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Ouidad Widy Bakkali: «Il politico deve usare i social per creare spazi, non muri»

di Erika Digiacomo
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La neo presidente del consiglio comunale di Ravenna è diventata assessore quando aveva solo 25 anni. Sebbene giovanissima – con una laurea in Scienze internazionali e diplomatiche e un percorso politico tutto da costruire – Ouidad Widy Bakkali, di origini marocchine e cresciuta a Ravenna, aveva già le idee molto chiare.

 

C’è chi usa i social con superficialità, per veicolare informazioni sbagliate. Ignorarli completamente, a mio avviso, non è la soluzione. Piuttosto, possono diventare uno strumento molto potente se usati per trasmettere contenuti positivi, di inclusione e non di esclusione.

 

Concreta visionaria, attivista politica, militante democratica, volontaria alle Feste dell’Unità e femminista, come si definisce, oggi con due mandati riconfermati alle spalle, Bakkali è stata la candidata più votata alle amministrative dello scorso ottobre con ben 986 preferenze. Un grandissimo risultato, per lei inaspettato, che si è tramutato in un altro importante riconoscimento: la nomina a presidente del consiglio comunale. «Comunicare alle persone, anche sui social, con contenuti propositivi, che non alzano barriere ma parlano delle cose che abbiamo in comune – spiega Bakkali si è rivelato sicuramente uno strumento potente, utile ad alimentare un rapporto di fiducia con l’elettorato».

È stata la consigliera più eletta tra tutti i candidati. Si aspettava un simile risultato?

Sinceramente non me lo aspettavo. È stata una vittoria molto emozionante, sono contentissima. La decisione di candidarmi è nata proprio dalla voglia di mantenere il legame con la mia città, di concludere i progetti avviati e di mettere al servizio di tutti le competenze acquisite in questi dieci anni. Anche la riconferma dell’attuale sindaco e i risultati complessivi di queste amministrative, ci rendono molto soddisfatti. Gli elettori hanno premiato il nostro impegno e voluto mantenere la stabilità di governo.

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Qual è stato, secondo lei, il punto di forza della sua campagna elettorale?

Penso al lavoro fatto in questi anni e che adesso ne stiamo raccogliendo i frutti. Le elezioni aiutano a capire se hai lavorato bene o meno bene. Quindi, prima di tutto, credo sia stato apprezzato il mio impegno come amministratrice, in secondo luogo il ‘cavallo di battaglia’ che ho scelto per questa campagna elettorale è stato sicuramente quello di comunicare alle persone, sia fisicamente, sia utilizzando i consueti canali del web come i social. I social media ormai fanno parte della nostra epoca, tutti conosciamo il loro ‘linguaggio’. C’è chi li usa con superficialità, per veicolare informazioni sbagliate, per alzare barriere e gridarsi contro. Ignorarli completamente, a mio avviso, non è la soluzione, si rischia di essere ‘tagliati un po’ fuori’. Piuttosto, possono diventare un mezzo molto potente se usati per trasmettere contenuti positivi, messaggi di inclusione e non di esclusione. In una campagna elettorale in cui c’era un candidato ogni 100 abitanti, dovevo scegliere una cifra per distinguermi. Così ho puntato sulla comunicazione anche digitale, come spazio “sociale” in cui creare dialoghi costruttivi per il bene collettivo.

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“Le cose che abbiamo in comune” è lo slogan che ha scelto per queste elezioni, cosa significa?

È un modo diverso, come dicevo prima, di comunicare alla gente. Mi spiego meglio. Oggi si tende spesso, soprattutto sui social network, a ‘polarizzare’ le proprie opinioni, innalzando barriere e mettendosi l’uno contro l’altro. In una comunità come la nostra, non tanto grande, sono sicuramente molte di più le cose che noi, amministratori, politici e cittadini, abbiamo in comune rispetto a quelle che ci separano. Quindi ho pensato a un messaggio che sottolineasse questo concetto e ho deciso di investire sulla comunicazione, attraverso podcast, video e contenuti su Facebook, per dare ai cittadini un luogo pacifico di incontro e di confronto. Ad esempio, in campagna elettorale, ho creato delle liste broadcast su WhatsApp, dove inviavo ai miei contatti – abbiamo raggiunto circa 150 persone – vocali di circa un minuto e mezzo, ogni due/tre giorni, per dare aggiornamenti sulle elezioni, informare sulle mie attività, quali erano i temi all’ordine del giorno, le priorità per la città, i progetti da portare avanti, ecc. In questo modo abbiamo sperimentato il canale della voce e devo dire che il riscontro è stato buono. Come succede con i podcast letterari o quelli radiofonici, le persone tendono a preferirli, perché possono ascoltarli mentre vanno al lavoro, mentre sono sul treno o in macchina.

“TEDAME” è il format di incontri che ha ideato. Com’è nato questo progetto e perché?

Anche in questo caso, ‘TEDAME’ nasce dalle cose che abbiamo in comune. Volevo dare ai miei ospiti uno spazio reale, dove scambiarsi idee, opinioni, posizioni politiche. Dopo quasi due anni di riunioni su Zoom, interviste live, spazi ‘artificiosi’ in cui a volte è difficile mettere a proprio agio le persone, ho scelto un luogo vero e accogliente. Poi ho pensato che una tazza di tè, come il caffè, aiuta a rendere un incontro ancora più intimo. Nelle mie origini marocchine, come nella cultura italiana, il tè o il caffè, creano momenti di aggregazione e di convivialità. Ecco cos’è stato ‘TEDAME’. Un luogo in cui trovarsi per condividere le proprie storie. Ho intervistato politici, imprenditori, intellettuali e anche persone più ‘ordinarie’ ma con esperienze di vita ‘straordinarie’. Abbiamo parlato di diritti e delle problematiche attuali, avanzato riflessioni politiche, economiche e sociali. Tutti spunti utilissimi per il mio lavoro.

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Se dovesse riassumere in una parola il suo modo di fare politica e quello che i cittadini vedono in lei, quale sceglierebbe?

Empatia e politica empatica. Credo, anche alla luce dei risultati elettorali, che i cittadini vedano in me una persona e una politica con cui poter aprirsi e dialogare.

Il primo punto della lista su cui si metterà al lavoro?

Il dato allarmante dell’astensionismo è sicuramente il primo punto da cui partire. Dobbiamo aprire i luoghi istituzionali e comunicare di più con le persone. Come consigliere e presidente del consiglio comunale porterò avanti questi obiettivi. Da qualche settimana ha creato “Le storie della presidente“, una rubrica sul mio canale Instagram, dove racconto cosa facciamo in consiglio comunale, spiego in cosa consiste il mio lavoro e quello delle altre figure istituzionali. In sintesi si tratta di piccole pillole di educazione civica.

 

Erika Digiacomo

 

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