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La “lingua vera” di Anna Pietribiasi: «Il vero ‘King’ per le aziende è il contenuto di qualità»

di Laura Galloppo
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Se dovessi individuare un aggettivo per parlare di Anna Pietribiasi, sicuramente sceglierei “vera”. Copywriter per le aziende con oltre 10 anni di esperienza, ha saputo spesso reinventarsi affinando le sue competenze per offrire servizi per il proprio pubblico di riferimento. Come lo ha fatto? Sempre in modo autentico. Ora è tornata alle origini, al suo punto di partenza, ovvero la sua amata lingua inglese, fondando Lingua Vera. In quale altro modo avrebbe potuto chiamarla, se non “vera”?

 

Benvenuta Anna, raccontaci del tuo nuovo progetto “Lingua Vera”. Da dove parte e a chi è diretto? Dai, siamo pronti a fare le valigie, portaci a Londra con il pensiero…

Parte da una passione sfegatata per la lingua e la cultura inglesi. E anche per gli inglesi stessi, che può sembrare strano, perché ultimamente non hanno fatto molto per risultare simpatici al mondo. Ma, come tutte le storie d’amore, anche questa ha i suoi alti e bassi.

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Poi di base c’è un grande senso di riconoscenza verso quanto ho imparato nelle numerose vacanze studio, viaggi ed esperienze all’estero. Da timida cronica, non avrei potuto desiderare di meglio: aprirmi al nuovo, scoprire che c’è letteralmente un mondo a due ore di volo da noi. Imparare una lingua apre occhi, mente e cuore e, anche se può suonare un po’ ‘corny’, ho sentito il desiderio di restituire tutto questo alle persone che vogliono padroneggiare l’inglese.

Da dove nasce la tua passione per la lingua inglese, anzi direi per la cultura inglese, e quali sono le strategie di apprendimento che stai adoperando?

La cosa buffa è che, quando ero in Inghilterra, nessuno mi dava dell’italiana: troppo puntuale e bionda (almeno allora) per esserlo. Ora in Italia, mi dicono che ho uno stile inglese, nel vestire, nel parlare e nel senso dell’umorismo – che non so bene se sia un complimento.

 

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Gli inglesi sono un popolo pieno di contraddizioni: fanno la fila, ringraziano e chiedono scusa mille volte al giorno, ma poi se la danno di santa ragione fuori dal pub il venerdì sera. Sono Lord, ma tirano fuori la loro natura vichinga. Sarà che mi piacciono i contrasti e tutto ciò che non si può spiegare razionalmente con un semplice perché.

Io e l’inglese abbiamo ‘una relazione’ ormai trentennale, ma se dovessi tornare indietro, non la studierei mai con i metodi che usavano allora. Armarsi di libro di testo e grammatica è il modo migliore per uccidere l’entusiasmo. Invertirei l’ordine dei fattori e comincerei ad ascoltare molto per assorbire i suoni, il ritmo, il tono della lingua e poi mi butterei a praticare subito lo speaking. La paura di sbagliare e di non essere perfetti è sempre in agguato, ma iniziando subito a parlare con frasi anche semplici si allenano i muscoli e, proprio come in palestra, ci si scioglie.

Chi ti segue su Linkedin può notare come il tuo approccio sia molto lontano dal canonico metodo didattico. Spesso cerchi di incuriosire partendo dai classici errori che noi italiani commettiamo quando parliamo inglese, o dalle nostre risapute difficoltà di pronuncia. Anche se sono sicura che ti sarà capitato di insegnare a qualcuno che ha alzato le braccia dicendo “io odio l’inglese e non fa per me”. In questi casi come ti muovi?

Ho cominciato a scrivere i post su LinkedIn proprio per dare leggerezza a quello che a molti sembra una tortura e per incoraggiare tutte le persone che vengono da me e mi dicono: ‘Guarda, io e l’inglese proprio no’. In realtà, una lingua, l’abbiamo già imparata, quindi mi riesce difficile pensare che ci siano persone che non sono portate. Certo, anche io facevo più fatica in matematica rispetto alle lingue straniere, ma il fattore talento conta molto meno di quanto pensiamo. D’altra parte, parlo bene inglese, ma quanto ore e quanto sudore ci ho speso sopra? A volte ammiriamo il risultato degli altri, ma non andiamo a vedere quanto lavoro è costato.

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Parliamo del tuo personal branding. Negli ultimi mesi hai scelto di mettere in pausa il tuo account Instagram e Facebook. Ti va di raccontarmi da dove è nata questa esigenza e che effetto ti ha fatto?

Avevo utilizzato FB e IG per un altro progetto e li avevo sperimentati per un paio d’anni. Alla fine, frustrata dai risultati, ho smesso di torturarmi e di sentirmi in colpa perché le cose non funzionavano come avrebbero dovuto. Ho fatto solo un discorso onesto con me stessa e ho capito che lì non era il mio posto. A me piace scrivere, condividere, imparare e ultimamente ho visto che posso coltivare queste mie passioni più su LinkedIn che altrove.

Poi, anche LInkedIn, che era nato come semplice CV online, ora è un Social Media a tutti gli effetti, con le sue regole e i suoi meccanismi, che dettano la visibilità e popolarità con un algoritmo. Essere attivi e impegnare del tempo su un Social deve valere la pena – magari non diventi famoso, ma almeno ti deve piacere, devi sentirti bene, trarne un qualche beneficio. Come quando entri a casa di qualcuno: è brutto se te ne stai seduto sul bracciolo della sedia perché ti senti a disagio. Meglio invece trovarsi una bella poltrona dove tuffarsi e da cui godersi lo spettacolo.

Nell’epoca della “tirannia dell’immagine” un personal brand incentrato principalmente sui contenuti sembra una scelta quasi controproducente. Eppure ci sono casi molto famosi di celebrità che nascondendosi hanno fatto una vera fortuna: Elena Ferrante, Mina, Liberato. Mi viene da dire che comunque il loro CONTENUTO era più che strong. Torniamo al “Content is King”. Cosa ne pensi?

Lo prendo come un complimento, ti ringrazio! Lingua Vera è il mio progetto per l’inglese autentico e il mio approccio di comunicazione è anche questo – essere veri verso se stessi, ascoltarsi e capire come si funziona meglio. Se poi con questo si va controcorrente, tanto meglio.

Gli esempi che citi mi intimidiscono molto per la loro grandezza, ma al di là della fama, credo che magari neppure loro si saranno messi a tavolino per dirsi: ‘Ok, adesso faccio la/lo strano/a, vado contro tutti e non mi svelo’. Nel loro caso, i contenuti erano davvero ‘queen & king’ di tutta la faccenda. Nel mio, molto più umilmente, si tratta semplicemente di una scelta di onestà, nel capire dove e come posso valorizzare quello che ho voglia di dire. Per il momento su LinkedIn sto avendo dei buoni riscontri, che mi incoraggiano a continuare a sperimentare, a sorridere con le rubriche su Maccaroni English dove prendo in giro le gaffe linguistiche di noi italiani o con i post sulla ‘stitichezza emotiva’ degli inglesi.

Torniamo al nostro “Lingua Vera”. Ci racconti come immagini l’evoluzione del progetto? So che sei sempre in fermento, quindi ti chiedo di condividere con noi liberamente tutte le tue idee, anche visionarie, anche difficili da realizzare. Insomma, facci viaggiare!

Ho giusto in mente di mettere sotto il cappello di Lingua Vera anche la lingua italiana con i servizi di copywriting per aziende e professionisti. Mi occupo di scrittura professionale già da diversi anni, ma dopo la pausa forzata della pandemia, ho notato che le persone si sono fermate a riflettere sulle domande fatidiche, aziende comprese: chi siamo, quali sono i nostri valori, i perché importanti che ci fanno alzare la mattina per andare a fare ciò a cui teniamo veramente.

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Direi che è in atto, finalmente, il declino dell’autocelebrazione, della scrittura bella fine a se stessa e si sta aprendo un orizzonte molto più interessante: quello dell’autenticità, della voglia di raccontarsi in maniera vera e di stabilire relazioni sincere, soprattutto attraverso i byte e dietro a uno schermo. D’altra parte, con le evoluzioni della tecnologia che ci porteranno verso mondi sempre più virtuali, è importante che ci teniamo ben stretti al desiderio di tessere relazioni autentiche. Diciamo che in questo Lingua Vera è proprio figlia del suo tempo.

 

Laura Galloppo

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