Nato a Ivrea nel 1901, Olivetti è stato il primo imprenditore-innovatore che, al posto del profitto, ha dato priorità alla responsabilità civile e sociale. Creando già negli anni ’60 “il miglior posto dove lavorare”, con benefit per operai e dipendenti a oggi considerati inarrivabili (alloggi, asili nido, infermeria, biblioteca, sala cinema).
A volte, quando lavoro fino a tardi vedo le luci degli operai che fanno il doppio turno, degli impiegati, degli ingegneri, e mi viene voglia di andare a porgere un saluto pieno di riconoscenza.
L’economia internazionale cambia costantemente, risponde alle nuove esigenze del mercato, adegua il paradigma sociale del XXI secolo. Assistiamo a una trasformazione della gestione aziendale, a decisioni dei manager da adottare soltanto nel breve periodo. A causa della velocità del cambiamento, non è possibile una programmazione economica perché gli imprenditori sono costretti a rivedere le scelte quasi quotidianamente.
L’intelligenza illuminata di Adriano Olivetti avrebbe saputo gestire questo momento storico in continuo fermento: una fase che diventa una straordinaria occasione di crescita aziendale, soltanto quando c’è la capacità di ascoltare il cambiamento nelle sue sfaccettature più profonde. La filosofia imprenditoriale di Adriano Olivetti si comprende con maggiore chiarezza nelle pagine del libro Uomini e lavoro alla Olivetti a cura di Francesco Novara, Renato Rozzi e Roberta Garruccio, edito dalla Bruno Mondadori Editore, con postfazione di Giulio Sapelli. Le testimonianze degli autorevoli protagonisti raccolte nel volume evidenziano la storia della multinazionale.
Può sembrare un passaggio secondario mentre è basilare comprendere l’importanza dell’industria italiana, non sempre riconducibile a poche famiglie blasonate, appannaggio esclusivo dell’alta finanza del Paese. Nelle venticinque interviste emergono le storie di vita, le fatiche affrontate, le difficili scelte intraprese dal management. L’obiettivo è quello di ripercorrere l’evoluzione subìta dall’azienda nel cruciale passaggio dalla meccanica all’elettronica, avvenuto dal 1948 al 1978, fino alla crisi della seconda metà degli anni Ottanta.
Il racconto di un’impresa
Le storie raccolte rendono chiaro quell’originale approccio imprenditoriale di Adriano Olivetti: il lavoro in azienda aveva come obiettivo quello di progettare, costruire e proporre (con ambizioni di eccellenza) prodotti di utilità reale, senza trascurare le qualità maggiormente legate ai valori e alla dignità degli uomini che costituivano l’impresa. È questa la base culturale su cui costruire un’impresa etica perché rispetta un valore sociale: la dignità dei lavoratori, sempre al centro delle scelte imprenditoriali, indiscutibile ricchezza umana. Sono tutte sfaccettature di forte significato umanistico che hanno caratterizzato la grande stagione della Olivetti, delineando gli scenari storici più salienti dell’economia italiana.
Conviene ricordare che la multinazionale, durante il Novecento, si è inserita in diversi mercati internazionali subendo molte trasformazioni: dalla meccanica di precisione, settore da cui prende avvio la ricerca nel 1908, all’elettromeccanica, tra gli anni Quaranta e gli anni Sessanta; dall’elettronica all’informatica, tra gli anni Sessanta e i Settanta; dalla tecnologia dell’informazione a quella delle telecomunicazioni, tra gli Ottanta e gli anni Novanta. È un’impresa privata la multinazionale Olivetti anche se vuole vivere a beneficio della società, quasi fosse uno strumento necessario per trasferire le acquisizioni tecnico-scientifiche in prodotti e servizi socialmente utili: la sua ragion d’essere. Perseguire questa finalità è la sintesi delle variabili che compongono la sua organizzazione complessa.
Questi individui, confrontandosi su temi e problemi concreti, possono costruire insieme una cultura d’impresa. La finalità vitale condivisa crea l’ordine funzionale, mentale, morale, emozionale. A questa condizione, per Camillo (che ha fondato l’Olivetti nel 1908) e Adriano, la tecnica svolge il suo compito essenziale: «Dare un nuovo corso alla vita e al lavoro dell’uomo, nell’immensa forza spirituale della fabbrica». Ed è proprio nelle relazioni industriali dell’azienda che è radicata la concezione di “democrazia industriale”, voluta personalmente da Adriano Olivetti. Nell’immediato dopoguerra inseguì invano un consenso politico e sindacale con un preciso obiettivo: creare un’impresa di tipo nuovo al di là del socialismo e del capitalismo. Tutto ciò per realizzare l’industria sociale autonoma, dove la proprietà deve essere condivisa da più componenti: lavoratori (operai e tecnici), enti territoriali (locali, regionali), istituti tecno-scientifici. Perché l’obiettivo principale di Adriano Olivetti mirava a “socializzare senza statizzare”, conciliando capitale e lavoro.
Una fabbrica a misura d’uomo
Il modello d’industria sociale autonoma non fu realizzato ma il comportamento di Adriano Olivetti nelle relazioni industriali lo rese un “imprenditore atipico”, definito “imprenditore rosso” da Angelo Costa, presidente della Confindustria. Fu proprio Costa a invitare i confindustriali a boicottare i prodotti Olivetti. Ma Adriano Olivetti perseguiva il libero e consapevole avanzamento sociale complessivo dell’impresa, della fabbrica a misura d’uomo, nella comunità di cui è parte essa stessa.
A proseguire nella sua impresa è la forte convinzione della filosofia di pensiero di Adriano Olivetti: l’agire economico è inserito nella catena teologica che lo finalizza al bene comune. L’impresa nasce, impegnando risorse appropriate, al fine di costruire prodotti e servizi utili per il mondo in cui opera, mantenendo la propria autosufficienza con il profitto e distribuendo ricchezza. Per Adriano Olivetti, come per suo padre Camillo, l’attività economica è al servizio della vita sociale, contraddicendo il principio per cui l’impresa, in quanto soggetto giuridico privato, ha come fine primario la massimizzazione del profitto degli azionisti, in un’accumulazione infinita, mercificando il lavoro e il capitale.
Nel XXI secolo non esistono modelli di impresa simile ed è questo uno dei tanti motivi principali della crisi economica di questo momento storico: soltanto coinvolgendo gli impiegati si possono superare gli ostacoli. Quando si comincia a licenziare è ineluttabile l’inasprimento del clima sociale, che diventa negativo perché sfuma lentamente la speranza: quella stessa variabile di sogno che è necessaria per progettare, credere nel futuro, sognare un mondo nuovo con macchinari e gestione innovativa. Non è soltanto un argomento riguardante la tecnologia oppure il digitale, sappiamo bene che sono soltanto meri strumenti guidati e governati dalle persone.
Nell’attuale contesto sociale ed economico, fortemente compromesso dalla pandemia del Covid-19, è difficile trovare un manager che sia disposto a investire sulle dipendenti donne per alleviare il loro lavoro di mamme con semplici organizzazioni aziendali, dove l’asilo nido nell’impresa resta un passo fondamentale per valorizzare la donna come mamma, lasciando inalterato il suo lavoro che deve continuare a poter svolgere in piena tranquillità.
Divulgare la cultura aziendale per superare l’inverno demografico
Se i manager evitano di sposare la filosofia di Adriano Olivetti – che chiese di dialogare con i pedagogisti stranieri promotori della pedagogia attiva, senza tralasciare quelli italiani, per orientare l’attività degli asili nido e delle colonie e formare così le persone cui saranno affidati i bambini e i ragazzi – sarà impossibile sognare una società futura dove sia concesso di lavorare e sognare una famiglia. Stiamo vivendo un inverno demografico, con un conseguente allarme per la mancanza di nuove nascite, dove non si potrà assicurare la crescita economica e sociale. Per superare questa crisi culturale è fondamentale promuovere e divulgare la cultura psicologica e la cultura sociologica nell’azienda.
E fu sempre Adriano Olivetti a proseguire nella sua personale idea aziendale, che contemplava l’istituzione del Centro Riqualificazione Operai. È una struttura che prepara disabili a lavorare nei reparti dell’azienda, ospita stabilmente persone alle cui limitazioni vanno adattati posti e attrezzi di lavoro: tutti individui che devono essere seguiti costantemente poiché necessitano di cure particolari. Ed è ancora Adriano Olivetti a chiedere con insistenza, tra gli altri istituti, il regolamento che assicura nove mesi di permesso retribuito alla lavoratrice madre, senza tralasciare il Centro Relazioni Sociali: uno stimolo e un servizio dei Comuni che abbisognano di sostegno.
L’Italia dei manager e dell’economia deve guardare al passato per progettare nuovamente un’organizzazione del lavoro, rispettando le esigenze della nuova società. È sufficiente partire dal modello voluto e creato da Adriano Olivetti per riuscire a immaginare un futuro più sereno, con una maggiore stabilità economica e un diverso coinvolgimento delle donne nei reparti delle imprese. Rispetto e civiltà dovrebbero essere le due parole da tenere bene in mente perché se il dipendente è felice produce meglio. E questo non è meramente uno spot ma un dato scientificamente provato su cui riflettere maggiormente. Purtroppo, negli ultimi 30 anni c’è stato soltanto un pensiero dominante: risparmiare sugli investimenti. Chi è un vero manager è perfettamente consapevole dell’importanza degli investimenti poiché aiutano l’impresa nella crescita, sostenendo sviluppo ed espansione, a beneficio dell’economia.
Photo cover: Adriano Olivetti – ICO Ivrea, 1959 – Fondazione Adriano Olivetti