Il padre Raoul come esempio, «ma il mio brand non è frutto di un cognome famoso. Da lui ho imparato che per affermare la propria identità è indispensabile puntare su una caratteristica personale, che ti differenzi dagli altri e ti renda riconoscibile»
In ogni casa c’è qualcosa di bello da valorizzare, un potenziale da far emergere. Basta guardarla con occhi diversi… Nel suo ruolo di home stager, Mirna Casadei ci aiuta a valorizzare la nostra casa da mettere in vendita o in affitto. Ma anche un bed & breakfast, un hotel o un appartamento turistico: «Portare il bello e l’armonia nelle abitazioni è ciò che amo fare». In questa intervista, la figlia di Raoul Casadei ci racconta di come ha lavorato sul proprio brand personale. «Curando per anni il look dei musicisti sul palco, so bene quanto è importante il modo di presentarsi, di vestirsi, di parlare e di relazionarci con gli altri. Oggi nel mondo immobiliare esiste un vero problema di comunicazione fra venditore e acquirente: mentre quest’ultimo sta immaginando una casa per realizzare un sogno, l’agente immobiliare parla di metri quadri calpestabili, rendita catastale, certificazioni energetiche. Due linguaggi opposti che faticheranno a incontrarsi».
Mirna, lei è conosciuta al pubblico anche per il suo ruolo di tutor del programma “Detto Fatto” di Rai Due. Ci spiega in che consiste la professionalità di un Home Stager?
Un Home Stager è un esperto della valorizzazione immobiliare. In sostanza è un consulente di immagine per le case. Il mercato immobiliare è un settore molto vivo e dinamico che però ha ancora una grossa lacuna nella presentazione degli immobili. Sui siti delle agenzie o sui portali immobiliari si trovano annunci di case in vendita a dir poco imbarazzanti: case sporche, in confusione, piene di oggetti personali, con mobili vecchi e brutti, oppure case completamente vuote e spoglie che non suscitano alcuna reazione e non fanno comprendere gli spazi. Le fotografie delle case in vendita poi sono quasi sempre fatte casualmente, magari inquadrando un angolo di pavimento o una parete vuota.
È incomprensibile quanto tempo e cura dedichiamo alla nostra automobile usata che vogliamo mettere in vendita e quanta poca attenzione mettiamo quando vogliamo vendere un immobile. E pensare che nell’automobile usata possiamo ricavarci in media 10.000 euro mentre in una casa si parla come minimo di cifre a 5 zeri. Ci rendiamo conto e sappiamo bene che in ogni piccolo prodotto che acquistiamo quotidianamente c’è uno studio molto profondo del packaging, dei colori, della forma dell’involucro, dei font e della grafica. Anche una casa è un prodotto da vendere. Un prodotto che tocca il cuore e le emozioni più intime delle persone. Eppure in questo caso ce ne dimentichiamo completamente e “buttiamo là” due foto con la tavoletta del wc alzata, il divano stropicciato e lo stendino dei panni “apparecchiato” in mezzo al soggiorno. Sembra incredibile.
Da quando ho intrapreso questa attività migliorare la presentazione degli immobili sul mercato più che un lavoro per me è diventata proprio una missione! Senza contare che quando le case sono valorizzate con un intervento di Home Staging fatto bene si vendono in pochissimo tempo non arrivando neanche al primo fisiologico ribasso, perché aumentando il valore percepito si alza anche il target di riferimento. La vendita veloce però non è per me il primo vantaggio che la mia professionalità porta all’agente immobiliare. Il primo vantaggio sono i tantissimi contatti che gli annunci con delle immagini belle e curate portano direttamente all’agenzia. Contatti molto profilati perché sono persone che cercano casa in quel periodo storico e in quella zona geografica. Questi contatti sono preziosi come l’oro per i mediatori immobiliari, perché permettono di concludere più vendite (e quindi realizzare altre provvigioni) grazie alle fotografie di un solo immobile.
Il nostro magazine si occupa di personal branding: quanto è fondamentale per la sua attività il “metterci la faccia”? Nel suo caso, come gestisce la componente del cognome famoso?
Metterci la faccia è fondamentale. Il fattore umano è fondamentale. Le allieve dei miei corsi lo sanno bene perché insisto molto su questo aspetto. Il nostro cliente vuole vedere con chi parla, se a pelle si può fidare oppure no, se la nostra immagine rispecchia il servizio che vendiamo oppure no. Ho curato il look dei musicisti sul palco per molti anni e so bene quanto è importante per il nostro personal branding come ci presentiamo, come ci vestiamo, come parliamo e come ci poniamo verso gli altri. Ogni giorno vado a raccontare agli agenti o investitori immobiliari che creo atmosfere accoglienti, luminose, pulite ed eleganti, scegliendo uno stile neutro e trasversale che piaccia al maggior numero possibile di potenziali acquirenti. Non potrei mai presentarmi davanti a loro con un abbigliamento super colorato o confusionario, troppo truccata o agghindata con accessori o bijoux in eccesso. Non saprebbero se credere a quello che vedono o a quello che sentono perché non ci sarebbe coerenza. E quando non c’è coerenza nella comunicazione il personal branding si indebolisce, le persone non si sentono al sicuro e fanno un passo indietro. Inoltre sono convinta che sentirsi in ordine e a proprio agio sia fondamentale per comunicare sicurezza. Anche semplicemente il nostro abbigliamento, il “quanto ci sentiamo bene in quei panni” può influire parecchio, in modo negativo o positivo, sulla nostra performance e sulla nostra comunicazione.
Per quanto riguarda il cognome famoso invece, dopo 25 anni di lavoro con l’Orchestra di famiglia, dove mi occupavo di immagine, grafica, video, scenografia e organizzazione eventi, il cognome per i primi periodi ho deciso di eclissarlo. Ero molto timida, lavoravo solo dietro le quinte e nessuno mi conosceva. La gente era convinta che Raoul avesse solo due figli e non tre. Io avevo sempre preferito stare in disparte e lavorare nel backstage. Per questo all’inizio il mio logo e il nome della mia nuova attività era Mirna.C Homestaging. Una Mirna qualunque. Solo dopo i primi appuntamenti col cliente e il sopralluogo alla casa da allestire, si entrava in contatto sui social, da lì vedevano il cognome, le foto postate e capivano la parentela. Quando venivano sul posto, mi chiedevano “ma tu sei la figlia di Raoul?” come se trovassero strano che la figlia di un personaggio famoso fosse lì a lavorare per loro. Così ho voluto iniziare e affermarmi. Volevo le porte in faccia, volevo i “no” e non una corsia preferenziale solo per amore di un grande personaggio amato e rispettato da tutti. Poi, presa la mia strada, ho potuto scoprire le carte.
Come ha ragionato rispetto al posizionamento del suo brand? Su quali strumenti di marketing ha deciso di puntare?
Non ho pianificato, mi è venuto naturale. Per tutta la vita ho avuto davanti un grande esempio e continuo ad averlo anche oggi. Raoul (l’ho sempre chiamato per nome e quasi mai babbo o papà) era un grande grandissimo comunicatore. La sua era una dote naturale. Aveva solo una faccia: quella che tutti vedevano. Era proprio così: aperto, ottimista, solare e generoso sul palco, dietro le quinte e con i vicini di casa. E in famiglia naturalmente. Da lui ho imparato le cose fondamentali: per affermare il proprio personal branding è indispensabile puntare su una caratteristica vera, non costruita, magari semplice e “terra terra”, ma mai impostata, mai studiata a tavolino. Più la caratteristica è vera e più si rafforzerà in tutti i punti di contatto con il tuo pubblico, i tuoi clienti o con la tua community, perché ogni volta, in ogni tuo dettaglio, troveranno coerenza. E la coerenza alimenta la fiducia, il “sentirsi sicuri di trovare sempre la stessa cosa”, percepire da quella persona ogni volta la stessa sensazione. Un’altra cosa che ho imparato da lui è essere aperti a collaborare con tutti e dare, dare sempre. Raccontare le proprie idee senza paura di farsele “rubare”, coinvolgere altri professionisti per realizzare progetti insieme, condividere. In questo c’è una sola regola imprescindibile per me come lo era per lui: che si abbia a che fare solo con persone pure ed oneste. In questo modo il 50% del guadagno lo devi cedere a qualcun altro è vero, ma tu così hai guadagnato il 50% di felicità.
Un’altra cosa importantissima che mi ha insegnato è parlare alla gente in modo semplice. Lui è stato maestro elementare per 17 anni e il suo modo di parlare ai bambini, facile e comprensibile, lo ha portato anche sul palcoscenico. Quando parlo ai miei clienti del mio lavoro e di come posso essere loro utile, è come se gli stessi raccontando una storia, un racconto di passione e amore per il mio lavoro, di emozioni che una casa ben presentata può suscitare. Prendo un appuntamento di mezz’ora e dopo due ore e mezza siamo ancora lì a parlare!
Nel mondo immobiliare c’è anche un vero problema di comunicazione fra venditore e acquirente: l’agente immobiliare parla di metri quadri calpestabili, rendita catastale, certificazioni energetiche, mentre la persona che ha davanti sta sognando una casa per creare una famiglia, avere dei figli, viverci con il compagno o la compagna, realizzare un sogno. Sono due linguaggi opposti che faticano a trovare un punto d’incontro. L’Home Staging, l’allestimento e la presentazione della casa, utilizza una comunicazione visiva immediata ed emozionale che mette in contatto le due parti e facilita il dialogo. Per questo è così efficace per la vendita: le persone si innamorano della casa dalle fotografie, ancora prima di visitarla fisicamente. E quando una persona arriva già ben disposta e pensa “vorrei vivere qui” il prezzo va a finire in secondo piano e non ci sono lunghe trattative o proposte al ribasso. C’è solo da stabilire i termini della compravendita.
Qual è il suo rapporto con i social media e di fronte a una telecamera?
Come dicevo prima sono sempre stata timidissima e la mia famiglia non è mai riuscita a convincermi ad andare davanti a una telecamera. Poi è successa una cosa: sono diventata mamma. E lo sono diventata ad un’età molto consapevole (42 anni). Quando sono uscita dalla sala parto ho detto a me stessa che se avevo saputo affrontare quello tzunami ed ero riuscita ad uscirne viva, non avrei avuto più paura di niente nella vita. E così è stato. Dal non riuscire a dire il mio nome a voce alta, sono passata di colpo a parlare in diretta su Rai Due. Un bel salto! Le persone a me vicine erano incredule. Dall’avere paura di bagnarsi i piedi, a tuffarsi in mare aperto.
I social media? Mi piacciono, li uso quotidianamente e mi piace curarli personalmente, ma non mi piace vedere quando tutti si uniformano al modo di comunicare del momento. È di tendenza fare i balletti nei reel? E via, tutti a fare il balletto e sotto ai miei occhi scorrono migliaia di reel tutti uguali che magari hanno tante visualizzazioni ma finiscono per spersonalizzare chi li crea. Le regole dei social poi cambiano troppo velocemente ed è inutile correre dietro all’umore dell’algoritmo di turno. Meglio essere sé stessi, comunicare quello che ci piace, come ci piace e soprattutto come più si addice alla nostra personalità. Pochi follower? Non importa. L’autenticità ha i suoi tempi ma vince sicuramente sulla moda del momento. Ad un mondo “mordi e fuggi” preferisco le radici.
Che tipo di lavoro c’è dietro uno scatto fotografico “emozionale”?
C’è una grande preparazione. Una Home Stager deve avere molte competenze per arrivare a un risultato emozionale, sia al momento dell’allestimento e dello scatto fotografico che durante la visita all’immobile. Deve saperne di composizione, scenografia, psicologia del colore, superfici e materiali, textures, armonia delle forme e feng shui. Ogni piccolo dettaglio contribuisce a rendere la visita alla casa una vera e propria esperienza sensoriale. Prima di tutto a monte c’è una grande ricerca del materiale di allestimento; non devono mai essere pezzi banali o troppo “già visti”, bisogna mixare pezzi super economici e diffusissimi con pezzi particolari e ricercati. Sono sempre alla ricerca di nuovi fornitori che mi permettano di rendere i miei allestimenti diversi dalla massa. A volte l’Home Stager lavora in team con il fotografo. Io invece quando realizzo una composizione – e nel guardarla provo un’emozione – voglio scattare personalmente, per cercare di trasferire a chi guarda il mio punto di vista e fargli provare la mia stessa emozione. So di non essere tecnicamente preparata in fotografia, ma riesco a catturare l’emozione ed è proprio quella che vende l’immobile.
Ha mai pensato di scrivere un libro sul proprio percorso (personale e professionale)?
Ci ho pensato molte volte, ho anche un editore pronto a pubblicare, ma ho troppi progetti nel cassetto e dedicarsi alla stesura di un libro significa fermarsi per un periodo con tutto il resto. E come faccio io a stare ferma? Impossibile. Mi piacerebbe molto impostare un libro con belle foto da guardare e testi emozionali da leggere. Magari anche con parti tattili. Ecco, sta prendendo forma nella mia testa proprio adesso una nuova idea… fermatemi! Comunque sono convinta che “il bello” nella vita sia importante e bisogna saperlo apprezzare anche nelle piccolissime cose perché ogni momento della tua giornata possa trasferirti benessere emozionale. Questo è il concetto che vorrei trasmettere se riuscissi a scrivere un libro.
Adesso, oltre che alla mia attività di Home Staging, mi piace moltissimo dedicarmi ai corsi di formazione solo ed esclusivamente in presenza. Dopo il Covid le persone si stanno troppo abituando al webinar e ai corsi online. Io lotto per restare legata al contatto umano. Anche questa per me è una missione. Organizzare un corso in presenza comporta molto più tempo, impegno e molte più spese di un corso online, ma io preferisco non adattarmi a questa alienazione mascherata da comodità. Nei corsi online una persona parla e gli altri ascoltano e i corsisti non riescono nemmeno a conoscersi fra loro. Non ti rimane niente. Nei corsi in presenza ci sono i pranzi insieme e i coffee break dove si intrecciano consigli professionali con esperienze personali, si parla di vita, di lavoro, di famiglia. Di come una cosa si interseca e influisce con l’altra. Le allieve instaurano amicizie e collaborazioni lavorative. Il corso non finisce dopo la settimana di corso! Si gettano semi, si scambiano sorrisi e confidenze. Ci si racconta sogni. Dalla settimana di corso si porta a casa una quantità enorme di nozioni, tecniche, strategie, consigli pratici, schemi da seguire e tutti gli strumenti per far partire la propria attività, ma si torna a casa anche con il cuore pieno di entusiasmo e una carica incredibile.
Quali sono il genere di case che ama di più e perché? Ce n’è qualcuna anche legata alla sua infanzia?
Amo le case piene di luce e personalizzate. Non mi piacciono i “kit già pronti” dove tutto è uguale e piatto. Amo le case che rispecchiano la personalità di chi le abita. Mi piace che siano in ordine e con poca oggettistica ma mai perfette. Mi piace mixare gli stili e i sapori. Il nostro carattere ha diversi aspetti a volte anche contrastanti fra loro. Se la casa deve rispecchiarci e farci sentire al sicuro deve anche esprimere i diversi lati del nostro essere. Io ad esempio amo la semplicità, la tranquillità e le atmosfere morbide, ma adoro il rock e sono molto tecnologica. Due aspetti che sembrano contrastanti ma che convivono perfettamente in me e di conseguenza anche nella mia casa.
La casa che amo deve farmi sentire come se fossi tutti i giorni in vacanza in un posto meraviglioso. A casa mia ho utilizzato superfici grezze (cemento), toni dell’azzurro (vivo al mare e lo adoro) e materiali della Natura tipo il legno non trattato. Esiste una teoria che si chiama Biofilia secondo la quale avere in casa elementi della Natura trasmette moltissimo benessere e io ne sono convinta. E poi la casa mi piace vissuta. Dentro casa mia si può anche girare in bicicletta! Non esiste che scelgo un bel pavimento e poi ho il terrore di rigarlo, oppure che compro un divano chiaro e poi lo copro con un telo perché sia sempre perfetto. Dentro la mia casa devo essere libera, così come i miei ospiti ai quali amo far trovare un ambiente ordinato ma informale.
Queste sono le mie regole fondamentali per l’Home Wellness:
- Tanti punti luce ben distribuiti invece che un punto luce forte centrale
- Lampadine esclusivamente a luce calda (quasi gialla)
- Materiali morbidi da toccare
- Forme rotonde e pochi spigoli
- Elementi naturali (piante, legno, pietra)
- Sempre una leggera musica in sottofondo (da poter alzare in ogni momento per cantare a squarciagola).
L’investimento migliore che ho fatto in casa mia è stato quello della filodiffusione. Collego lo smartphone all’amplificatore e lui diffonde la musica in tutti gli ambienti della casa, compresi i bagni, il garage, terrazzo e lavanderia. Anzi, gli ambienti di servizio (quindi di lavoro) sono quelli in cui la musica è fondamentale. Della casa di famiglia ho un ricordo bellissimo. Quando ero bambina si usava vivere nella stessa casa con i nonni e grazie all’attività di famiglia, la nostra casa era un vero porto di mare: gente nuova ogni giorno, pranzi e cene continue sia di lavoro che con amici. La mia è sempre stata una famiglia aperta e ospitale. Mai porte chiuse a chiave, mai tende tirate o tapparelle abbassate. Il sole doveva sempre entrare in casa, così come le persone. Devo ammettere che per un certo periodo io e la mia timidezza di allora ne abbiamo un po’ risentito, ma ora capisco da dove è nato il mio senso di ospitalità e la mia voglia di adoperarmi sempre per far sentire bene gli altri.
Qual è la sua missione come formatrice di nuove generazioni di Home Stager?
Mi piace coinvolgere le persone, invitarle a mettersi in gioco, a realizzare un sogno. Nella vita è fondamentale fare un lavoro che ci piaccia, che ci permetta di esprimere la nostra creatività, che ci lasci gestire i nostri tempi. Io do loro uno spunto per iniziare, aiuto le allieve a partire da un punto concreto per poi approfondire e crescere. Sono convinta che i corsi portino alla luce quello che ognuno ha già dentro. La mia missione vera è far capire l’importanza che “il bello” ha nella vita e formare professioniste che applichino questo principio nel mondo del lavoro. Uno stile di vita che si impara e si diffonde attraverso una professione. Prendersi cura delle case per fare felici le persone. Lavorare bene, essere adeguatamente retribuiti ma non pensare solo “al cassetto”. E lavorare felici perché, vi svelo un segreto, la vita passa in fretta.