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Lo stile di Leandro Ungaro, giornalista ed “esploratore del sapere”

di Alessandro Dattilo
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La passione per il benessere e la prevenzione guidano ogni suo progetto. Figura poliedrica nel panorama mediatico e culturale, la carriera di Leandro Ungaro spazia dal giornalismo alla conduzione televisiva, fino alla divulgazione scientifica: «il pubblico sa riconoscere l’autenticità: alla fine è proprio questo a creare un legame profondo con chi ti segue».

Come ulteriore consolidamento al suo brand personale, da qualche mese Leandro dirige il magazine online Longevity Journal, la prima testata dedicata a coloro che desiderano vivere bene senza limiti d’età. «Oscar Wilde – ricorda Leandro – diceva che la salute è il primo dovere della nostra vita. Non si tratta solo della nostra salute individuale, ma anche di come ci prendiamo cura degli altri. Adoro studiare perché significa mantenere la mente allenata ad affrontare nuove sfide».

Leandro, tempo fa hai affermato che «Se non ami ciò che fai difficilmente otterrai buoni risultati». Quanto hai amato – e quanto tutt’ora ami – la professione di giornalista e di divulgatore?

La frase che hai citato riassume perfettamente ciò che ho sempre pensato riguardo al lavoro e alla passione. Ho sempre creduto che l’amore per quello che fai sia il motore principale del successo, non solo nei risultati tangibili, ma anche nel modo in cui affronti ogni sfida quotidiana. Devo dire che, inconsciamente, per tutta la mia vita sono stato un po’ giornalista, anche senza saperlo. Ho sempre pensato che l’informazione vera potesse essere uno strumento prezioso per le persone, non solo per fare scelte consapevoli, ma anche per suscitare curiosità, interesse e approfondimento.

Per me, il progresso non dovrebbe essere qualcosa da subire passivamente, ma da affrontare con consapevolezza.

Quando ho avuto l’opportunità di svolgere questa professione in modo professionale, ho potuto finalmente mettere in pratica queste convinzioni, facendo dell’informazione un veicolo per aiutare gli altri a navigare nel mondo con maggiore consapevolezza. È proprio per questo che, oggi più che mai, amo la mia professione. Penso spesso a ciò che Piero Angela diceva sulla divulgazione scientifica: «È importante rendere semplice senza banalizzare». È un equilibrio che cerco costantemente, perché credo che la chiarezza possa davvero aprire le porte alla conoscenza e al miglioramento personale e collettivo.

Andare in video è stata per te un’esperienza importante durata molti anni. Come si riesce a essere sé stessi anche davanti a una telecamera e come ci si rapporta con il proprio pubblico quando lo si incontra dal vivo?

Andare in video è una dimensione particolare, dove è essenziale mantenere la propria autenticità. Ho sempre cercato di essere me stesso, senza costruzioni o maschere, perché credo che il pubblico sappia riconoscere l’autenticità e che, alla fine, sia proprio questo a creare un legame profondo con chi ti segue. Essere sé stessi davanti a una telecamera non è semplice, ma è fondamentale per creare fiducia. Ricordo una frase di Enzo Biagi, un altro grande maestro della comunicazione, che diceva: «Il giornalista deve essere come un vetro, trasparente, perché il suo compito è far vedere quello che accade, non quello che pensa». Questo è ciò che ho sempre cercato di fare, mantenendo il mio stile, ma permettendo al pubblico di vedere la realtà così com’è.

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Leandro Ungaro con Michelle Hunziker

Quando incontro il pubblico dal vivo, trovo che il rapporto sia ancora più diretto e intenso. C’è qualcosa di magico nel vedere le persone che ti seguono, che hanno ascoltato le tue parole e che, magari, hanno cambiato qualcosa nella loro vita grazie a un consiglio o a un’idea trasmessa in un programma. Ogni volta che questo accade, sento che ho davvero fatto la differenza, e per me è un motivo di grande gratitudine. Penso che figure come Piero Angela e Maurizio Costanzo, o anche contemporanei, abbiano sempre saputo creare quel tipo di empatia e connessione con il pubblico, ed è qualcosa che ho sempre ammirato e cercato di mettere in pratica.

Un’altra frase che hai scritto di recente è questa: «Quando giudichiamo qualcuno senza prenderci il tempo di capire il suo contesto, rischiamo di trascurare la profondità del suo carattere e le ragioni dietro le sue azioni». Intervistando centinaia di personaggi, come sei riuscito a esplorare l’animo profondo e cosa pensi della tendenza dei nuovi media a produrre contenuti veloci e superficiali?

La frase che hai citato riflette una mia convinzione profonda: per comprendere veramente qualcuno, dobbiamo prenderci il tempo di ascoltare e osservare senza pregiudizi. Intervistando centinaia di personaggi nel corso degli anni, ho imparato che ogni persona ha una storia, una motivazione e una serie di esperienze che la rendono unica. Per me, il segreto sta nell’approccio empatico, nel cercare di entrare in sintonia con l’intervistato, ascoltando con attenzione non solo ciò che dice, ma anche ciò che non dice, cercando di cogliere i sottotesti e le emozioni.

Ritengo che figure come Maurizio Costanzo abbiano dimostrato magistralmente come l’arte dell’intervista consista nel mettere a proprio agio l’interlocutore, permettendo così di rivelare aspetti più profondi di sé.

Questo richiede tempo e dedizione, qualcosa che i media moderni, con il loro ritmo accelerato e la produzione di contenuti rapidi e spesso superficiali, rischiano di trascurare. Credo che questo tipo di approccio veloce e frammentato, spesso ridotto a clip o a brevi post sui social, privi il pubblico della possibilità di entrare davvero nel cuore delle storie e delle persone. È qui che sento una grande responsabilità come divulgatore: offrire al pubblico contenuti che siano profondi e ricchi di significato. «La cultura è come un giardino, va coltivata con pazienza e costanza» secondo Piero Angela. Il mio obiettivo è proprio questo, continuare a coltivare il sapere in modo che sia accessibile, comprensibile e, allo stesso tempo, ricco di contenuto.

Longevity Journal è il nuovo progetto a cui stai dedicando grandissime energie. Per chi ci sta leggendo – che con un link potrà visitare con calma e approfondire il magazine da te diretto – puoi riassumere in 3 parole il focus di LJ? A chi è rivolto questo progetto editoriale?

Longevity Journal è un progetto a cui tengo moltissimo, e se dovessi riassumerlo in tre parole, direi: benessere, consapevolezza e responsabilità. Questi tre concetti rappresentano l’essenza di tutto ciò che facciamo. Il nostro obiettivo è fornire strumenti e informazioni che permettano alle persone di prendere in mano la propria vita e il proprio benessere, non solo dal punto di vista fisico, ma anche mentale ed emotivo. Longevity Journal si rivolge a chiunque desideri vivere meglio e più a lungo, ma in modo consapevole. È una piattaforma non solo per l’utente finale, ma anche per i professionisti della salute, che considero i veri “possessori del sapere”. Questi professionisti, siano essi medici della medicina tradizionale o di quella cosiddetta alternativa, condividono con noi la missione di migliorare la qualità della vita delle persone. Offriamo una vetrina per i loro contributi, sapendo che la salute è il risultato di un approccio olistico, che include il benessere fisico, mentale, e anche spirituale.

Come diceva Oscar Wilde, «La salute è il primo dovere della nostra vita».

Non si tratta solo della nostra salute individuale, ma anche di come ci prendiamo cura degli altri. Stare bene con noi stessi è un modo per stare bene con gli altri e con il mondo che ci circonda. Inoltre, l’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità) ha stabilito che stare bene non significa solo assenza di malattia, ma implica uno stato di benessere complessivo, che abbraccia la nostra vita in tutte le sue dimensioni: fisica, mentale, economica e spirituale, ed anche economica. In un mondo che va sempre più veloce, Longevity Journal invita a fermarsi un attimo, riflettere e investire su ciò che conta davvero per il proprio futuro e per la qualità della propria vita. Ecco perché mi sono dedicato anima e corpo a questo progetto: perché credo fermamente che prendersi cura della propria salute sia un atto di responsabilità, verso sé stessi e verso gli altri.

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Nel tuo percorso hai sempre avuto un occhio di riguardo per i team con cui hai lavorato. Come si tiene amalgamata e motivata una squadra e cosa consigli ai giovani che vogliono cominciare questo mestiere?

Uno degli aspetti che ho sempre considerato fondamentale è proprio il lavoro di squadra. Credo fermamente che, da soli, si possa arrivare lontano, ma è con una squadra affiatata che si possono ottenere risultati straordinari. Ho imparato che per mantenere un team motivato e coeso bisogna prima di tutto essere un buon leader, e questo significa saper ascoltare, valorizzare ogni singola persona e creare un ambiente di lavoro basato sulla fiducia e sulla reciproca stima. Ho sempre creduto nel principio della gentilezza e della gratitudine, e non posso fare a meno di ringraziare chi mi ha aiutato lungo il mio percorso. Gianluca Lo Stimolo, per esempio, è stato una figura chiave all’inizio del progetto Longevity Journal. Il suo supporto è stato prezioso, e senza di lui forse non sarei riuscito a far decollare questo progetto come l’avevo immaginato. E poi c’è Luisa Sorrentino, una mia mentore e amica insostituibile, che mi ha guidato in molti momenti cruciali. E, naturalmente, la mia famiglia, che è stata il pilastro su cui ho sempre potuto contare.

Per me, chiunque entri a far parte della squadra di Longevity Journal deve essere motivato, ambizioso, gentile e disponibile ai rapporti interpersonali. Deve mettere le persone al centro dell’attenzione, in particolare il lettore, ma anche i colleghi. Questi valori sono espressi chiaramente nella nostra Carta dei Valori e nel documento sui requisiti per entrare a far parte del nostro team. Inoltre, non chiedo mai a qualcuno come può contribuire al successo del progetto; preferisco chiedere in che modo Longevity Journal può contribuire al suo successo personale e professionale. Credo che un team motivato, che sente di crescere anche a livello umano, possa portare avanti questo progetto con passione, indipendentemente da me.

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Leandro con Valeria Ungaro e Frollo

Un altro concetto che mi è molto caro è che chiunque entri a far parte di Longevity Journal, indipendentemente dal ruolo – che sia giornalista, collaboratore o altro – deve essere una persona motivata, piena di aspettative, ambiziosa, gentile e pronta a costruire rapporti interpersonali solidi. Le persone, in particolare il lettore, devono essere al centro della nostra attenzione. Questo progetto non si rivolge solo agli utenti finali, ma anche ai professionisti della salute, che considero i veri “possessori del sapere”. Il nostro obiettivo è rendere Longevity Journal un luogo in cui anche chi lavora con noi si senta gratificato, supportato e cresca non solo professionalmente, ma anche umanamente.

Come diceva Simon Sinek, il proprio “perché” è fondamentale, e per questo preferisco chiedere ai membri del mio team come Longevity Journal possa contribuire al loro successo, piuttosto che viceversa.

Ai giovani che vogliono intraprendere questo mestiere, dico che devono sempre cercare di fare squadra, di circondarsi di persone che credono in loro e che li stimano per ciò che sono. Non si tratta solo di competenze tecniche, ma di avere un approccio umano, empatico e sempre aperto all’ascolto. Come diceva Italo Calvino, «Il lavoro di squadra divide i compiti e moltiplica il successo». Questo è il mantra che porto con me ogni giorno.

Qual è il tuo rapporto con i Social Media? Per quale competenza specifica pensi di essere riconosciuto da chi ti segue? In che contesto Leandro ha fatto e può fare la differenza?

Il mio rapporto con i social media è un po’ particolare. Credo molto nel loro potenziale come strumenti di diffusione del sapere e di connessione tra le persone, ma allo stesso tempo sono molto attento a come li utilizzo. Se usati correttamente, possono amplificare il messaggio e raggiungere un pubblico vastissimo, ma devono essere impiegati con grande cura. Io preferisco utilizzarli come una piattaforma per condividere contenuti di qualità, che stimolino riflessione e consapevolezza, anziché come uno spazio per la pura visibilità.

Penso che le persone che mi seguono mi riconoscano soprattutto per la mia capacità di semplificare concetti complessi senza banalizzarli, un po’ come faceva Piero Angela.

Ho sempre cercato di mettere al centro l’informazione vera, quella che aiuta le persone a fare scelte consapevoli. Un altro aspetto che credo mi caratterizzi è la mia capacità di connettermi empaticamente con gli altri, sia attraverso il mezzo televisivo che sui social. Chi mi segue percepisce che dietro ogni parola c’è un intento, una volontà di offrire valore, non semplicemente di attirare attenzione. Penso che la mia differenza stia proprio in questo: nel mettere la qualità dei contenuti e delle relazioni prima di tutto.

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Non inseguo la visibilità fine a sé stessa, ma cerco di costruire un legame autentico con chi mi segue. In un’epoca in cui spesso i social media tendono a promuovere contenuti rapidi e superficiali, io voglio fare la differenza proponendo riflessioni che abbiano un impatto più profondo. Questo approccio mi permette di restare fedele al mio stile unico, che molti mi riconoscono, anche quando mi relaziono con un pubblico online.

Che studente sei stato e che studente continui a essere oggi? Che significato ha tenere allenata la mente e continuare a studiare con la passione di un giovane universitario?

Ma che bello studiare! Sono sempre stato uno studente curioso, con un forte desiderio di approfondire e comprendere il mondo che mi circonda. La mia curiosità non si è mai spenta, anzi, credo che con il tempo si sia solo rafforzata. Mi piace pensare che la voglia di sapere non sia una caratteristica esclusiva dei giovani, ma qualcosa che si può coltivare per tutta la vita. Anche oggi, mi considero ancora uno studente, perché ritengo che non si smetta mai di imparare. Studiare, per me, significa tenere la mente viva e aperta.

Come diceva Albert Einstein, «una mente che si apre a una nuova idea non torna mai alla sua dimensione originale».

Continuare a formarsi non è solo una questione professionale, ma anche personale. Mantenere la mente allenata significa essere sempre pronti ad affrontare nuove sfide, a mettere in discussione le proprie convinzioni e ad abbracciare il cambiamento. Tuttavia, credo che per incuriosire veramente le persone e invitarle ad approfondire, sia fondamentale rendere le informazioni semplici e accessibili. Questo è stato anche uno dei punti chiave del mio lavoro come conduttore televisivo: ogni volta che intervistavo un esperto, che fosse un medico, uno scienziato o un professionista di qualsiasi altro settore, mi documentavo attentamente per riuscire a entrare nel loro mondo e tradurre le loro competenze in un linguaggio comprensibile. Questo approccio ha sempre avuto lo scopo di far sentire l’interlocutore a suo agio, come se parlasse con un professionista del suo stesso livello, ma allo stesso tempo gli permetteva di esprimersi in modo che anche il pubblico meno esperto potesse comprendere. La facilità di comprensione è la chiave del nostro successo, sia nella mia esperienza passata che oggi con “Longevity Journal”, che mira a essere un punto di riferimento inclusivo per tutti.

L’Italia è un Paese tra i più longevi al mondo. Cosa comporta questo in termini di responsabilità sociale in uno scenario dove gli anziani dovrebbero avere il piacere oltre che il dovere di accompagnare i colleghi più giovani verso il futuro?

L’Italia è davvero un esempio di longevità, e questo non può che portarci a riflettere su quanto sia importante il ruolo degli anziani nella nostra società. Non solo dal punto di vista della loro esperienza e saggezza, ma anche in termini di responsabilità sociale. Gli anziani hanno non solo il dovere, ma anche il piacere di accompagnare le nuove generazioni verso il futuro, trasmettendo loro il bagaglio di conoscenze che hanno accumulato nel tempo. Tuttavia, è fondamentale capire che la longevità non è una questione che riguarda solo gli anziani.

Longevity Journal lo dice chiaramente: la longevità è un concetto che abbraccia chiunque, indipendentemente dall’età. È una questione di stile di vita, di consapevolezza e di scelte quotidiane che iniziano fin da giovani.

Il nostro invito è quello di iniziare a pensare alla longevità da subito, adottando abitudini che ci permettano di vivere bene e a lungo. Questo è un messaggio che vale per tutti, non solo per chi è già avanti negli anni.

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Per far capire l’importanza di questo concetto, portiamo esempi concreti di personaggi di diversi ambiti, dallo spettacolo allo sport, che dimostrano come uno stile di vita consapevole possa fare la differenza. Sono esempi viventi di come si possa vivere bene assumendo scelte corrette e consapevoli già da giovani, affinché, una volta raggiunta l’età più matura, si possa diventare un esempio per le generazioni future. È un circolo virtuoso, dove i giovani imparano dagli anziani e, a loro volta, diventano modelli di riferimento per i propri figli. Questo principio, ribadisco, è alla base di “Longevity Journal”: la consapevolezza che il benessere non riguarda solo l’aspetto fisico, ma include anche la dimensione mentale, spirituale ed emotiva e tanto altro ancora. La longevità è un obiettivo a cui tutti possono ambire, ma per raggiungerlo bisogna continuare a coltivare la conoscenza e restare attivi, mentalmente e socialmente. Credo fermamente che la collaborazione tra generazioni sia la chiave per un futuro più prospero, in cui ciascuno, indipendentemente dall’età, possa dare il suo contributo e sentirsi parte di un progetto comune.

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Come diceva l’Organizzazione Mondiale della Sanità, “stare bene non significa solo assenza di malattia”, ma è un concetto che abbraccia il benessere fisico, mentale, sociale ed economico. Ecco perché ritengo che sia essenziale valorizzare il ruolo degli anziani, affinché possano continuare a essere parte attiva nella nostra società, trasmettendo alle nuove generazioni non solo sapere, ma anche valori, etica e senso di responsabilità.

 

Alessandro Dattilo

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