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Per il brand “Resistenti Nicola Biasi” e il “Vin de la Neu” occorre un lavoro di squadra

di Patrizia Tonin
Visione, ambizione, trasparenza e precisione: sono queste le parole che meglio descrivono il miglior giovane enologo d’Italia. È Nicola Biasi, 41 anni, friulano d’origine e ora residente tra la Toscana e il Trentino dove produce il suo vino. Con un carattere timido, forte e fiero, tipico delle regioni di montagna e di confine, ci racconta la sua carriera professionale come enologo e consulente di oltre 20 cantine in Italia e all’estero, addentrandosi nella sua esperienza più importante e realizzazione del suo sogno: provare a produrre uno dei migliori vini bianchi al mondo in un territorio di montagna, indiscusso regno di produzione di mele.

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«Piantare Johanniter in Val di Non è stato un azzardo e, allo stesso tempo, una vittoria. Perché mi sono reso conto che, molto probabilmente, è il vitigno che meglio di tutti riesce ad esprimere il potenziale qualitativo di questo territorio.  Il Vin de la Neu è stato un vino di rottura per il suo posizionamento e per la zona dove nasce, le Dolomiti trentine. Nonostante le poche bottiglie prodotte (500 fino al 2019, ora mille), è diventato uno dei riferimenti tra i vini prodotti da vitigni resistenti, che possono giocarsi una “partita” ad armi pari con le varietà classiche. La limitatissima reperibilità rende il Vin de la Neu molto ricercato tra gli appassionati italiani e non solo».

Hai scelto di passare da enologo – dal lavoro in vigna – a produttore-imprenditore. Poi hai aggiunto l’attività di consulente per importanti cantine, fondando gruppi di ricerca nel settore vitivinicolo. Come si conciliano questi ruoli?

Tutta l’evoluzione che ho avuto nella mia professione è stata naturale. Dopo gli studi in enologia, da giovane sono stato dipendente per diverse cantine, in Italia per Jermann, Felluga e San Polo e Poggio al Tesoro della famiglia Allegrini – solo per citarne alcune – e all’estero per alcune realtà in Australia e Sudafrica. Nel 2012, mentre lavoravo in Toscana per una cantina, ho deciso di dare vita al mio progetto personale piantando i primi mille metri quadrati a Coredo, in Trentino, a 800 metri di altezza, nei terreni comprati dai miei nonni al loro ritorno dall’Australia. Nella zona notoriamente conosciuta per la produzione di mele, ho iniziato a piantare Johanniter – un vitigno resistente – e a produrre un vino bianco IGT vigneti delle Dolomiti: il Vin de la neu, “il vino della neve” in dialetto locale, perché nato il 12 ottobre 2013 sotto una fitta nevicata. Nel 2015 c’è stato un altro passaggio significativo della mia carriera: ho iniziato la libera professione come consulente enologo in Italia e all’estero, occasione unica per imparare davvero molto e per avere un continuo scambio con le aziende. L’ultima tappa, nel 2021, è stata la fondazione della rete di impresa “Resistenti Nicola Biasi” composta da 6 aziende italiane, compresa la mia, nata con l’idea di produrre vini sempre più buoni, realmente sostenibili, riducendo al minimo i trattamenti e le emissioni di CO2. Questa rete è un progetto ambizioso e precursore di un’enologia sempre più sostenibile, rispettosa dell’ambiente, che produce vini di qualità capaci di esaltare e “raccontare” le diversità del territorio.

Di recente sei stato premiato come miglior giovane enologo, in passato anche come ‘giovane promessa’. Che significa ricevere questi riconoscimenti?

I riconoscimenti e i premi sono molto importanti perché certificano che stai facendo un buon lavoro. Sono dei piccoli tasselli che danno valore alla tua figura professionale e, nel mio caso, al vino che produco. Nel 2015 sono stato premiato nella categoria “Next in wine” dei Preparatori d’uva Simonit&Sirch in collaborazione con Bibenda come giovane promessa dell’enologia. Nel 2020 Vinoway Wine Selection mi ha riconosciuto come miglior giovane enologo d’Italia e, negli anni, ho ricevuto premi per i vini prodotti e per il mio lavoro. L’ultimo e senz’altro uno dei più importanti è stato il “Cult Oenologist” al Merano Wine Festival nel 2021. Qui ho ricevuto il premio come miglior enologo, insieme ad altri 6 colleghi: di tutte le edizioni sono stato il più giovane in assoluto. È stato un premio significativo anche perché lancia un messaggio chiaro ai giovani enologi: bisogna fare molta esperienza pratica “sul campo”, possibilmente in giro per il mondo, per avere quella apertura e maturità lavorativa che ti permette di produrre vini di successo e di essere riconosciuto, anche di fronte agli enologi con più anni di esperienza alle spalle. Il trucco è iniziare a mettersi in gioco quando si è molto giovani, avere la forza e l’audacia di lasciare il posto fisso, così come ho fatto io a 25 anni partendo per l’Australia o quando ho lasciato una cantina per diventare enologo consulente e mettermi in proprio. Se non si rischia, non succede nulla.

Quali sono state le tue strategie di comunicazione nei tre ruoli e su cosa hai scelto di puntare di più per ognuno di loro?

Quando ero dipendente o all’estero, non avevo bisogno di una strategia perché il mio lavoro principale consisteva nell’imparare un mestiere e fare molta esperienza in diversi vigneti, nel territorio. La svolta c’è stata nel 2020, quando ho ricevuto il premio di cui parlavo prima, come miglior giovane enologo d’Italia: oltre ad affidarmi a un’agenzia di comunicazione, ho creato una rete di collaboratori con formazioni specifiche perché credo nella forza del gruppo e al lavoro coordinato. Ogni attività ha bisogno di una comunicazione specifica, anche se naturalmente tutte rispecchiano il mio modo di essere e di fare vino.

Sei attivo sui social (Instagram e Facebook) e hai un sito internet molto bello della tua cantina. Ti occupi individualmente della comunicazione o lavorate in gruppo?

Inizialmente li seguivo in prima persona, poi ho capito che servono delle competenze precise. Oggi li gestisce direttamente Martina Casagrande, la mia collaboratrice più stretta, supportata da professionisti del settore. Sono convinto che il lavoro di squadra sia fondamentale: per questo mi sono sempre affiancato a diverse figure professionali, sia per la parte tecnica con agronomi e giovani enologi, sia per la comunicazione con agenzie e consulenti. Penso sia importante investire nella formazione dei collaboratori: se uno di loro migliora nel proprio lavoro, anche la mia società migliora.

Pensi che i social network e la Rete siano sufficienti per comunicare il mondo del vino e il personal brand di Nicola Biasi?

I social network sono molto importanti e vanno fatti bene per trasmettere il giusto messaggio, ma non bastano sicuramente. Credo che le relazioni umane, le degustazioni e gli incontri dal vivo siano il miglior modo per comunicare e confrontarsi sul meraviglioso mondo del vino in generale, non solo sul mio lavoro.

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Hai mai fatto dei video tematici sull’enologia? Hai pensato di scrivere un libro?

Durante il primo lockdown del 2020 ho fatto dei video per presentare i vini di alcune cantine con le quali lavoro. Proprio in questi mesi stavo pensando di farne alcuni per raccontare il mondo dei vitigni resistenti con un linguaggio tecnico e allo stesso tempo più comprensibile anche per i meno esperti del settore. Mi piacerebbe scrivere un libro sulla “visione” e l’ambizione che occorre per svolgere il mestiere di enologo e di produttore: soprattutto per quelli che vogliono provare a produrre vini fuori dal comune.

Oltre alle riviste di settore e alle pubblicazioni scientifiche nel campo dell’enologia, come pensi si possa comunicare in modo efficace l’enologia, la ricerca e il mondo della viticoltura?

Bisognerebbe avere un linguaggio più semplice e immediato nel mondo del vino e quello più generale dell’enologia, magari pubblicando articoli in riviste non solo di settore. È importante saper raccontare un territorio oppure una storia sul vino, saperlo comunicare in maniera chiara e leggera.

Cosa ti sentiresti di suggerire ai giovani da giovane enologo?

Non avere scuse e dimostra che sei il più bravo. È vero che nel nostro mondo gli enologi anagraficamente più esperti sono più importanti, guadagnano di più, sono più ascoltati, ma questa non dev’essere una scusa. Anzi, dovrebbe essere la spinta per impegnarsi di più e farsi vedere più bravi in modo da ottenere più soddisfazioni e responsabilità.

Quali sono stati i tuoi esempi nel lavoro e nella vita? Ti hanno anche consigliato come comunicare meglio il tuo mestiere?

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Ho avuto molti esempi da seguire. Mio padre, enologo e direttore di una cantina, che mi ha insegnato la base del mio lavoro: l’attenzione, la cura e la precisione del dettaglio. Proseguendo con gli insegnanti a scuola fino ai grandi enologi con i quali ho lavorato, tutti diversi tra loro come caratteristiche e dai quali ho appreso molto. Ho fatto inoltre esperienza, in Italia e all’estero, che mi ha permesso di avere una mentalità molto aperta e pronta al cambiamento. Eppure posso dire che non ho ancora smesso di imparare e, sicuramente, avrò altri esempi da seguire.

 

Patrizia Tonin

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