Presidente di Doxa, una delle società di ricerca di mercato più affidabili e accreditate, ha fatto del low profile il suo marchio. Potentissimo. Sembra un controsenso ma non lo è, quando tutto è improntato sull’autenticità e su solide basi, come nel suo caso.
Oggi il personal branding è fondamentale e si mescola con la storia dell’azienda.
È diventata imprenditrice giovanissima: ad appena 23 anni ha fondato Altana, produttore di abbigliamento luxury per bambini con marchi come Moschino e Gucci. Da dove è partita la spinta a intraprendere?
È stata la reazione ai “no” ricevuti. In realtà io non pensavo di fare questo lavoro. Avrei voluto fare la ricercatrice universitaria ma avrebbe significato rimanere precaria per anni e sottopagata; l’altro desiderio sarebbe stato quello di lavorare come giornalista, però ho ricevuto dei rifiuti. Perciò mi sono detta che dovevo fare altro. Non ero appassionata di moda ma sapevo fare analisi dei mercati, in questo mi era stato d’aiuto l’insegnamento di mio padre in Doxa e perciò ho trasferito la logica dell’analisi al mondo della moda. Ho fatto quello che sapevo fare. Mi ha aiutato tanto l’esperienza lavorativa che avevo fatto da studentessa. Credo sia fondamentale avere dei sogni ma continuare a fare altro mentre si cerca di realizzarli, bisogna sempre misurarsi con la realtà.
Azionista di Replay Jeans, tempo dopo di Save the Duck, che produce piumini animal free, Morellato, Connexia, Doxa. Sono solo alcune delle aziende che l’hanno vista protagonista in ruoli e momenti diversi. Un talento e un fiuto innato. Quale è il suo segreto?
Le aziende e le persone che ho incontrato mi hanno permesso di continuare ad imparare. Guai a sentirsi appagati. Il segreto è lo studio, che non mi fa restare chiusa nelle mie convinzioni ma anzi mi dà apertura verso il mondo, per capirlo e muovermi in esso. Come dicevo, non mi sono mai vestita alla moda ma ho acquisito una conoscenza profonda di quello che vuole il mercato che mi ha consentito di avere aziende operanti in quel campo. Poi è importante essere autentici. Quando ho saputo che Save the Duck cercava capitali, mi sono interessata a quell’azienda perché mi era chiaro che la gente ormai fosse matura per un certo discorso animalista ma ho anche sposato una causa personale, essendo sempre stata impegnata, sin da ragazzina, in favore degli animali. C’è bisogno di coerenza, non si può fare i furbi perché la vita, presto o tardi, te ne chiede conto.

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È sicuramente una delle imprenditrici italiane di più alto standing e con una ampia diversificazione degli investimenti. Quali caratteristiche personali e professionali l’hanno aiutata maggiormente nel raggiungimento di risultati così eccellenti?
Premetto che una volta anche io ho sbagliato e sono arrivata a chiudere un’azienda velocemente ma sono dell’idea che sia meglio affrontare gli errori al più presto piuttosto che mettere la testa sotto la sabbia. Nel resto dei casi, ho avuto opportunità di investimento che hanno messo insieme il cuore e la competenza insieme ad incontri umani positivi. È stato così con Connexia, di cui sono stata socia per più di 12 anni perché il socio fondatore è una persona stupenda. In generale, credo sia importante diventare bravi in alcuni settori prima di affacciarsi ad altri e fare cose in cui si crede veramente.
La competenza è fondamentale per farsi apprezzare dal punto di vista professionale ma è necessario anche comunicarla. Lei come ha agito in tal senso? Ha adottato una strategia ben precisa? Di quali strumenti si è avvalsa per farsi conoscere in un mondo peraltro molto maschile?
Innanzitutto negli anni ‘80/’90 la realtà non era quella di oggi, non c’era il digitale. Esisteva la stampa. Come azienda siamo stati molto bravi a comunicare acquisizioni, passaggi di aziende, bilanci in maniera molto professionale, con attenzione, con trasparenza, con sincerità. La Rete oggi consente di fare una cosa bellissima che è smascherare facilmente chi non è autentico. Come Marina non ho mai lavorato sulla mia comunicazione, perché avevo troppo pudore.
Poi nel ’91 a un convegno dei Giovani di Confindustria mi alzai dalla platea puntando il dito contro un manager pubblico tangentista. Da lì ci fu un pieno di comunicazione su di me. Iniziarono a chiedersi chi fossi (avevo 33 anni), capirono che la mia era una protesta sincera e iniziai ad essere chiamata in tv, ai dibattiti e imparai a farli!
Oggi il personal branding è fondamentale e si mescola con la storia dell’azienda. È importante esserci purché non lo si faccia solo per farsi notare bensì per comunicare un progetto, un impegno. Anche per chi vuol lavorare nel no-profit, il personal branding può servire a far conoscere l’associazione o la causa per la quale ci si spende.
Quello che dico però è attenzione a quello che comunicate. Una giovane ragazza che si era proposta per lavorare per Connexia aveva una pagina Instagram piena di foto in abiti succinti, macchinoni, champagne. Ora, non sono una bigotta ma quella roba lì può andar bene se vuoi fare la modella, non se vuoi lavorare nella consulenza.
Quando ha capito che metterci la faccia era importante? E che esperienza è stata, visto che per una donna è forse un po’ più complicato, essendo molto critiche verso noi stesse?
È accaduto in modo spontaneo dopo l’evento di Confindustria di cui abbiamo parlato ma poi c’è stata continuità. Hanno continuato a chiamarmi perché avevano bisogno dell’opinione di un’imprenditrice o perché avevo fatto qualcosa sul piano della sostenibilità. Non c’è mai stato nessuno però a scrivermi un discorso, a curare la mia immagine, quello no. Ho seguito il cuore e ho messo a valore l’autenticità. Coloro che bucano in comunicazione sono persone vere, che hanno qualcosa di sincero da dire.
Quale aspetto è più importante per l’affermazione di una persona-personaggio come “marchio” personale?
Una bella dose di verità, spontaneità e libertà.
Ha cinque figli e una in affidamento. Consiglierebbe loro di intraprendere un percorso di comunicazione personale per supportare la loro crescita professionale, se non lo fanno già? Cosa suggerirebbe?
Sì ma con molto pudore. E in verità sta già accadendo. Una sola volta, quando è uscito l’angolo di una nostra piscina in una foto, ho detto a mio figlio di toglierla subito perché noi non esibiamo i nostri averi. Non siamo così. Semmai facciamo vedere i nostri cani, per aiutare la causa animalista. Profilo basso e avanti. Devo dire che su questo ci assomigliamo. L’esempio conta molto e io non sono mai stata la mamma perfettina e patinata, quello dura poco.
Il suo è un percorso personale e professionale molto particolare. Di recente ha conseguito la laurea in Teologia, le sue aziende sono società benefit e lei è in prima linea su molte iniziative benefiche e a sostegno degli animali. Quanto tutto questo ha contribuito alla creazione del suo personaggio?
Non lo so, onestamente. Quando facevo delle cose, non le facevo di certo perché erano di moda o pensando a quelli che ne sarebbero stati i risvolti sulla mia immagine. Quando ho fatto il primo campo con il WWF, all’epoca c’era Fulco Pratesi e io ero una ragazzina, parliamo di 50 anni fa, l’ho fatto perché ci credevo. È stato così anche per quello che ho fatto successivamente. Credo che, almeno nel lavoro, visto che in amore non sempre è così, esista una giustizia per cui noi ci impegniamo e costruiamo le cause e le cose in crediamo e poi la vita semplicemente accadrà.
Quali attività, tra quelle strettamente legate al business e quelle più filantropiche, le danno maggiori soddisfazioni?
In questo momento ho ricominciato a fare volontariato come impegno pratico, presso gli empori di solidarietà della Caritas. L’incontro con gli sguardi delle persone bisognose mi fa crescere tanto e restituisce a noi oltre che dare a loro. È questo il consiglio che mi sento di dare.
Il suo motto è “The best is yet to be”. Cosa vorrebbe di meglio che non ha ancora realizzato?
Vorrei riuscire ad avere più tempo, tempo per amare intorno a me.