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Simona Cognoli: «Il mio mestiere? Promuovere il valore dell’olio extravergine di oliva»

di Serena Berardi
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Ha mosso i primi passi nel 2013 aprendo Oleonauta – una piccola oleoteca a Ostia e un e-commerce collegato – diventando in poco tempo un punto di riferimento. Dopo essersi gradualmente fatta largo in questo settore di nicchia, ora Simona lavora come assaggiatrice, formatrice e organizzatrice di eventi. Il suo obiettivo è far conoscere l’universo dell’olio a una platea sempre più ampia ed educare i consumatori all’acquisto consapevole.

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Come ti sei avvicinata al mondo dell’olio e come è nata l’idea di aprire un’oleoteca?

All’università volevo frequentare Agraria, ma alla fine ho scelto Scienze Politiche a causa delle resistenze familiari. Mi sono laureata con una tesi in diritto agrario comparato. Finito il percorso di studi, ho trovato lavoro in banca, ma quando sono rimasta incinta non mi è stato rinnovato il contratto. È stato allora che ho pensato di recuperare i miei interessi universitari, abbandonando però gli aspetti giuridici e seguendo un corso professionale per diventare assaggiatore d’olio. L’idea di aprire un’oleoteca, invece, è nata dalla necessità: sono l’unica a non avere parenti, amici o conoscenti che vendono olio. Cercandone uno di qualità, mi sono accorta che non c’erano punti vendita dedicati. Nel 2013 ho deciso di aprirne uno a Ostia dove, non solo si potessero fare acquisti, ma si avesse anche la possibilità di conoscere l’oro verde attraverso corsi ed eventi. In contemporanea ho attivato l’e-commerce. “Oleonauta”, che ho chiuso nel 2019, è stata un negozio, un circolo di idee e un luogo di ispirazione per altri imprenditori.

L’olio è il re della dieta mediterranea, usato quotidianamente a tavola. Tuttavia gli italiani ne sanno poco. Come si riesce a far strada in un settore di nicchia?

Per me l’oleoteca è stato un punto di partenza per un percorso professionale. Ho abbandonato la parte commerciale per orientarmi verso le attività che mi interessavano di più: ho iniziato a lavorare per le guide e nell’ambito dei concorsi, a fare formazione ed eventi. Sono membro del Panel presso la Camera di Commercio di Roma. Ho scritto un libro insieme alla giornalista e collega Luciana Squadrilli. Con la Pecora Nera Editore organizzo EVOluzione, un appuntamento unico nel suo genere – aperto agli operatori del settore Horeca (hotellerie-restaurant-café) – dove si degustano oli di aziende selezionate.

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Il mondo dell’olio è piccolo e non esistono modelli da seguire. Ha bisogno di professionalità per quel che concerne la produzione. Infatti bisogna seguire attentamente tutto il ciclo, dalla pianta fino all’imbottigliamento. Dal punto di vista politico, occorre tutelare l’extravergine, agevolare i produttori e valorizzare i territori. In Italia esistono oltre 500 varietà di olive, un patrimonio di biodiversità vastissimo. Fondamentale, poi, è educare il consumatore: mentre sul vino tutti hanno un’infarinatura di base, lo stesso non vale per l’olio. In ogni caso il settore ha grande potenzialità e pian piano si sta evolvendo. Se si lavora in questa direzione, è possibile fare molti passi in avanti. Le aziende stesse possono attivarsi per incuriosire le persone attraverso eventi e proposte d’appeal. Una in Toscana, per esempio, ha creato un oil bar che propone cocktail a base di olio. Sempre in Toscana, un’altra impresa ha costruito delle starsbox negli uliveti, piccole casette in legno con il tetto apribile dove alloggiare e ammirare le stelle. In Umbria si organizzano trekking, concerti, reading e lezioni di yoga tra gli ulivi. Nella mia oleoteca ho ideato eventi di storytelling a tema. S’iniziano a costruire frantoi di design che sono anche luoghi d’accoglienza e punti d’interesse da visitare. Bisogna puntare a far incontrare l’universo dell’olio con altre dimensioni, come quella dell’arte, della musica o del turismo: in questo modo si riesce ad attrarre gente e a creare un indotto economico.

Tu collabori anche con l’Università Roma Tre con in Corso di Laurea in Scienze e Culture Enogastronomiche…

Ho incontrato la professoressa Livia Leoni che è la responsabile del Corso di Laurea in Scienze Gastronomiche. Entrambe volevamo far appassionare i più giovani. Nell’ambito di questo corso universitario faccio delle giornate di formazione e seguo i ragazzi nei tirocini.

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Come in altri settori dell’agroalimentare, gli olivocoltori stanno cominciando a puntare sulla comunicazione e sul marketing. Tu li aiuti a considerare questi aspetti?

Sì, mi chiedono spesso consigli e consulenze. Per esempio, noto che ora c’è più cura nella realizzazione delle etichette delle bottiglie. Per quanto riguarda la comunicazione, si può migliorare molto. Spesso si tende ad attirare i clienti nell’immediato piuttosto che a fidelizzarli. Per esempio, alcuni produttori scrivono di avvalersi di metodi tradizionali quando in realtà usano tecniche e frantoi di ultima generazione. Oppure decantano il loro olio come il migliore sul mercato senza supportarlo con i risultati di concorsi o di guide. Io suggerisco sempre una comunicazione trasparente, coerente, che guardi alle caratteristiche effettive del prodotto.

Durante la pandemia hai deciso di avviare dei corsi online. Come si procede nell’ideare e strutturare la formazione quando questa è strettamente legata ai sensi?

I corsi online funzionano bene, meglio dei corsi dal vivo, quando le classi sono formate da poche persone. I partecipanti possono seguirli ovunque, senza necessità di spostarsi. Sono in un ambiente comodo e questo gli permette di stare rilassati e concentrarsi di più. Con l’iscrizione al corso base, viene inviato un kit con quattro selezioni di olio. Alla parte teorica si affianca quella pratica con l’assaggio: io osservo tutte le fasi della degustazione dei corsisti, guardo i loro gesti come quello dello strippaggio (l’operazione con cui si porta l’olio alla bocca e contemporaneamente s’ispira aria dalla bocca). L’interazione e il confronto sono continui.

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E il futuro cosa ti riserva?

Mi piacerebbe collaborare con imprenditori intenzionati a investire sul territorio. Penso a quelli che aprono un’attività e s’impegnano, per esempio, nel restaurare il borgo che la ospita o nel far rivivere territori abbandonati.

 

Serena Berardi

 

 

 

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