella cosa lì ci sono delle bugie ti tocca mantenerle nel tempo. Perché lo fai? Che vantaggi vuoi ottenere? È un impegno notevole. Devi distinguerti. Questo è l’obiettivo del brand. Devi cominciare a pensare fino a che punto vuoi investire su questo per essere differente. Se il tuo brand è forte abbastanza, devi accettare anche che qualcuno non ti sopporti».

 

Agnese Azzarelli

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