Dante: a 700 anni dalla sua morte, c’è chi lo considera una sorta di self branding builder, seppure primitivo. Tra questi Enrico Cerni, manager nella corporate university di una multinazionale italiana che – in un libro pubblicato di recente dal Sole24Ore e intitolato “Dante per manager” – è riuscito a spiegare perché l’Alighieri abbia gettato le basi del marketing, della comunicazione e gestione di un’azienda, dimostrando quanto tutte le teorie e pratiche del thinking big fossero già in lui.
Dieci anni fa Cerni aveva già scritto sul Poeta fiorentino, accostandolo ai contesti aziendali. Questa volta il formatore, con la fissa per i classici, è andato oltre, proponendo la lettura della stessa Commedia come modello di business plan – che ogni manager in carriera dovrebbe avere sul comodino – e di Dante come esempio di leader capace di visione dei futuri.
«Nell’architettura del poema – spiega l’autore – la fine (il fine) è già chiara nell’inizio: dapprima la discesa per loco etterno/ove udirai le disperate grida; poi l’ascesa al monte dove stanno le anime che sono contente nel foco, perché speran di venire/quando che sia a le beate genti; infine la città celeste del Paradiso».
Nello studio di Cerni, Dante è un personaggio complesso, che ha saputo creare un clima di intimacy con il suo pubblico, tanto «da essersi fatto chiamare dalla Storia per nome di battesimo. Alla faccia del drammaturgo Shakespeare che, seppur lodato, non è mai stato Willy».
E ancora, Dante è un capitano che sceglie di essere ottimista. Uno con la stoffa da leader, a cui «non interessava dimostrare quanto valesse, ma esprimersi appieno».
«Come i leader quelli capaci di avere follower che rimangono nel tempo, anche Dante cercava espressioni complete, non temeva di mettersi in gioco e reinventarsi nei momenti di crisi. Dante, uno che ti insegna a pensare non in grande, ma in alto. Con rigore, ha impartito ordini precisi a sé e ha lavorato con tenacia per attenersi a quelli. Ha dichiarato che faceva e ha fatto. Il suo è un pensiero progettuale, che è la traduzione italiana di Design Thinking. Ha alternato divergenza e convergenza, osservato ciò che gli stava attorno, tratteggiato le sue personas diventate protagoniste immortali dell’immaginario collettivo, definito il suo punto di vista, ideato, prototipato, testato e poi mandato in produzione. Ha riformato il suo e il nostro linguaggio, introdotto nuovi paradigmi, inventato parole e mondi, raccogliendo attorno al suo nome milioni di follower. Possiamo considerarlo un leader lerner, che impara dalle esperienze vissute sul campo e non ha paura di accollarsi un lavoro impegnativo, come la Commedia (100 canti di lunghezza più o meno simile, 14.233 versi endecasillabi, cioè versi di undici sillabe ciascuna, legati in terzine a rima incatenata), scritta in almeno dodici anni (dal 1304 al 1321). Il risultato si ottiene al 10 per cento grazie all’ispirazione e al 90 per cento grazie al sudore della fronte, dice un adagio attribuito a Ernest Hemingway, Thomas Edison e a George Bernard Shaw».
«Dante, uno che ti insegna a pensare non in grande ma in alto»
Nella ricerca di Cerni, dunque, un Dante inedito, creatore di un brand memorabile. Come ha scritto nel libro l’ex Ceo di Google Italia, Fabio Vaccarono, ci sarebbero due motivi per spingere a leggere Dante anche in azienda: «Il viaggio dantesco avviene in un universo organizzato nel quale tutto trova una spiegazione, un nesso razionale di causa effetto, potremmo dire una sua economia. E poi il viaggio di Dante è una visione immaginaria o un sogno».
Per Cerni «non è anacronistico, ma è addirittura indispensabile ricorrere al passato, cioè ai nostri passi, per poter abbracciare il futuro. Lo sguardo è rivolto in avanti, abbracciamo le prospettive di innovazione, abbiamo desiderio di disvelare il nostro domani e plasmarlo secondo le nostre aspirazioni. Ma proprio per questo dobbiamo conoscerci dentro, conoscere le nostre radici, il punto di eccellenza da cui partiamo».
Ma il presente è così sprovvisto di serbatoi di idee, metodologie da applicare a manager e aziende per dover ricorrere a Dante e Ulisse?
«Secondo me il presente è molto ricco di idee e metodologie da adottare per far funzionare le aziende al meglio. Non sono un laudator temporis acti, non mi convince la nostalgia del passato, anzi, mi infastidiscono le persone che parlano bene di ieri perché non sono a loro agio con loro stesse oggi. Sono arci-convinto che domani sarà migliore di oggi e che oggi viviamo in un tempo straordinario in cui abbiamo enormi possibilità di generare idee, creare contesti di umanità e accedere a un ventaglio coloratissimo di conoscenze. Siamo fortunati a vivere in questa epoca, dobbiamo ripetercelo ogni giorno. Siamo anche fortunati a lavorare nelle aziende e con le aziende in quest’epoca perché possiamo sperimentare, innovare ogni giorno, abbracciare la sfida della sostenibilità che annuncia nuovi diritti e nuove opportunità per molte persone».
Dante per te un antesignano del personal branding, grazie a visione e autodisciplina.
Sì, i leader capaci hanno in loro queste due qualità. Nel bel volume di Jim Collins, “Good To Great”, scritto nel 2001 e diventato ormai un classico della letteratura manageriale, questa idea della disciplina emerge con grande evidenza: le aziende che funzionano meglio nel lungo periodo sono le aziende fortemente disciplinate. I leader e i manager capaci riescono a tenere insieme i tempi lunghi e il raggiungimento dei risultati nell’immediato. Dante da questo punto di vista è ispiratore. Fin dai primi canti dell’Inferno, ci rivela come sarà il suo viaggio e quale sarà il percorso che andrà a compiere. Ecco la sua vision. Aveva in mente il quadro completo, possedeva il controllo del frame di riferimento e a partire da questo si avventurava con tenacia in ogni singolo, subordinandosi al vincolo degli endecasillabi e delle rime incatenate. Vincolo significa disciplina, ma è anche la precondizione per far sgorgare le idee migliori.
Secondo te oggi, che social utilizzerebbe Dante?
Non so proprio quale social utilizzerebbe, quale sarebbe il suo preferito. Credo, comunque, che sarebbe un influencer, un intellettuale ascoltato e rispettato, anche se nella condizione dolorosa di non essere benvoluto in patria. Dante ha dimostrato in vita di voler esercitare la politica e avere le idee molto chiare su ciò che era bene e ciò che era male per il suo Paese. È stato peraltro subito apprezzato per questo. Poco dopo la sua morte a Firenze era stata avviata una sorta di petizione ai priori perché fosse letta la sua Commedia in piazza. La richiesta fu accolta e a leggere i versi fu chiamato nientepopodimeno che Giovanni Boccaccio. Dante è stato un leader con molti follower fin da subito.
Come costruirebbe i suoi post?
Con grande attenzione, magari autoimponendosi alcuni vincoli. Ad esempio, facendo in modo che ogni post abbia un numero preciso di parole. Il vincolo per Dante è generatore di creatività.
E invece che rapporto avrebbe con i suoi follower? Li sistemerebbe in gironi?
Credo che starebbe loro molto vicino. È riuscito a creare un clima di grande intimità con i suoi lettori. Tutta Italia è disseminata di vie, strade, scuole, piazze dedicate al poeta chiamato Dante e non Dante Alighieri. Il cognome diventa spesso abbreviato in A. Una testimonianza che Dante è Dante, ci è intimo amico e lo puoi chiamare per nome.
Per il prossimo libro ti concentrerai su un uomo di scienza?
Nel prossimo libro mi piacerebbe approfondire il tema del cambiamento. Dopo “Dante per manager” edito dal Sole 24 Ore e dopo “Ulisse, parola di leader” edito da Marsilio e scritto con il professor Giuseppe Zollo, vorrei ampliare lo sguardo approfondendo un tema di interesse personale e collettivo: quello della trasformazione, dell’evoluzione, della metamorfosi che si annida in noi dal momento in cui nasciamo. Questa è scienza, ma è in primo luogo umanità.
La Prefazione del libro è curata da Domenico De Martino, docente di Storia della Critica letteraria all’Università di Pavia, direttore artistico del Festival Dante2021 – Ravenna