Dalle strategie di riposizionamento al nuovo sito, dai social all’ufficio stampa, fino alla pubblicazione di un libro scomodo che svela il dietro le quinte del mondo del calcio. Ecco come Laudicino – costruendo con metodo il proprio brand personale – è arrivato a girare mezza Italia per promuovere il suo manuale e una figura professionale completamente rinnovata.
Il suo mantra è smetterla di pensare che il marketing sportivo significhi piazzare cartelloni a bordo campo o elargire braccialetti per l’hospitality… «Il marketing sportivo è una scienza che ha prima di tutto un obiettivo: riallacciare il rapporto sentimentale tra tifosi e club che nell’ultimo ventennio è praticamente evaporato. La colpa? È di un sistema che ha venduto l’anima ai diritti televisivi, dimenticandosi delle persone».
Da anni Maurizio ha messo le sue competenze al servizio dello sport, collocando il tifoso al centro del suo lavoro. Collaborando al progetto del suo primo libro, “Sport marketing formula. Come fare vincere la squadra anche fuori dal campo riportando il tifoso al centro”, edito da Flaccovio, abbiamo potuto vivere in prima persona l’autenticità e la passione di Maurizio Laudicino, direttore generale del Pistoia Basket e grande esperto di marketing e comunicazione.
«Da molto tempo mi occupo di marketing sportivo: calcio, basket, tennis, volley. Per oltre 25 anni mi sono sempre dedicato al marketing ma in tutt’altri settori e a vari livelli. Poi una svolta improvvisa, un’occasione di quelle da non lasciarsi scappare mi ha letteralmente catapultato nel ruolo di direttore marketing di una squadra professionistica che è un mestiere atipico, un’esperienza molto stimolante. Ma l’impatto con un mondo reso schiavo dai diritti televisivi mi ha riportato con nostalgia alla passione che avevo da bambino, per le gesta dei singoli giocatori di cui attaccavo le figurine sull’album della Panini. Dov’era finito tutto questo? Perché i manager, anche di grandi club professionistici, non si erano resi conto di quanto fosse grave il proposito di tralasciare il rapporto con i tifosi? Come mai non si erano accorti del delitto che si compie nel soffocare l’entusiasmo di una comunità, di un territorio? Di genitori che non sanno più cosa tramandare in termini di passione sportiva ai propri figli?».
Al governo del calcio non sono bastati i numeri che vedono un deciso regresso delle presenze sugli spalti e un generalizzato disamore tra le nuove generazioni, a cui questo sport interessa sempre meno. «È proprio così: nessuno ha dato peso ai 150 fallimenti di società negli ultimi 15 anni, meno che mai ai bilanci da default dei club più importanti della serie A… Per il gotha del calcio l’importante era solo incamerare i miliardi dei diritti tv e garantire un tenore di vita stellare a giocatori, allenatori, dirigenti e procuratori. Ma ora che anche il prodotto televisivo perde appeal, cosa può accadere?».
Il metodo Laudicino
Per passare con autorevolezza dal marketing generalista al settore sportivo, Laudicino ha affrontato un percorso di personal branding per impostare una comunicazione innovativa. Ha lavorato sulla sua nuova identità, ha studiato tutte le sfaccettature, le situazioni e i protagonisti di un mondo che stava profondamente cambiando e del quale lui stesso voleva farne parte da protagonista.
«Con l’idea di mettere la mia esperienza trentennale al servizio di una nuova generazione di professionisti del marketing sportivo, ho capito che bisognava partire dal basso, dalle società dilettantistiche, e lavorare con gli sport minori. Pensare di partire subito da squadre top è un sogno; la realtà è farsi le ossa, capire il contesto e poi compiere i passi necessari. Credo che sia proprio l’approccio di chi si occupa di marketing sportivo a essere sbagliato, fin dall’inizio. Io sono arrivato in questo mondo solo dal 2017, eppure grazie ai 25 anni trascorsi nel marketing generalista sono riuscito a fare un salto triplo. Se fossi partito direttamente dallo sport, senza le mie esperienze pregresse, probabilmente avrei compiuto gli stessi errori che vedo ripetere da tanti colleghi, che continuano a reiterare modelli superati e inefficaci».
Insieme al sito personale e al blog dove Maurizio ha iniziato a trasferire le sue emozioni professionali, è nato il cosiddetto “metodo Laudicino“: un vero e proprio decalogo in dieci passi per creare e rafforzare il legame tra tifosi, squadra, atleti e aziende. Perché il cuore dello sport rimane sempre il tifoso ed è verso di lui che ogni strategia deve essere orientata.
«Ho letto un sacco di libri e avuto la possibilità di frequentare diversi seminari di management sportivo. Il problema è che si fa troppa teoria senza mai arrivare alla pratica. Per chi si affaccia al marketing sportivo per la prima volta, trovandosi a gestire società con un giro di affari molto minore, è fuorviante iniziare a concentrarsi su sponsor da milioni di euro sulle maglie: sono situazioni lontanissime dalla quotidianità… La mia fortuna è stata quella di partire dal basso, di fare una lunga trafila nel mondo delle aziende in tanti settori diversi. Solo a quel punto ho potuto portare nel mondo dello sport quello che avevo imparato, raggiungendo un successo incredibile e fulmineo. In sei anni ho lavorato con società professionistiche, tra i quali il Livorno Calcio in serie B, e oggi sono il direttore generale del Pistoia Basket 2000, società che milita in Serie A da anni. È ovvio che lo studio e la formazione rimangono fondamentali, ma è altrettanto indispensabile fare gavetta, soprattutto per rimanere con i piedi per terra. Un bravo manager deve sperimentare cosa vuol dire recarsi dal titolare di un piccolo negozio e chiedergli mille euro di sponsorizzazione: solo allora, rendendosi conto di quanto quella somma sia importante per l’esercente, si riuscirà a dare il giusto valore a eventuali cifre più elevate».
Il primo libro non si scorda mai
Ligure di La Spezia, classe 1966, Laudicino ha iniziato la sua carriera nel mondo degli eventi e ha diretto per sette anni la Capannina di Franceschi a Forte dei Marmi. Poi il passaggio al marketing sportivo, tra cui due anni come direttore marketing del Livorno Calcio (conclusi con un +25% degli spettatori e un +40% degli abbonati). A conferma di quanto le gesta sportive siano esaltate dalla sintonia con la piazza, nel campionato 2017-2018 gli amaranto sono stati promossi – contro ogni pronostico – dalla Lega Pro alla Serie B, per poi centrare una miracolosa salvezza l’anno successivo. La nuova avventura come direttore generale del Pistoia Basket, iniziata a settembre 2021, consolida il legame con la squadra a cui si è dedicato con soddisfazione nelle ultime due stagioni, anch’esse costellate di trionfi sportivi. All’indomani della nomina come direttore generale la squadra ha conquistato la Supercoppa italiana, primo trofeo a quelle latitudini dopo 13 anni di digiuno.
«Sono molto legato alla Toscana perché qui ho avuto l’opportunità di studiare, perfezionare e applicare con successo la mia sport marketing formula, un approccio che permette ai tifosi di sentirsi parte del progetto sportivo. Cosa che nel grande calcio ormai non avviene più, salvo poche eccezioni che si contano sulle dita di una mano: Atalanta, Cagliari, Cittadella. Gocce in un mare tempestoso, dove stare a galla diventa sempre più difficile. Negli ultimi 10 anni sono fallite 150 società e anche i grandi club sono in affanno con bilanci paurosamente in rosso. Colpa del Covid? No, la pandemia è stato semplicemente un acceleratore di un malessere già esistente».
Da qui la decisione, con l’inizio della pandemia nel 2020, di mettere nero su bianco il proprio metodo nelle pagine di un libro.
«Accorgersi che anni e anni di appunti stavano diventando un libro – addirittura con un editore disposto a leggerli e un tour promozionale che avrebbe girato tutta Italia – è stata un’emozione grandissima. Ho ammesso più volte di essere rimasto sbalordito, incredulo di tanto calore e interesse per i miei punti di vista, sinceri e scomodi per un mondo abituato all’autoreferenzialità. Per oltre un anno, rallentato dal lockdown, ho messo insieme, pagina per pagina, teoria e militanza sul campo, spinto dalla grande curiosità di come i lettori lo avrebbero accolto. Devo dire che l’aver raccontato il backstage del mondo dello sport – mettendo su carta ciò che in molti pensano senza dirlo o scriverlo – è stato un atto di coraggio o forse di incoscienza. Specie in un panorama nel quale chi pretende di uscire dal coro è considerato sbagliato a prescindere!»
Una lettura densa di spunti di riflessione per gli addetti ai lavori (dentro e fuori dal campo) animati dal sincero desiderio di migliorarsi, compresi i giovani freschi di master in management sportivo ma ancora a digiuno di esperienze in questo settore.
«È un volume che, in virtù del suo linguaggio diretto e divulgativo, parla anche ai tantissimi appassionati di sport che vogliono tornare a emozionarsi davvero. Ne è la prova l’entusiasta partecipazione di pubblico agli eventi di presentazione: oltre alla Toscana siamo andati in Emilia, in Liguria, a Roma, Torino, Cuneo, fino a Cagliari. Ringrazio di cuore gli appassionati, i tifosi e gli addetti ai lavori di tutte le città che con tanto affetto mi hanno accolto. Ho grande affetto anche per i media e i giornalisti che mi hanno dedicato spazio sulle loro testate, nelle radio, in tv e siti web. Questo percorso di personal branding è stato un lavoro di squadra, dal team di Stand Out con Gianluca Lo Stimolo, all’ufficio stampa di Isotta Boccassini e Lodovico Poschi, fino all’editore Flaccovio e al design grafico di Davide Angeli. Un gruppo che mi ha aiutato a trasformare un sogno in realtà».
Qual è infine lo scenario sportivo che ci aspetta?
«Il finale di stagione calcistica ci ha regalato alcuni spiragli di luce. La folla oceanica intenta a scortare il pullman del Milan verso lo scudetto. La marea di tifosi della Salernitana che ha invaso pacificamente Empoli mi ha riempito il cuore: respirare la loro passione, il loro entusiasmo è qualcosa che non vivevo da tempo. Così come i 6.000 tifosi del Livorno accorsi per una partita di Eccellenza Toscana! Lo definirei un prepotente ritorno di fiamma che mi induce ottimismo, mi fa risognare un futuro di stadi e arene gremite e ribollenti come ai tempi d’oro del calcio nostrano. Peccato per le pay tv e i broadcaster vari, che fantasticavano il boom di ascolti e abbonati grazie alla pandemia e invece oggi piangono lacrime amare dinanzi alla certificazione del crollo di ascolti e all’emorragia di abbonati. La testimonianza più commovente è quella dei quasi 70mila tifosi giallorossi presenti allo stadio Olimpico per la semifinale di Conference League tra la Roma e gli inglesi del Leicester.
Una passione che grazie all’avvento di Mourinho si è riaccesa nella Capitale fin dal primo giorno di questa stagione: 16 volte l’Olimpico esaurito, 20mila giallorossi a Tirana per la finale col Feyenoord. Uno straordinario progetto che ha messo al centro il marketing per dare una dimensione internazionale al brand Roma Calcio. La comunicazione moderna, la politica dei prezzi, lo spettacolo pre-gara e soprattutto la scelta degli interpreti giusti a partire dallo ‘Special One’: quel protagonista, quel leader vincente che a Roma ha trovato la società ideale, la città giusta per firmare il suo quinto trofeo europeo. Faccio i miei complimenti alla proprietà per la strategia, per la lucidità, la perseveranza e l’ambizione. Perché quando lavori con criterio, i risultati arrivano. Come ha detto lo stesso José Mourinho: se abbiamo 70mila spettatori il significato è niente. Ma se abbiamo 70mila che vogliono giocare insieme a noi, allora la storia è diversa!».