Non ama essere considerata l’anti-Bruzzone. Romana, classe ’87, una passione per lo studio dei misteri della mente che si porta dietro da bambina. Flaminia Bolzan è sportiva, appassionata di letteratura e cinema, impazzisce per Charles Bukowski e Quentin Tarantino.
Si divide tra seminari, social e Università. Collabora con la professoressa Francesca Minerva (che insegna Diritto Penale alla Luiss), è docente al Master di Genetica Forense di Tor Vergata del Professor Giardina e ha una cattedra di Psicologia Sociale all’Università Niccolò Cusano.
Ha seguito con grande determinazione i casi di Manuela Bailo (Brescia 2018) e Luca Varani (Roma 2016). Non ama molto parlare di sé, ma per la redazione di Business Celebrity si è divertita a tracciare un proprio identikit: ecco i segni particolari emersi.
Psicologa e criminologa: colpa o merito di un documentario su Ted Bundy o della lettura di Storie di Ordinaria follia? Cosa le ha fatto scattare la curiosità per il lavoro di scavo della psiche, soprattutto di quella malata?
L’intenzione di capire perché le persone che oggi vengono etichettate come cattive fossero tali è scaturita più o meno quando avevo 8 anni. A quell’età è facile pensare che il mondo sia diviso in categorie nettissime e tutti si interessavano solo ai buoni. I cattivi non se li filava mai nessuno. In parte credo che all’epoca fosse dipeso anche dalla necessità di esorcizzare la paura. Oggi mi rendo conto che le persone possono essere un sacco di cose e la distruttività è determinata da tanti fattori. Bisogna conoscerli per capire cosa l’essere umano sia in grado di fare e in quali circostanze. La passione per Bukowski è nata dopo, negli anni del liceo, grazie al mio professore di Storia dell’arte. Mi sono innamorata delle sue opere perché raccontava gli ultimi e il suo alter ego, Henry Chinaski, è uno che vive ai margini, campa di eccessi, ma da questi tira fuori la saggezza e la sua prospettiva sulla vita.
Non ha mai avuto paura di studiare gli angoli più bui della psiche? O, visto che segue i femminicidi, è più forte il desiderio di conoscere la verità e quindi avere giustizia per tante donne maltrattate, anche se non spetta a lei giudicare?
Non ho mai avuto paura perché ritengo che la volontà di conoscere i meccanismi e il funzionamento della psiche umana, in tutte le sue sfaccettature, sia il mio modo per gestire nella maniera migliore possibile le emozioni. La mia curiosità in tal senso è sicuramente infinita e non cesserà mai, proprio perché ogni storia è un unicum. Il desiderio di giustizia è un valore, una spinta motivazionale forte, ma non credo che avrei mai potuto fare la giudice. Io penso che il mio compito, professionalmente parlando, sia limitato al cercare di capire il perché delle cose, per spiegarlo a chi poi la legge deve applicarla.
L’università, ma anche i media e i social. Non pensa che spesso il criminologo almeno in tv venga invitato solo per creare sensazionalismo, far aumentare l’audience, con il rischio di sporcare le indagini, condizionare l’attività dei giudici, mostrificare persone che magari vengono assolte, come ha fatto ben intendere il magistrato Valerio De Gioia, in un suo recente libro? Insomma, non sarebbe conveniente per un criminologo lavorare sottotono, dietro le quinte?
Intanto, il mio lavoro si svolge prevalentemente tra il mio studio privato e le aule, più che su media e social network. In tv il criminologo, quando è un professionista, non si presta ad alcuna logica di sensazionalismo. Espone fatti. Spiega in maniera semplice le cose e difficilmente dà un’opinione basata sul nulla. È un tecnico, uno strumento per il telespettatore o il lettore che aiuta a comprendere tematiche complesse.
Partecipa alle trasmissioni stabilendo prima le regole del gioco?
Io non cerco di mettere le regole in chiaro. Quando vengo invitata o collaboro con le trasmissioni mi esprimo liberamente secondo una deontologia professionale: le regole in questo senso sono già chiare a monte, perché l’indagato non è un condannato, i mostri esistono solo nelle rappresentazioni fantastiche e i magistrati applicano il diritto.
C’è una trasmissione equilibrata in questo senso dove non si emettono sentenze, a cui non è mai stata invitata a partecipare e dove direbbe la sua volentieri?
Ci sono tante trasmissioni equilibrate a cui partecipo volentieri e laddove qualcuno emetta sentenze prima che queste siano rese definitive nelle sedi più opportune, cerco con garbo di farlo presente.
Alla fine, dopo anni di studio, qual è il movente più frequente per cui si uccide o si fa comunque violenza? E cambia se si è uomo o donna?
Se dovessi individuare le due motivazioni più frequenti per cui si arriva a uccidere, le collocherei sicuramente tra quelle passionali e quelle economiche. Poi c’è l’alveo della malattia mentale e lì si apre una parentesi ulteriore, nel caso delle madri assassine, ad esempio. Volendo fare una distinzione di genere, frequentemente alla base ci sono disturbi di questo tipo.
Malattia e cattiveria: come distinguerle?
La malattia è un concetto reale, diagnosticabile. In sostanza, seguendo una metodologia rigorosa si è in grado di rispondere a un quesito che professionalmente spesso viene posto, ossia quello relativo all’esistenza di disturbi che possono incidere sulla capacità di intendere e volere di un soggetto che delinque, nel momento in cui lo fa. La “cattiveria” è un concetto astratto, più aleatorio, non inscrivibile in una diagnosi e in quanto tale l’unico metro di riferimento è quello valoriale.
Ora ha un “salotto” su Leggo.it dove parla anche di amore. Sono pillole destinate forse a quelli che continuano a confondere la possessività, la gelosia morbosa con l’amore?
Nel mio salotto si parla con leggerezza di temi attuali. Più che di amore, si tratta di relazioni. E di modalità di relazionarsi. Differentemente da ciò che può trasparire, il mio target è abbastanza eterogeneo. Sicuramente il pubblico femminile è più coinvolto, ma alla base c’è l’idea che si debba guardare ad alcune dinamiche con le lenti giuste.
Più di 12mila follower solo su Instagram. In tutto? E i post li crea con i loro suggerimenti?
Sa che non li ho mai contati con esattezza e sto andando a controllare proprio ora per risponderle? Ad ogni modo Instagram è il social che uso maggiormente e lì sono poco più di una decina di migliaia di persone. Per la costruzione dei post non ho un piano editoriale, né un calendario, se si fa eccezione per la condivisione del giovedì e del venerdì per raccontare cosa succederà nel salotto. Il resto fa parte di quello che mi succede nella quotidianità. A volte sono più presente, altre meno, e non condivido molti aspetti sia per quanto riguarda la professione, sia per ciò che attiene la vita privata. I social sono un mezzo, mi aiutano a restare in contatto con le persone, mi permettono di cercare le tendenze relative ai miei gusti soprattutto di interior design e anche di far conoscere qualcosa in più di me, ma non voglio che diventino il canale preferenziale e soprattutto che mi definiscano. C’è chi ha trovato giovamento applicando nella sua quotidianità alcune delle tips, i consigli che ho condiviso. E mi ha fatto piacere saperlo perché in fondo è indirettamente anche questa una soddisfazione professionale e umana.
In certe professioni, esporsi sui social rischia di far perdere credibilità?
Anzitutto il social nel mio caso è uno spazio personale che dal mio punto di vista va quindi utilizzato tenendo ben presenti le stesse regole che si usano nella vita reale. Io sui social non faccio consulenza, al limite sono rintracciabile per richieste di consulenza. Se mi espongo, lo faccio in relazione a quello che ritengo sia giusto far conoscere della mia persona e della mia professionalità, con le modalità che reputo più opportune: penso che se qualcuno sia convinto di poter misurare la credibilità di qualcun altro unicamente attraverso uno scroll del profilo Instagram, o è un genio, o è davvero molto superficiale.
Turchese, il suo romanzo. Quanto c’è di Flaminia in quelle pagine?
Turchese è il nome di una pietra. È a mio avviso la cosa più bella che io abbia mai realizzato ed è tale proprio perché tutt’altro che autobiografico. “Turchese” è un insieme di un sacco di cose, di tutto ciò che direttamente o indirettamente ho osservato anche solo per un istante in 34 anni di vita, poi rivisitato in una chiave sconnessa, che è quella della mia fantasia.
Ha un ufficio stampa o fa tutto da sola?
Non ho alcun ufficio stampa perché non penso di potermelo permettere (sorride).
I suoi progetti futuri? Cosa le piacerebbe tanto fare?
Ne ho moltissimi. Ho sviluppato un progetto di coaching per le società calcistiche, voglio migliorare nel Padel, continuo a occuparmi incessantemente e con grande dedizione alle mie consulenze in ambito psicologico e forense, desidero creare dei salotti culturali a Roma e raccontare le storie delle persone e poi, beh… se proprio dovessi spararla grossissima le direi che mi piacerebbe scrivere il sequel di Turchese e vincere il premio Strega. Dicono che sognare sia gratis, no?
Alla fine chi è Flaminia? E come vorrebbe essere definita? L’anti-Bruzzone?
Flaminia, parlando in terza persona, è una persona eclettica, piuttosto sensibile, piena di interessi che prova ad assecondare all’inverosimile. È una sportiva, è testarda e curiosa e si cimenta in un sacco di attività. Non vorrei essere etichettata in alcun modo sinceramente e non penso affatto di essere l’anti-Bruzzone anche perché non mi piacciono le definizioni che prevedono una contrapposizione a qualcosa o qualcuno. Tra l’altro Roberta è una professionista che stimo e personalmente mi è anche simpatica. Non siamo come Batman e Superman. Siamo due donne, ognuna con la propria storia, la propria personalità e una caratteristica comune che è la determinazione nel cercare di raggiungere gli obiettivi.
Su. Un piccolo sforzo. Flaminia la criminologa… continui!
Se proprio dovessi continuare la sua frase credo che potrei terminarla così: la criminologa Indie come la musica. Quella indipendente, quella che magari non sarà mai mainstream, ma alla fine chissenefrega, perché è vera e di qualità. E molto probabilmente sa emozionare.
1 commento
Complimenti vivissimi a Flaminia e alla giornalista Cinzia..Si legge con molto interesse ed è una bella storia di vita..