Stefano faceva il dentista. Oggi è uno dei più accreditati fotografi e documentaristi italiani. La sua storia non è soltanto un’avventura personale di trasformazione. È l’itinerario di un’anima giovane, che ha cercato a lungo prima di raggiungere armonia e amore. Determinato a lasciare un segno positivo nel mondo, è convinto che niente accada per caso!
«Avevo da poco compiuto 26 anni. A quel tempo, il mio quotidiano era solidamente incastrato su due binari tanto paralleli quanto inamovibili: da una parte ero il Dottor Jekyll, un giovane dentista agli inizi della carriera – a detta altrui molto promettente – che godeva di ottima considerazione, sia negli ambienti professionali, sia tra i suoi pazienti. Dall’altro, ero Mister Hyde, un musicista amatoriale che covava in segreto il sogno del successo, di sfondare e riempire gli stadi di tutto il mondo a suon di schitarrate ignoranti e micidiali riff di sintetizzatore. Suonavo in un gruppo di nome Baroque, avevamo la classica storia di band che si conosce sui banchi di scuola, prova nei garage e si affaccia sui palchi della propria città in cerca di affermazione. Ma in quella storia parecchio datata, in cui facevo il tastierista e il chitarrista, non avevo ancora trovato il mio posto giusto nel mondo ed ero spesso inquieto».
Nel libro “L’anima viaggia un passo alla volta” (Edizioni Terra Santa) è così che Stefano Tiozzo, torinese (’85), parla di sé e degli anni che hanno preceduto la sua trasformazione. «Quella – ci dice – era ancora l’epoca in tutti, amici e parenti, riuscivano a vedere in modo chiaro il mio destino. Tutti, ma non io, che vagavo disperato alla ricerca della mia essenza e della mia missione su questa Terra. Un giorno le cose hanno cominciato a prendere una piega diversa. È stato quello della mia laurea in Odontoiatria, quando mi regalarono la prima reflex».
Presto in Stefano alla passione per la fotografia si aggiunge quella per il viaggio, che lo porta a scoprire la bellezza del mondo e a volerla raccontare tramite reportage. In pochi mesi i suoi lavori diventano subito i più popolari sul web. «Dopo otto anni di professione nel mio studio dentistico, ho finalmente incontrato il mio Dharma, in sanscrito il mio dovere, la mia legge, il mio destino: essere testimone curioso e appassionato del mondo al servizio di chi vuole conoscere la bellezza di tutto ciò che ci circonda. E di questo sono felice».
Uno dei primi viaggi significativi per Stefano è quello in Giordania, Israele e Palestina, ma a restargli nel cuore e a fargli raggiungere la notorietà, sarà il percorso in solitaria da Torino a Capo Nord. Altrettanto indimenticabile diventerà l’avventura in treno dalla sua città a Pechino.
Stefano non ha mai contato né i chilometri percorsi, né gli Stati visitati «perché non mi interessa la quantità. Credo, comunque, di aver fatto almeno due volte il giro della Terra e di aver vissuto più di cinquanta Paesi (da Capo Nord all’India, passando per la Lapponia, la Cina, la Russia dove vive e ha conosciuto sua moglie, e altri). Dico vissuto perché, se dopo un viaggio non cambia alcunché dentro di te, significa che ti sei solo spostato. Il viaggio deve darti occhi e cuore nuovi per capire chi sei e cosa fai nel mondo. Ognuno di noi ha una missione e ognuno di noi dovrebbe scoprirla per metterla al servizio degli altri. Io ho capito che avrei dovuto imparare a girare il mondo, osservarlo e descriverlo per farlo conoscere. Credo di saperlo fare. La conferma? Il numero di follower (su YouTube 160mila, su Instagram 100mila, 1 milione sono le persone raggiunte con il suo lavoro, stimate dalle visualizzazioni, ndr), le lettere che mi arrivano in privato in cui mi scrivono che una mia foto, un mio video, un mio commento fanno scattare il desiderio di dare una sterzata alla propria esistenza. E ancora, i feedback di molti professori di geografia, storia, religione. Su YouTube spesso, infatti, arricchisco i miei video con notizie di carattere storico e politico. Tutto questo restando fedele a me stesso. Mi piace raccontare senza fronzoli solo quello che vedo».
Stefano, che agli inizi viaggiava spesso in solitaria, oggi guida spedizioni fotografiche nei più suggestivi angoli della Terra con gruppi di turisti appassionati di esperienze da vivere «seguendo la propria anima, facendo quasi un passo alla volta e assorbendo ogni sfumatura del viaggio». In quel caso, il punto di forza sono i tour operator, i contatti locali che negli anni ha creato. I mezzi di trasporto utilizzati? «Un tempo viaggiavo spesso solo in treno, perché muoversi lentamente è una grande medicina. Amo anche l’automobile, ma ricorro all’aereo, alla nave, a seconda della destinazione». È stato in India che Stefano ha esplorato il mondo invisibile, quello che lo ha portato a intensificare il suo rapporto con la spiritualità, tramite il Maestro Paramahamsa Vishwanda.
L’immagine sempre presente nella sua memoria, che lo ha spinto a lasciar andare la sua vecchia vita fatta di plettri, corde, camice bianco, trapano e protesi? Quella di fasci di luce verde a temperature da lupi. «Il 6 gennaio del 2012 non fu Epifania solo sul calendario, ma fu realmente la prima grande epifania della mia vita, nel suo senso letterale, manifestazione, apparizione. La visione dell’aurora boreale che danzava nel cielo di Tromso, nella Norvegia settentrionale, è stata la prima tessera di un domino di eventi fondamentale per tutto ciò che sarebbe accaduto negli anni a venire. È stato in quel contesto che per la prima volta ho avuto una visione chiara e definita che una vita diversa era possibile, che da qualche parte nelle stanze più nascoste del mio cuore c’era qualcosa che non vedeva l’ora di essere liberato da una sorta di prigionia. Da quel viaggio così speciale sono tornato sicuramente elettrizzato. Il germe dell’aurora mi aveva ormai irrimediabilmente contagiato e i primi sintomi della malattia si sono fatti sentire subito dopo il mio rientro. Facevo ancora il dentista-musicista, ma mentre iniziavo a montare il documentario, la mia mente già si volgeva al periodo delle vacanze natalizie, in cui avrei avuto una tregua dal lavoro. Ci sarebbe stata un’altra ottima occasione per andare lassù, oltre il circolo polare, ancora una volta a caccia di luci verdi nel cielo. Sarebbe stato il mio terzo viaggio invernale nel Grande Nord, dopo la sbornia boreale di Tromso nel 2012. E dopo un deludente viaggio in Islanda, dove per una settimana non avevo visto altro che tempesta, salvo uno sbuffetto verde nel cuore dell’ultima notte: ancora una volta era il 6 gennaio, una data che pian piano iniziava ad assumere le proporzioni di un vero e proprio anniversario. L’aurora è la mia Penelope, verso cui ho sviluppato subito un amore sovrannaturale: l’aurora era aria di casa, una grande amica, un’amante e, in sintesi, la ragione principale di questo bisogno urgente e disperato di tornare al Nord il più spesso possibile. Non un’ossessione fotografica, non uno sfizio, ma una necessità vitale».
Nel tuo futuro cosa c’è? «In epoca Covid è difficile fare programmi. Certo, vorrei riprendere a fare viaggi più brevi ma più frequenti, magari con il mio amico Andrea: come quelli precedenti alla pandemia, quando ero fuori casa anche sei, sette mesi l’anno. Mi piacerebbe fondare un’Accademia di fotografia con corsi online, vedere su grandi piattaforme streaming come Netflix i miei documentari. Intanto con tre amici (Simone, Lorenzo e Andrea) continuo a fare volontariato, portando avanti Sevaproject. Vendo i miei documentari a sfondo ambientale e con il ricavato in parte copro le spese, con il resto garantiamo la piantumazione di alberi. Ne abbiamo piantati ottomila, tutti in Madagascar. Facciamo bene alla Terra. È un modo per dimostrare che siamo nati per rendere onore alla vita. Come ho imparato in India».
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L’amore incontrastato verso la natura e i suoi meravigliosi colori ha fatto in modo che Stefano scegliesse la sua vita fatta di momenti di bellezza immortalando con le immagini le magnificenze del creato. Ciò rappresenta sicuramente un successo di vita fortemente voluto fuori dagli schemi ordinari. Un augurio a Stefano di poter perseverare nei suoi obiettivi e a Cinzia che ha saputo riportare tale esperienza di vita.