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Fabio Zaffagnini: «Per comunicare con efficacia bisogna essere fedele al proprio archetipo»

di Alessandro Dattilo
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Con l’idea di Rockin’1000 ha rovesciato il tavolo: da ex geologo marino, si è trovato catapultato in uno scenario musicale internazionale. Fabio Zaffagnini non ama chi cerca a tutti i costi di differenziarsi, provocare, stupire, solo perché “deve farlo”. «Un professionista non deve indossare una maschera: ci deve essere verità e coerenza con la propria personalità reale. Perché la comunicazione oggi è talmente veloce e l’attenzione così bassa che il rischio di essere fraintesi è alto».
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Photo: Viviana Vitale

Come è scritto nel vostro sito, il Rock (con la R maiuscola) è quella cosa che fa battere il piedino, contestare le autorità, trovare la forza per dichiarare i propri sentimenti, conoscere persone e situazioni sempre nuove. Che ruolo sta avendo il rock in questa pandemia e che contributo può dare il progetto Rockin’1000?

Usiamo la R maiuscola, perché c’è qualcosa di soprannaturale nel potere della musica Rock: aiutare a combattere la paura, neutralizzare la frustrazione, tirare fuori le energie nei momenti difficili. È questo il ruolo che ha avuto durante la pandemia. Se guardiamo le statistiche della musica ascoltata in streaming durante i periodi più bui del lockdown, troviamo il Rock, non altri generi; è come se tutti noi ci fossimo rifugiati in un ambiente sicuro, che conosciamo bene e che non ci può tradire. Abbiamo riscoperto i grandi classici con cui siamo cresciuti e questo ha dato una spinta all’ennesimo ritorno in auge del Rock. Parlo di “ritorno” e non di “rinascita”, perché il Rock è immortale, scorre nelle vene di tutti, anche di quelli a cui non piace (non lo sanno ma è così!).

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Photo: Marco Onofri

Rockin’1000 catalizza la voglia di suonare di tante persone, più o meno capaci; abbiamo trovato un modo per raccogliere esigenze individuali e sincronizzarle, trasformandole in una esigenza collettiva, amplificata… e ci abbiamo riempito gli stadi. Questo ha portato alla consapevolezza che la moltitudine riesce a fare la differenza, riesce a farsi sentire, non so se possa servire a superare la pandemia, ma di sicuro chi partecipa tocca con mano i risultati che possiamo ottenere se in tanti remiamo nella stessa direzione.

Il focus del nostro magazine è raccontare il backstage della comunicazione: come i personaggi curano il proprio brand personale. Com’è cambiata l’identità e l’immagine pubblica di un ex geologo marino che si è trovato catapultato in uno scenario musicale internazionale?

Sono sempre stato una persona irrequieta e ho sempre cercato di distinguermi ed emergere, nonostante la mia timidezza. Con la consapevolezza di queste mie caratteristiche, ho cercato di portarle a terra: ho cambiato tanti lavori, mi sono buttato a pesce in tante avventure, la maggior parte delle quali si sono rivelate dei buchi nell’acqua. Nel 2015, Rockin’1000 è come se avesse rovesciato il tavolo, buttandomi addosso quella approvazione che cercavo e mi ha riempito di impulsi e sollecitazioni. Oggi, a distanza di anni, non sono più così attento alla mia affermazione personale e sono più concentrato sul mio progetto; mi sono un po’ placato, accolgo la noia come un privilegio, quelle poche volte che si presenta! Per quanto riguarda l’immagine pubblica, che dire: cerco di rimanere fedele a me stesso, ma faccio molta attenzione a quello che comunico, di sicuro ci sono un sacco di cose che tengo per me e che prima non trattenevo. La comunicazione oggi è talmente veloce e l’attenzione così bassa che il rischio di essere fraintesi è alto: per questo sono diventato meno impulsivo.

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Photo: Andrea Bardi

Gestione dei social, approccio di fronte a una telecamera, public speaking, look personale, gestione dei media, storytelling. Su quali competenze hai lavorato di più e quali invece ti erano abbastanza naturali?

Parlare in pubblico, raccontare storie, fare battute e tirare fuori retroscena anche della mia vita personale mi è sempre piaciuto e mi viene naturale; ho fatto dei corsi e sono stati utili, ma non ho mai seguito rigidamente i “bullet point della comunicazione efficace”, cerco sempre di parlare come parlerei a un amico e credo che funzioni. Per quanto riguarda la gestione dei media sono piuttosto pigro, non seguo un piano editoriale, ma comunico cose quando ho tempo, voglia e qualcosa da dire, altrimenti sto zitto. So che questa scelta non è premiata dagli algoritmi dei social, ma sarebbe bello un mondo in cui le persone comunicano meno compulsivamente. Come look personale, se fosse per me starei sempre in maglietta, bermuda e infradito; ma ultimamente, quando ci sono occasioni importanti chiedo aiuto a un’amica stylist. Essere “vestito bene” penso aiuti la resa delle occasioni in cui sto davanti a un pubblico e questo è il motivo per cui ho deciso di impegnarmi di più, ma è una cosa che mi mette a disagio.

Per un musicista cambiare look è la cosa più semplice. Quanto è importante invece per un musicista differenziarsi? In che cosa oggi ha più senso differenziarsi? Quanto conta la comunicazione personale?

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Photo: Marco Onofri

Credo che per un musicista, come per qualsiasi persona che decide di esporsi, la priorità sia il messaggio che vuole comunicare, la sua spinta, la sua urgenza, la sua onestà. Non amo chi cerca a tutti i costi di differenziarsi, provocare, stupire, solo perché “deve farlo”. Ci sono artisti che cambiano durante il loro percorso, spinti da un’esigenza interiore di sperimentazione, penso a Thom Yorke, altri che cambiano avvicinandosi a generi più diretti e mainstream, penso ai Genesis. C’è chi invece si differenzia nel panorama musicale proprio perché non si è mai spostato di una virgola dalla propria identità, ed è osannato dal pubblico proprio per questo, per la propria coerenza: penso agli AC/DC. Insomma c’è chi cambia, chi no, chi emerge perché è differente dagli altri, chi fa le stesse cose di tanti altri ma meglio; il punto non sta nel decidere di differenziarsi, ma nel seguire la propria natura e valorizzarla.

Immagino che tu abbia studiato le competenze e i modelli di business di grandi artisti e dei grandi manager che organizzano eventi internazionali. Che cosa hai osservato e cosa continui a osservare nel personal brand di questi personaggi?

Tutti i personaggi pubblici, i gruppi musicali e anche i brand sono la rappresentazione di uno o più archetipi e attraggono pubblici diversi con diverse sensibilità: ci sono i ribelli, i burloni, i saggi, gli esploratori (…). Queste sono semplificazioni ovviamente, ma più il personaggio è fedele al proprio archetipo, più la sua comunicazione è efficace per il suo pubblico. Quando parlo di “fedeltà al proprio archetipo”, non mi riferisco a una maschera da indossare: ci deve essere verità e coerenza con la propria personalità reale, che sicuramente è più articolata. Credo che in pubblico non sia possibile essere efficaci inviando segnali complessi.

Crescendo ci si avvale di un team per gestire il proprio brand personale. Che consigli dai a un imprenditore o manager che voglia diventare un punto di riferimento oggi nel proprio campo?

Non credo di avere l’autorevolezza per dare consigli di questo tipo: forse l’unica cosa che mi viene in mente è cercare di valorizzare i propri punti di forza, coltivare la propria unicità senza inseguire il modello di altri o scimmiottare quello che non si è. L’obiettivo dovrebbe essere quello di fare bene il proprio lavoro, il resto può venire di conseguenza.

Rockin’1000 è la storia di un sogno: disegnato, ampliato e realizzato. Che strumenti hanno, specie i giovani, oggi per costruirsi un percorso simile al tuo, ognuno nel proprio campo?

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Photo: Andrea Bardi

Il primo strumento è l’entusiasmo, anche cieco, talmente dirompente da essere in grado di distorcere la realtà (occhio però a non accanirsi!). Poi la voglia di fare, di imparare, di rischiare, che in realtà non è uno strumento, ma uno zaino da riempire, vuoto e leggero.

 

Alessandro Dattilo

Photo cover: Marco Onofri

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