Giacobbe Fragomeni è stato campione del mondo WBC nel 2008 per la categoria dei pesi massimi leggeri. Poi, dopo 25 anni di carriera, ha smesso l’attività agonistica e ha iniziato a condividere l’esperienza acquisita, compresi gli insegnamenti di vita appresi da grandi maestri come Ottavio Tazzi.
«Adesso restituisco quello che ho imparato. Ai giovani insegno l’importanza della fatica, del conquistarsi le cose. Ai manager, il gusto di guardarsi dentro e capire chi sei veramente. In un mondo così competitivo, essere performanti aiuta molto».
Giacobbe Fragomeni, il tuo sogno era aprire una palestra?
Quando ho smesso l’attività agonistica, ho dovuto fare un passo indietro. Quando combatti e sei tu al centro del ring, sei sempre tu in prima persona ad affrontare le difficoltà. Io ho dovuto imparare a vivere, una nuova vita. Credo sia il problema di tutti gli sportivi di un certo livello: il “ridimensionamento” delle proprie aspettative. Ho imparato a fare il maestro, prima di tutto, grazie anche agli insegnamenti del “Nonno”, il grande maestro Ottavio Tazzi. Lui mi ha insegnato più di chiunque altro a formare pugili, l’ho provato per primo sulla mia pelle: ritrovarsi di fronte dei giovani che hanno bisogno di te per crescere è la soddisfazione più grande di questo mestiere.
Dove c’è sia la fame che la sete, li ci sono i migliori pugili del mondo.
Correggere difetti, insegnare la corretta impostazione, essere pugile, sono tutte cose che uno impara tramite il sacrificio e l’applicazione. Il pugilato è una “Disciplina” nel più alto senso del termine, non è lo scontro con l’avversario: prima di tutto è uno scontro con te stesso. Quando superi te stesso, sei in grado di affrontare anche gli altri ed essere così un pugile più completo, un uomo migliore. I giovani oggi vengono in palestra con l’attitudine sbagliata: pensano che tutto sia facile, non contemplano la fatica dei vari passaggi. Invece nella vita tutto si conquista con fame e fatica, altrimenti non può esserci crescita.
Il passaggio da pugile professionista a imprenditore. Quanta fatica implica questo passaggio? Cosa è più difficile?
Il passaggio da atleta a imprenditore è stato duro, cambia tutto. Fortunatamente non sono solo, c’è mia moglie Sara che segue tutta la parte burocratica. Lei ha la mentalità da imprenditrice, lavoriamo insieme con impegno, perseveranza e cura. Io mi occupo della parte “Hardware”, lei invece è il “Software”: tutto funziona perché io continuo a fare il mio – ovvero allenare, tenere corsi, crescere giovani pugili e metterci la faccia – mentre lei invece tiene in piedi tutta la parte che non si vede. Organizza, tiene la contabilità, segue l’infinità burocrazia, organizza eventi, crea partnership: grazie a lei, ho iniziato a vedere alcune cose con l’occhio da imprenditore. Ora stiamo lavorando per aprire una palestra molto più grande, nella zona sud di Milano, dove eventualmente organizzare anche riunioni ed eventi di boxe. Siamo anche in trattativa con il Comune di Milano per aprirne una terza in zona Lambrate, vediamo. Tutte queste cose le segue sempre Sara, dietro a tutta la parte “business”, c’è lei. Ovviamente poi decidiamo assieme.
Chi viene nella tua palestra? Quali sono i tuoi clienti?
Di norma vengono manager che desiderano tenersi in forma, professionisti e giovani che hanno voglia di fare pugilato, attività molto utile per la forma fisica. Io insegno boxe nella forma che mi è stata insegnata: 15, 20 minuti di riscaldamento e il resto è tutto pugilato puro. Vuoto e corpo a corpo, passate e tecnica. Molti si stupiscono che io faccia fare poco allenamento e tanto pugilato. Poi ho anche chi mi aiuta a seguire altre attività collegate. Nonostante a Milano ci siano tante palestre, solo da me si pratica la boxe come arte e disciplina, esattamente come hanno fatto i miei maestri con me. Sono qui dentro dalle 7 di mattina alle 10 di sera: da quando abbiamo aperto – con l’inizio della pandemia – abbiamo sempre combattuto: infatti la palestra non per niente si chiama “Giacobbe Fragomeni Fighting Club”. Qui si viene per diventare appassionati combattenti, nel senso più profondo del termine: per fortificarsi.
È sempre un’emozione vedere persone che si appassionano a uno sport meno popolare di un tempo, ma che esiste da quando esiste l’uomo. Dove c’è sia la fame che la sete, li ci sono i migliori pugili del mondo. Noi forse oggi “quella fame e quella sete” l’abbiamo persa o dimenticata. La “fame” ci spinge ad andare oltre i nostri limiti, a dare il 101% di quello che siamo. Questo è quello che cerco di insegnare: trovare dentro noi domande e risposte. Nella boxe si trovano le une e le altre, è una pratica che ci aiuta a conoscere noi stessi fino in fondo, come per le discipline orientali. Viaggiare dentro noi stessi – ricercando con fatica, fisica e mentale – purifica, è un percorso di vita. Si arriva a contatto con il nostro vero “Io”.
In cosa si contraddistingue il tuo modo di allenare?
Oggi lo chiamano “functional training”, una volta era pre-atletismo generale. In pratica è allenare ogni muscolo perché il pugilato è uno sport che, se fatto a certi livelli, coinvolge tutti la muscolatura del corpo. Quando sei sul ring devi schivare, parare, muoverti, portare i colpi, imparare a dosare le forze. Inoltre devi mantenere la tua lucidità mentale per decidere come affrontare un avversario ed eventualmente modificare la strategia. Il fisico deve essere perfettamente allenato, in esplosività e resistenza: non puoi arrivare alla quinta ripresa senza fiato. Oltre a questo, devi anche capire come si muove una persona: se uno è rigido, flessibile, elastico, forte, agile. Tutto serve per capire quale sarà l’allenamento migliore da seguire. Sono i dettagli che compongono un insieme.
Il pugilato è molto complesso, portare colpi puliti non è facile e portarne una serie è ancora meno facile. Pensando che in tutto questo dobbiamo costruire una “catena cinetica”, dal basso verso l’alto: dai piedi alle mani, guardia, ricaricare e di nuovo dai piedi alle mani, guardia. Un pugile intelligente ha molte più probabilità di vincere di uno meno intelligente: non è solo questione di forza bruta, a parità di peso intendo. L’allenamento è in costante evoluzione: l’alimentazione, gli esercizi, la pratica, la qualità della vita, prendersi anche cura di noi stessi. Vedi personaggi come Ronaldo o Ibrahimovic, arrivati alla soglia dei 40 anni ancora vincenti e competitivi, grazie alla cura di ogni dettaglio. Ecco, essere allenati oggi allunga la vita, soprattutto la qualità della vita. In un mondo come questo, in cui la competizione in tutti i campi è massima, essere e rimanere performanti aiuta e molto. Io ho avuto fortunatamente molti validi insegnanti, da ognuno ho imparato qualcosa. Adesso restituisco quello che ho imparato.
Nel 2016 hai vinto “L’Isola dei famosi”: perché non sei rimasto nel mondo dello show business?
Ho partecipato all’Isola dei famosi per farmi conoscere, più di quanto mi conoscesse già il pubblico. Vincere mi è servito per aprire la palestra: ancora oggi quando vado in giro la gente mi riconosce, mi chiamano “Il pugile”, è incredibile e questo nonostante siano già passati anni. Per quanto riguarda i personaggi dello spettacolo, non è il mio mondo, io non sono “viziato”… A me piace allenarmi, fare fatica, vivere la palestra, andare in giro a incontrare gente che fanno il mio mestiere. E poi ti rendi conto di quanta banalità esista nel mondo dello spettacolo: spesso chi non conta nulla se la tira mentre invece i big sono persone alla mano. Una fra tutte Simona Ventura. Oggi, se mi chiamassero ancora, andrei a fare “Survivor”: è un programma nelle mie corde.
Qual è l’approccio mentale per superare momenti difficili?
Non lasciarsi andare mai, non pensare a quello che dicono gli altri, non fermarsi mai e continuare a perseguire i propri obiettivi.
Qual è il tuo rapporto con i social?
Io vivo di rendita, tra pugilato e televisione ho i miei follower. Segue tutto mia moglie, io uso i social giusto ogni tanto. Tutto quello che viene postato è in merito alle mie attività: palestra, incontri, allenamenti.
Hai pubblicato un libro autobiografico: “Fino all’ultimo round”. Qual è l’importanza di raccontare la propria storia?
Avevo iniziato nel 2002 a scrivere il libro, ma l’ho pubblicato poi nel 2008, quando sono diventato campione del mondo. In realtà scrivere la mia storia è servito anche come terapia per tirar fuori tutto quello che avevo dentro: la storia della mia famiglia, la mia infanzia allo Stadera. Avevo però sottovalutato l’importanza di questo strumento di comunicazione: solo quando ho visto la gente che mi fermava per strada o mi scriveva «grazie Giacobbe, mi hai dato le giuste motivazioni per andare avanti… È capitato anche a me», ho iniziato a capire che stavo dando le giuste motivazioni a queste persone, per andare avanti e sperare ancora. Sono orgoglioso di essere stato così d’aiuto.
A me era capitato di venir fuori da situazioni difficili senza l’aiuto di psicologi: solo con le mie forze, un po’ di fortuna e la gente giusta. E ovviamente il pugilato, grazie al quale ho trovato le motivazioni e la giusta carica. Non immaginavo che un libro potesse arrivare a dare così tanto… Ho dei follower che mi scrivono: «La mattina prima di uscire di casa devo leggere un paio di pagine del tuo libro». Raccontando semplicemente me stesso, senza barare, mi sono liberato dai demoni: e questo dai lettori è stato subito percepito.
Hai anche realizzato un documentario dal titolo «Senza Tregua».
Ti dirò, il documentario è stato gestito male… Alla fine – nonostante il passaggio sulla tv svizzera e dopo aver vinto svariati premi internazionali e nazionali – è finito nel dimenticatoio, nonostante resti un bel lavoro e un racconto fatto bene. Mi piacerebbe riuscire a veicolare il libro e il documentario nelle scuole: poter dimostrare ai ragazzi che la vita non è quella dei social, la realtà è fatta di fatica, sudore e impegno. Per raggiungere gli obiettivi, non ci sono mai scorciatoie: solo tanto lavoro, delusioni, porte chiuse in faccia. Alla fine il rispetto e la correttezza, pagano sempre.
Qual è il tuo media preferito?
Rimane la televisione per le informazioni, anche se trasmette sempre cose un po’ tristi. Guardo video sui “social”, soprattutto di boxe: li uso e mi informo sulle novità nel mondo del pugilato. Palestre, atleti, insomma tutto quello che ruota intorno al mio mondo. Questo lo faccio tra un allenamento e l’altro. Le mie sono giornate lunghissime, con poche pause e tanto lavoro. D’altra parte nessuno può sostituirmi!