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Monica Lasaponara: «In un micro-business, il mio brand è in equilibrio se raggiungo l’ikigai»

di Laura Galloppo
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Quante volte avete detto o avete sentito dire “Mollo tutto e cambio vita”? Monica Lasaponara, escape coach professionista, l’ha preso alla lettera. Partendo dalla sua esperienza personale, Monica oggi aiuta i suoi clienti a non lasciare cadere nel vuoto questa affermazione, ma anzi a costruire un percorso ad hoc per abbandonare una vita lavorativa che non ci rappresenta e non ci rende felici e abbracciarne una nuova che abbia per noi (e per gli altri) notevole valore e significato. Intervistiamo oggi Monica Lasaponara, autrice del libro “Mollo tutto e cambio vita” e capiamo con lei il fondamentale ruolo del personal branding nella costruzione di un micro-business. Ma ad un patto: che sia empatico e autentico!

 

Il personal branding non può prescindere dall’empatia.

 

Nel tuo libro, parli molto spesso del concetto giapponese chiamato “ikigai”, una sorta di “Santo Graal” da ricercare intensamente per stare bene, ossia trovare un punto di equilibrio tra “quello che ami”, “quello di cui il mondo ha bisogno”, “quello che ti fa stare bene”, “quello per cui puoi essere pagato”. La teoria è questa, ma ci racconti qualcosa sul suo metterlo in pratica?

L’Ikigai è un antico concetto giapponese che vuol dire “una ragione per vivere”. È raffigurato con un diagramma che ha al centro una specie di punto magico, l’ikigai appunto. Trovarlo ti permette di capire qual è il tuo vero scopo nella vita, ossia qualcosa che si trova all’incrocio di 4 macroaree molto importanti che sono legate non solo a ciò che amiamo, ma anche a ciò che ci fa realmente stare bene. Queste due aree si incrociano con altre 2 aree esterne, che sono il bisogno che qualcuno può avere di ciò che per noi è importante, e il fatto che questo bisogno possa anche generare un guadagno. L’ikigai diventa dunque un punto di incrocio in cui io riesco a far funzionare qualcosa che per me ha senso, che può avere senso anche per gli altri, e che determina una possibilità di successo professionale.

Detto così sembra molto semplice, in realtà non lo è perché comunque esistono diversi step da mettere in pratica per raggiungere l’ikigai. Può anche spaventare perché l’ikigai sembra quasi una formula magica. Io lo vedo e lo consiglio nel mio lavoro come qualcosa da tenere sempre sott’occhio per verificare le proprie decisioni. Faccio l’esempio di un’idea imprenditoriale, come può essere una start up. Spesso le idee imprenditoriali nascono sulla base di ciò che “va di moda”, siamo attratti da business di successo perché offrono facili guadagni, eccetera. In quel caso – appurato che è un qualcosa che sopperisce a un bisogno e genera guadagno – bisogna chiedersi: “Ma a me piace?”, perché altrimenti potremmo ricadere verso un obiettivo più di vendita che di benessere.

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Bisogna vedere l’ikigai come qualcosa che serve per prendere una decisione. Se faccio qualcosa tutto il giorno che amo e che mi fa stare bene, ma questo non serve a nessuno oppure nessuno mi pagherebbe per farlo, è chiaro che io sarò scontenta e viceversa.

Una delle tue doti personali e che traspare ampiamente nel libro “Mollo tutto e cambio vita” è la tua capacità di essere empatica. Riesci a metterti nei panni del cliente nel tuo lavoro di coach, ad immedesimarti nelle sue paure, credenze limitanti. Quanto è importante la dote dell’empatia nel raccontare anche se stessi, e quindi nel personal storytelling?

L’empatia è una dote innata, però è anche vero che l’empatia è qualcosa che si può imparare, su cui si può lavorare. A tal proposito c’è un libro che è una vera pietra miliare: “L’intelligenza emotiva” di Daniel Goleman. Questo libro ci insegna quanto lo sviluppo dell’empatia nel bambino sia importante per il suo successo nella vita. Una persona che ha successo, che è in grado di creare delle relazioni lavorative e personali soddisfacenti, non è detto che sia la persona più intelligente di tutti, ma è colui o colei che riesce a coltivare, grazie all’aiuto dei propri genitori, e poi lavorandoci anche personalmente, l’empatia. Va da sé che dunque l’empatia è una caratteristica che migliora il nostro modo di lavorare.

Il personal branding, a mio avviso, non può prescindere dall’empatia per un semplice motivo. Se io ho necessità di essere me stessa e di vendere i miei prodotti e servizi (e anche il mio modo di affrontare il lavoro) non posso non andare a ricercare dei clienti in grado di relazionarsi con me. Se io non sono autentica in prima battuta mi troverò a lavorare con persone che non avranno capito il mio modo di essere, e il mio modo di lavorare. Probabilmente avrò uno scollamento tra i miei valori e ciò che magari le persone si aspettano da me. Il consiglio che offro sempre per il personal branding, anche a costo di perdere qualche cliente, è quello di cercare il più possibile di essere veramente autentici perché in quel caso l’empatia viene da sé.

Mi spiego meglio. Io, ad esempio, riesco ad essere empatica rispetto alle paure, alle credenze limitanti dei miei clienti perché io le ho vissute tutte e molte sono riuscita a superarle, anche se alcune non si superano mai ma al massimo ci si abitua a conviverci. Se io invece dovessi creare il mio personal branding sulla base di qualcosa che io non so, che non ho vissuto e di cui non ho fatto esperienza concreta e reale, potrebbe essere solo un racconto “di facciata”. Qui torniamo al concetto precedente dell’ikigai.  Se tutto quello che comunico verso l’esterno non si aggancia a quello in cui credo, il mio personal branding sarà non solo più difficile ma anche meno proficuo.

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Nel libro “Mollo tutto e cambio vita” ti sei raccontata in prima persona mostrando il faticoso percorso che ti ha portato a cambiare la tua vita lavorativa, da dipendente a libera professionista realizzando la tua idea di business. Hai spesso mostrato le tue cadute e i tuoi errori. Una strategia di personal branding si può impostare anche sugli errori?

Sì, si può impostare sugli errori, anzi si deve impostare sugli errori, con dei distinguo però. Dipende chiaramente molto da ciò che promuoviamo, dal prodotto che vendiamo. Il prodotto o servizio in questo caso determinano un po’ il nostro personal branding. Non intendo dire che bisogna nascondere qualcosa, ma ci possono essere prodotti per i quali lo storytelling personale può non avere la necessità di essere comunicato anche nei propri fallimenti e insuccessi. In tutto ciò che si lega al supporto alle persone, come per i servizi che offro io, secondo me è importantissimo invece fare questo passaggio.

Io in particolare parlo di cambiamento. Tutte le persone che si rivolgono a me molto spesso hanno paura o una reticenza a cambiare. Hanno la convinzione di essere strani o diversi, unici, sfigati. Ognuno pensa di avere qualcosa che non va. Siamo anche in parte “drogati” dalla società in cui viviamo, dai social, dal fatto che tutto sembra meravigliosamente bello, e quindi crediamo che per qualche motivo noi non possiamo “farcela”.

La mia scelta è stata proprio legata a dire questo: partiamo tutti dallo stesso punto, siamo tutti esseri umani con le proprie debolezze, le proprie forze, la propria unicità. Quello che è importante è essere consapevoli che non esiste una formula magica, ci possono essere persone che impiegano 3 mesi e persone che impiegano 10 anni a realizzare ciò che vogliono. Questo non succede perché una persona è più intelligente di un’altra, ma è qualcosa legato al proprio percorso di vita e a ciò che ci può capitare nel bene e nel male.

Offrirsi in maniera nuda e cruda è fondamentale nell’ottica in cui può avvicinare, se parliamo di personal branding, il cliente facendolo sentire non come una persona che è manchevole in qualcosa, ma come chi non ha ancora raggiunto quell’obiettivo. Confrontarsi con chi invece lo ha raggiunto – e mostrare la propria esperienza – sicuramente dimostra che ci sono dei passi da fare e che c’è un percorso su cui si può iniziare a lavorare.

Come particolarmente evidente nel tuo videocorso racchiuso in 20 video lezioni, Il lavoro che svolgi è in particolar modo incentrato sui micro-business, per i quali offri dei servizi di consulenza, aiutandoli prima a mettere a fuoco l’idea imprenditoriale, e poi a svilupparla. Sicuramente la cura del proprio profilo e presenza online è una delle cose più rilevanti per far crescere un micro-business. In tre mosse facili da ricordare, cosa dovrebbe fare chi ha un micro-business e vuole impostare la propria strategia di personal branding?

Sì, nel mio videocorso affronto molto approfonditamente questo punto. La prima cosa fondamentale è l’ikigai, che possiamo in un’ottica più imprenditoriale definire MISSION. Ovvero quello che tu decidi con il tuo prodotto o il tuo servizio di voler offrire alle persone in un’ottica di beneficio. Ogni business, ricordiamolo, nasce per risolvere un problema. Questo è il fulcro della mission ed io devo definire che cosa la persona che si avvicina al mio prodotto/servizio si porta a casa.

Da quella nascono 2 cose. La prima è il personal storytelling, cioè andare a raccontare una storia intesa proprio come la trama narrativa di una favola in termini arcaici. Il personal storytelling narra il perché io sono arrivato a questa mission, “appoggiandosi” chiaramente alla storia della mia vita (intendo a ciò che è rilevante nell’ottica della costruzione di un business). La seconda cosa è una chiara definizione dei prodotti e servizi da offrire. Sai cosa succede molto spesso? Si inizia a parlare, a promuoversi… Ma poi ci si rende conto che non si hanno dei prodotti e servizi concreti in vendita. Il risultato è che il nostro personal branding manca della cosa più importante. Se un cliente ascolta la nostra mission e il nostro storytelling, e in qualche modo ne resta colpito, deve avere la possibilità di un accesso immediato a quello che è un prodotto o un servizio ben definito, chiaro e soprattutto ben ragionato. Un potenziale cliente deve capire subito cosa si porta a casa.

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Spesso si fa un passaggio inverso. Prima si apre un profilo IG e poi si torna indietro per affrontare gli altri step. Invece questo deve essere un percorso da costruire e da avere molto chiaro, altrimenti poi il personal branding risulta anche poco efficace. Per esempio, io mi potrei trovare ad avere delle richieste di consulenza, e non sapere come incasellarle in un sistema vero e proprio di vendita. Queste sono 3 cose fondamentali su cui lavorare prima di aprire i social: ikigai, personal storytelling e definizione prodotti/servizi. Ora basta solo iniziare!

 

Laura Galloppo

Credits Photo: Patrizia Corriero

 

 

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