Il suo brand personale da “Maestro Zen” lo ha reso un punto di riferimento per chi cerca attrezzature (specialmente usate) che ancora ti costringono a pensare: «Purtroppo le macchine digitali oggi fanno tutto in automatico. Sono tempi in cui il commercio non è più al servizio del cliente».
Incontriamo Ryuichi Watanabe, titolare di “NOC”, NewOldCamera, negozio di fotografia a Milano. Mi porta a mangiare in un ristorante davanti al suo negozio, in Via San Michele del Carso. Si è spostato qui da poco, prima era in pieno centro a Milano, ora il negozio e tutta la “crew” sono appena poco più fuori, mi confida: «Questa è una zona ancora viva di Milano, non come il centro, dove ci sono solo uffici e super ricchi», Ryuichi esordisce così.
Il suo negozio è uno degli ultimi baluardi per gli appassionati di fotografia. Una volta a Milano se ne contavano a decine tra negozi importanti e negozietti minori dove sviluppare i rullini, così come i laboratori. Oggi tutto questo mondo è quasi scomparso, assieme a tanti altri. Il suo è l’ultimo negozio di fotografia a Milano, dove entri e magari ci trovi qualche anziano fotografo famoso, chiacchierare amabilmente con le persone presenti. Una volta nei negozi così era questa la vera ricchezza: non ci si andava solo per comprare, ma soprattutto per lo scambio di conoscenza.
La storia di Ryuichi Watanabe
Ryuichi è un giapponese anomalo, ha qualcosa che lo rende molto italiano, sarà il sorriso che dispensa qua e là ai clienti che entrano, mentre sta seduto nel suo negozio. Sarà che Ryuichi nasce cantante di musica lirica. Quando è arrivato in Italia per cantare – essendo appassionato di fotografia e andando avanti e indietro dal Giappone per guadagnare qualche soldo – ha iniziato importando parallelamente macchine fotografiche, cosa che una volta tanti facevano, sia con l’America che con l’Asia, dove i prezzi erano nettamente inferiori. Ancora oggi nei blog di fotografia, tra i vecchi appassionati è ricordato come “Il Giapponese”, l’uomo che risolveva problemi. Cosa che gli riesce bene ancora oggi. Si è inventato, o meglio rinnovato, un format di successo: la vendita del buon usato garantito. Macchine utilizzate non da professionisti, ma da amatori, macchine seminuove, con pochi scatti, vendute a ottimi prezzi. Avvicinando così tanti neofiti alla fotografia. Nel suo negozio tutti trovano ottime occasioni.
Racconta Ryuichi: «Volevo portare la credibilità dell’usato, come fosse il nuovo. Ho evitato sempre di trattare con professionisti, perché le loro macchine sono consumate allo sfinimento, il materiale non ha più valore. Ricordo ancora i tempi di quando le foto pubblicitarie di Armani – in via Broletto incrocio via Cusani – venivano scattate con una Fuji S2. Il problema delle macchine fotografiche di oggi è che sono fatte per non far pensare chi scatta, è la macchina che fa tutto, l’effetto “P”. Tutto ciò crea una disarmonia, un conto è compiere l’azione di fotografare, fermare il tempo, conservare dell’emotività. Compiere azioni come scrivere un messaggio, oppure dipingere, hanno sempre a che fare con la nostra sensibilità, così come la fotografia che materializza le nostre emozioni».
«Io sono qui dall’ottantadue. Sono quarant’anni. Ho iniziato comprando le Nikon F in Giappone, che costavano poco e le rivendevo a Milano. Lo facevo per guadagnare qualche soldo, con cui mantenermi. Oppure tramite il giornale “Secondamano”, guardavo chi comprava o vendeva e andavo a vedere, magari compravo, la stessa cosa facevo con i negozi. Ricordo una volta, era l’85, trovo una “Leica” usata da Artioli, costava un milione e mezzo, allora ero uno studente senza soldi. Hermes Artioli me la vendette lo stesso a rate, facendomi lui da garante, non lo dimenticherò mai. All’epoca c’era ancora questa empatia. Mi sono diplomato in canto in Giappone: quando ho finito gli studi, essendo una scuola di élite, al termine potevo scegliere cosa fare, se rimanere e lavorare con qualche compagnia o insegnare nelle scuole. Io però volevo continuare a studiare canto.
Ho provato in Francia, Austria e Germania, prima e poi sono arrivato in Italia, alla ricerca del mio maestro. L’ho trovato, era un allievo di Beniamino Gigli, aveva una straordinaria tecnica nel canto. Ricordo quando ho incontrato Placido Domingo di fronte all’Opera di Vienna, gli ho chiesto perché in un passaggio dell’Otello di Verdi, non prendeva fiato. Lui mi ha invitato in camerino e senza prendere lo spartito, mi ha fatto un’analisi del fraseggio, dimostrandomi di avere ragione. E poi mi ha invitato ad assistere allo spettacolo. Ecco questo è l’amore che c’è tra due persone appassionate, lo scambio di conoscenza, sono le stesse cose a cui assisto quasi quotidianamente nel mio negozio. La parte migliore di questa umanità. I più grandi sono così. Riescono sempre a mantenere quel grado di semplicità, che non trovi in tutti gli altri».
«Una volta avevo paura dei personaggi, li vedevo lontani. Oggi invece conosco Scianna, Berengo, Erwitt, Koudelka, Barbieri e così tanti altri. Alcuni sono clienti e passano dal negozio per scambiare quattro chiacchiere, con altri ci scriviamo. C’è questo rapporto grazie alla “passione” per la fotografia, che è un collante fortissimo con ognuno di loro e non solo, anche i clienti. Non sono “solo clienti”, col tempo diventano “appassionati di fotografia”, parliamo tutti la stessa lingua, abbiamo tutti la stessa passione, declinata a secondo del tipo di fotografia che facciamo. Ma la fotografia alla fine rimane sempre fotografia, non c’è mediazione. Ad esempio Giampaolo Barbieri è venuto in negozio, cercava una piccola “Leica” da portare nel taschino, alla fine gliela regalo per il piacere di regalargliela e lui mi chiede «E io cosa posso darti in cambio?» Io gli rispondo: mi piacerebbe una delle sue foto con Audrey Hepburn. Cinque giorni dopo ero nel suo studio, mi mostra una scatola di foto A4, le guardiamo… Io inizio a dire mi piace questa, no forse preferisco questa, insomma alla fine chiude la scatola e mi dice, queste foto sono tutte per te. Alla fine abbiamo raggiunto un accordo e me ne sono andato via con tre scatti».
L’apertura del negozio a Milano
«Trattare materiale fotografico era la mia passione, quindi logicamente mi è venuto naturale aprire un negozio. Il classico caso di “hobby” che si trasforma in professione. Non puoi cominciare senza sapere niente, è vero anche che quando ho cominciato, ne sapevo meno di oggi. Ho dovuto e devo studiare ancora molto. Questo accade ogni volta che mi arriva qualcosa di nuovo, prima di metterlo in vendita, studio. Non sono diventato fotografo, perché richiede una grande volontà e prima di tutto un grande talento. Io sapevo di non avere talento. Quando ho visto le foto di William Eugene Smith (documentarista americano) sulle “Vittime di Minamata”, mi sono chiesto: se essere fotografo vuol dire scattare questo genere di foto, io non sarò mai un fotografo. Avrei senz’altro potuto fare il cantante, ma così la vita non ha voluto: purtroppo la vita non è sempre una bella giornata di sole».
Come fate comunicazione?
«Prima di tutto “YouTube”, sul quale abbiamo caricato moltissimi video con interviste a fotografi e addetti ai lavori. Questo è diventato nel tempo quasi un documento nel documento. Facciamo tutto internamente. Molti mi hanno detto di dare in mano a una società esterna la gestione dei social, ma per me non è solo una questione di numeri. Inoltre organizziamo eventi e incontri sulla fotografia. A me non piace profilare il cliente. Certo che abbiamo tutti i dati di chi ha comprato negli anni. E quindi sappiamo bene che se uno compra Nikon è inutile mandargli un invito per la presentazione di materiale Hasselblad. Tutto questo andrebbe anche a inficiare il nostro lavoro, che è quello di voler servire con tutta la nostra onestà e sincerità».
Come approcciate al cliente nel vostro negozio?
«Probabilmente sono vecchio, ma ho ancora questa etica nel commercio: io non devo farti spendere soldi inutilmente, utilizzare piccoli trucchi per venderti sempre di più. Quello che conta è il “buon nome”. La nostra reputazione, il passaparola, sono il veicolo più potente che un’attività come la nostra possa avere. Il commercio di oggi non è al servizio del cliente. Non cerca di aiutare il cliente ad avere maggiore consapevolezza di ciò che sta acquistando. Oggi vale solo il farti spendere per quello che puoi spendere. Far salire la tua “scimmia”, al di la del fatto che l’attrezzatura sia più o meno adeguata per te. Detesto questa idea di commercio. Ho in mente quel medico che, quando ti vede sofferente per il mal di schiena, invece di darti la medicina chimica ti prescrive ginnastica e un cambio posturale. Ecco questa per me è la vera medicina! Se chiedi a quel dottore del perché, lui ti risponderà: “Esperienza”. Per il commercio dovrebbe valere la stessa cosa. Sono arrivato qui facendo esperienza sulla mia pelle, l’onestà viene sempre riconosciuta e non si tratta di “giapponesità”. Ogni attività deve avere una caratteristica particolare, bisogna essere coerenti. Una “New Old Camera”, che fa questo e quello, non è coerente. Bisogna avere il proprio mood».
Si conclude così la chiacchierata con Ryuichi Watanabe, il “Maestro Zen” di NewOldCamera, uno degli ultimi negozi di fotografia, in quel di Milano.
Credits:
Ryuichi Watanabe
Davide Mengacci
Eolo Perfido
Marco Cavina
Paolo Robaudi
3 commenti
Personaggio squisito di prim’ordine appassionato competente e da’ ottimi consigli
La “eleganza” che contraddistingue “il Giapponese” dai molti altri ( che cercano di raggiungerlo) è sempre stata proverbiale e tali doti empatiche sono presenti in ognun suo collaboratore. Bella intervista.
L’ ho conosciuto dal vivo la prima volta il 15 di aprile, in occasione della presentazione fotografica di Ivan De Francesco, Subito mi ha colpito la sua semplicita’ , non facile da trovare nei negozianti di questi tempi.
Così ho fatto un acquisto che meditavo da un anno e con lui ho trovato il giusto feeling,
Grazie Ryu un vero gentiluomo