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Matteo Cavezzali: «Il successo? Arriva quando lavori bene, non quando lo cerchi»

di Erika Digiacomo
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Lo scrittore ravennate trasforma la sua rassegna letteraria in un podcast: «Niente immagini, solo parole: la dimensione giusta per arrivare ai lettori»

Scrittore, giornalista e direttore artistico di importanti Festival letterari. A soli 37 anni Matteo Cavezzali, nato e cresciuto a Ravenna, vanta una carriera di tutto rispetto nel mondo della cultura italiana. Dopo aver lavorato in teatro come attore e drammaturgo, il suo esordio nella narrativa arriva con il romanzo “Icarus. Ascesa e caduta di Raul Gardini”, pubblicato da Minimum Fax nel 2018. Un libro che esplora ombre e luci attorno alla affascinante figura di Raul Gardini, noto imprenditore italiano diventato celebre per la scalata alla Montedison e finito tra gli indagati dell’inchiesta giudiziaria di Mani pulite. Con questo romanzo, nel 2019, Matteo Cavezzali si aggiudica due importanti riconoscimenti: il Premio Comisso e il Premio Letterario Nazionale Paolo Volponi .

Subito dopo esce il suo secondo romanzo “Nero d’inferno”, pubblicato da Mondadori, sull’anarchico italiano chiamato Mario Buda, che ebbe un ruolo chiave nella crisi finanziaria di Wall Street degli anni ’20. Oltre al suo amore per la scrittura, dal 2014 Cavezzali segue anche un altro importante progetto di cui è ideatore e direttore artistico: si tratta di “ScrittuRa”, festival letterario di grande successo che porta ogni anno a Ravenna tantissimi volti noti della letteratura e del giornalismo italiano e internazionale. Cavezzali firma inoltre articoli per il Corriere della Sera e cura un blog su Il Fatto Quotidiano, dal 2020 è co-direttore del Salerno Letteratura Festival e nel 2021 lancia il progetto web de “Il Tempo Ritrovato”, diventato podcast, per restare vicino al suo pubblico nonostante la pandemia.

Un’esperienza innovativa quella di trasformare la cultura in un podcast. Da qui nasce una riflessione sul mondo degli scrittori, sul modo di comunicare con i lettori e sull’attenzione per il proprio brand personale, tra siti web, blog e pagine social.

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Lei ha scritto diversi racconti, ma possiamo dire che “Icarus” ha sancito il suo esordio come scrittore. Che genere di influenza ha avuto per il suo lavoro la figura di Raul Gardini, personaggio affascinante e grande comunicatore?

Mi ha affascinato fin da bambino la storia, misteriosa e maledetta, di Gardini. Seppe innovare, puntò sulle energie rinnovabili in anni in cui la questione ambientale non era per nulla ritenuta importante e creò un nuovo modo di comunicare, diceva: «Bisogna dare l’idea di avere successo, il successo poi arriverà». È però anche un personaggio con lati oscuri, coinvolto nel più grande scandalo del nostro Paese e morto in circostanze misteriose. Mi è venuto naturale scrivere su quella vicenda il mio primo libro.

Lei ha scritto anche per il Corriere della Sera e per altri giornali: qual è la differenza nel comunicare da scrittore o da giornalista?

Se il giornalismo è fatto bene non c’è molta differenza. Si tratta sempre di raccontare una storia nel modo migliore. Nel giornalismo ha più importanza il contenuto e la brevità, nel romanzo è più importante il come si racconta una storia, e c’è modo di esplorare oltre a una storia, l’aspetto umano di una vicenda.

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Photo: Michele Pambianchi

Dal 2014 è direttore artistico de “ScrittuRa festival”, rassegna letteraria che ogni anno richiama a Ravenna intellettuali da tutta Italia. Dall’esperienza di incontrare personaggi internazionali come Luis Sepulveda, David Grossman, Jonathan Safran Foer, due premi Nobel e un Pulitzer e autori italiani come Augias, Lucarelli, Ciabatti, Lattanzi, Dionigi, Gamberale, Trevi, Montanari, secondo lei per gli scrittori come è cambiato il modo di curare il proprio brand personale?

Impostare il lavoro di scrittore come brand credo sia molto pericoloso. Ovvero se è legittimo sperare di avere tanti lettori, impostare il proprio lavoro per avere successo non credo abbia mai prodotto buoni libri. Il successo arriva quando lavori bene, non quando cerchi il successo, non so se mi spiego. Ogni autore ha un modo di raccontare sé stesso attraverso i propri libri, diventando a volte un brand, spesso inconsapevolmente. Alcuni casi sono esemplari come Hemingway che incarnò l’idea dello scrittore avventuriero, Baudelaire che divenne icona dello scrittore maledetto o D’Annunzio che disse che la sua vita era la sua opera migliore, anticipando le provocazioni di Andy Warhol. Oggi c’è chi pensa che basti indossare un cappello strano per diventare un personaggio riconoscibile, mentre è l’opera che importa prima di tutto. A volte se i tuoi libri vendono tanto, potresti diventare un marchio riconoscibile e in quel caso devi gestire bene la fama. Il più bravo in questo campo è stato secondo me Stephen King, che ha addirittura brevettato un logo con il suo nome, come se fosse una rock band. Più spesso sono i personaggi dei libri a diventare “brand”, come nel caso di Harry Potter o Sherlock Holmes.

Il progetto de “Il Tempo Ritrovato” durante la pandemia è diventato un podcast seguitissimo, che ha vinto addirittura il premio Incredibol per l’innovazione. Come nasce l’idea di esplorare nuovi canali per differenziarsi e arrivare al pubblico?

Nel momento in cui nascono nuovi canali di comunicazione non si possono ignorare. Bisogna imparare a usarli, a volte anche sbagliando, e stare attenti a non esserne fagocitati. Il Tempo Ritrovato è un progetto che unisce incontri dal vivo e la realizzazione di un podcast, è un’idea che ha funzionato e che continuo a seguire. Il podcast è una dimensione più vicina per uno scrittore, perché ha una durata giusta per approfondire, si usano le parole e non le immagini, e credo possa avere un seguito sempre maggiore nei prossimi anni. Al momento ho realizzato anche un altro podcast che si intitola “A morte il tiranno” ascoltabile gratuitamente, in cui racconto omicidi che hanno cambiato la storia. A fine ottobre uscirà anche un mio libro con lo stesso titolo in cui racconto di dieci casi emblematici da Giulio Cesare fino al tentato omicidio di Mussolini e Hitler.

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Il suo amore per la scrittura e per la cultura traspare nelle interviste che rilascia, nei video e nelle pagine social. Qual è il suo approccio con questi strumenti di comunicazione?

Onestamente penso che gli scrittori siano in forte difficoltà a comunicare con i nuovi media. Il libro, per certi versi è l’opposto di Instagram. Un libro richiede tempo, è lento e profondo, nella lettura le immagini deve crearle nella propria mente il lettore. I social invece sono veloci, pieni di immagini, e con contenuti istantanei. Molti scrittori non hanno social, altri li usano in maniera goffa. Io sto provando a creare un percorso parlando su Instagram di libri con brevi video che possano far scoprire qualcosa di nuovo a chi li vede.

matteo-cavezzali-super-camperÈ da poco uscito “Supercamper”, il suo ultimo libro pubblicato da Laterza che parla di viaggi e umanità. Lei è stato anche direttore editoriale di una web tv dedicata al mondo del turismo. In questo settore, come si comunica unendo viaggi e umanità?

Viaggiare è soprattutto immergersi in una realtà diversa da quella a cui si è abituati. L’idea del libro è provare a capire cosa possiamo imparare del modo che hanno culture lontane dalla nostra, nello spazio e anche nel tempo. In aree diverse del mondo ci sono concezioni molto lontane dalla nostra su cosa vuol dire “futuro”, “amore”, “famiglia”, “comunità”, “felicità”. Ho provato a raccontarle, partendo dalla mia esperienza.

 

Erika Digiacomo

Photo Cover: Davide Baldrati

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