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Luca Ward: «Mi dicevano che non ce l’avrei fatta, ora sono conosciuto nel doppiaggio mondiale»

di Irene Cocco
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L’edizione 2024 di Radio Italia Live – Il Concerto si svolge mercoledì 15 maggio in piazza Duomo a Milano. Tra le novità di quest’anno, Luca Ward, presente sul posto per presentare dal vivo tutti gli artisti dalla terrazza Radio Italia, come ci anticipa in questa intervista.

 

Luca Ward doppiatore, attore e speaker radiofonico, indimenticabile voce di Russell Crowe ne “Il Gladiatore”, di Samuel Jackson, Pierce Brosnan e altri ancora non si stanca di ripetere che per eccellere in qualcosa bisogna lavorare sodo e non abbattersi alle critiche. Attualmente impegnato nella realizzazione di una serie televisiva per Rai 1, sta per presentare per la prima volta dal vivo – e non via radiofonica – gli artisti che parteciperanno a Radio Italia-Live Concerto, un’occasione che attende con entusiasmo.

 

Qual è la sua storia di doppiatore?

Sono nato in una famiglia di attori, sono il figlio di Maria Teresa e Aleardo Ward. Mia nonna era un’attrice rispettata e mio nonno acquisito è celebre per essere stato la voce italiana di Jerry Lewis. Cresciuto in un ambiente dove il teatro e il cinema erano il pane quotidiano, rappresento la quarta generazione di attori nella famiglia.

La mia carriera di attore iniziò presto, a soli tre anni, con il mio primo sceneggiato “Demetrio Pianelli”, accanto a Paolo Stoppa. In quegli anni, nei nostri ambienti era comune che i figli degli attori partecipassero come interpreti. Era un modo per aiutare economicamente le nostre famiglie, che nonostante la fama, spesso facevano fatica ad arrivare a fine mese. Noi fratelli eravamo felici di poter contribuire, anche se questo non era ben visto dalle scuole. A dieci anni, dissi a mio padre che volevo provare il doppiaggio, ma mio padre mi avvertì che sarebbe stato molto difficile. Nonostante le sue avvertenze, non mi resi conto immediatamente delle sfide che il doppiaggio comportava. Fu un mondo sorprendentemente complesso: non era solo questione di prestare la voce a un volto che non era il tuo, ma, per esempio, si trattava anche di recitare da fermi in una scena in cui si corre o si salta. Purtroppo, a 13 anni persi mio padre e mia madre si trovò da sola a gestire la famiglia. Nel 1973, ci trovammo senza risorse e fu allora che, dopo aver messo sul tavolo le uniche 500 lire rimaste, mia madre dovette affrontare la dura realtà. Cominciai a lavorare in una ditta di traslochi per contribuire al sostentamento della famiglia, ma non mollai mai il cinema.

E poi?

Col tempo, e dopo molti sacrifici, mi feci strada nel mondo del doppiaggio, un campo in cui mio padre e mio nonno erano state figure di spicco. All’inizio tutti mi sconsigliavano di seguire questa carriera, ma nei primi Anni 80 riuscii a sbloccare la situazione. Nonostante la fame e la povertà mi avessero tolto molto, mi ero guadagnato un posto come uno dei doppiatori più affidabili per il mercato americano. Nel complesso, ho doppiato quasi 900 film e amo ogni progetto a cui ho partecipato, dai grandi classici come “Pulp Fiction” a “Quattro matrimoni e un funerale”. Ho avuto l’onore di prestare la mia voce a icone del cinema come Hugh Grant, Pierce Brosnan e molti altri. Sono diventato un punto di riferimento nel doppiaggio mondiale, passando da chi mi diceva che «non ce l’avrei mai fatta».

Cosa ci dice della sua carriera come attore?

Ho partecipato a serie tv che ebbero un grande successo come “Elisa di Rivombrosa”, che ha chiuso la sua ultima puntata con il 75% di share.

Nella mia carriera di attore mi sono specializzato nei ruoli dei cattivi: sembra che il destino non mi voglia vedere nei panni del buono. Eppure, sono grato per questi ruoli che mi hanno garantito lavoro e riconoscimenti. Ho sempre ritenuto che il cinema sia un lavoro di squadra. Tuttavia, recentemente, mentre guardavo la recente cerimonia dei David di Donatello, sono rimasto sorpreso e deluso nel constatare che molte figure professionali essenziali come costumisti, truccatori, direttori della fotografia o macchinisti non fossero presenti in sala insieme ad attori e registi. Di fronte a questa evidente esclusione, ho deciso di cambiare canale.

Questa mi è sembrata una caduta di stile notevole. Nessun attore o attrice ha pronunciato una parola di ringraziamento nei confronti di queste figure fondamentali, che sembravano essere state messe da parte. Perché questo trattamento? All’estero, la situazione è diversa!

Come pensa che le sue esperienze personali e le sfide affrontate abbiano influenzato il suo approccio nei ruoli di doppiaggio?

Non ho un’educazione formale dalle accademie: la mia scuola è stata la vita stessa. Le cose sono andate così, forse era semplicemente destino che seguissero questo corso. Quando mio padre morì, una forte determinazione si scatenò dentro di me. Credo che la spinta decisiva sia stata la fame: quella vera, fisica, che io, mia madre e i miei fratelli abbiamo conosciuto. Quella fame ha forgiato la mia risolutezza e mi ha spinto su una strada che, forse, mio padre da lassù ha voluto indicarmi.

Ho appena concluso un lavoro di doppiaggio per Russell Crowe, con Claudia Razzi che dà voce in italiano a Meg Ryan. In studio spesso scherziamo su come affrontare certe battute. «Ma come fai a dirle così?» mi chiedono spesso. Forse la chiave è non prendersi troppo sul serio, o forse è proprio il contrario, mettere la massima serietà in tutto quello che si fa. Sono passati 24 anni da quando ho doppiato “Il Gladiatore”, e ancora oggi la gente mi ferma per strada per parlarmene. Questo per me è una fonte di gioia infinita, un riconoscimento che continua a darmi grande soddisfazione e mi conferma quanto sia stato importante il percorso che ho intrapreso, nonostante le sfide e le difficoltà.

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Qual è il suo rapporto con i social?

Essendo uno dei primi utilizzatori di MySpace, spesso rispondo sorridendo quando mi etichettano come un “boomer”. Contrariamente a quanto molti possano pensare, i miei figli spesso si rivolgono a me per aiuto con la tecnologia. Il mio rapporto con i social media è sempre stato estremamente positivo, nonostante l’incredulità iniziale di alcuni colleghi che si chiedevano perché dedicassi tanto tempo a postare. Io ho sempre creduto fermamente che questa fosse la direzione del futuro.

L’utilizzo dei social media si è rivelato un eccellente strumento per comunicare direttamente con il pubblico. A teatro, ad esempio nei musical, ho la fortuna di interagire frequentemente con gli spettatori; tuttavia, nel cinema, nelle serie TV, o nel doppiaggio, il pubblico è un’entità più astratta, non visibile e non direttamente percepibile. Spesso, quando mi vengono presentati i dati di audience, mi chiedo se sia stato realmente chiesto agli spettatori il loro parere. Grazie ai social, questa interazione è possibile: posso chiedere direttamente al pubblico cosa ne pensa e ricevere risposte concrete.

Come gestisce le critiche sui social?

Fortunatamente, non ho mai ricevuto commenti negativi sui social. Al massimo, qualche persona mi ha fatto notare che avrei potuto fare meglio. Questo tipo di feedback lo considero un consiglio prezioso, un’opportunità di crescita e miglioramento nel mio lavoro artistico. Ho scelto consapevolmente di non essere divisivo, evitando di prendere posizioni politiche esplicite. Credo fermamente che un artista debba rimanere indipendente dalla politica, pur essendo profondamente coinvolto nelle questioni sociali.

Progetti futuri?

Non saprei ancora, sicuramente il doppiaggio continua, visto che gli attori che doppio ancora lavoravano. Il teatro mi piace molto, sto portando in giro il mio spettacolo “Il talento di essere tutti e nessuno” nei piccoli paesi di provincia, evitando le grandi città, nelle quali vado già con il Teatro Sistina.

 

Irene Cocco

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