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Le mille vite di Elisa Bertini: «La visibilità sui media? Oggi è fondamentale per una scrittrice»

di Erika Digiacomo
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Sul suo profilo Instagram, in cui ogni feed dai toni fantasy cambia col mutare delle stagioni, la giovane scrittrice per Mondadori parla di libri, serie tv e dà consigli di scrittura a chi sogna di fare di questa passione un vero mestiere.

Dopo aver vissuto cinque anni a Southsea, piccola cittadina del Sud dell’Inghilterra e dove proprio Arthur Conan Doyle ha creato il personaggio di Sherlock Holmes, Elisa Bertini, 33 anni, scrittrice per Mondadori, ha deciso di ritornare a Ravenna, nella sua città natale, dove oggi vive col fidanzato e un’infinità di libri.

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Laureata in Letteratura Italiana, alla carriera da scrittrice affianca quella da giornalista, scrivendo per alcuni quotidiani online. Ha pubblicato diversi romanzi e racconti (Mondadori, Fernandel, Castelvecchi, DeAgostini/Libromania) e altri ancora sotto pseudonimo (Rizzoli, Fanucci). Il suo ultimo romanzo per adulti, “Nerocuore”, è stato pubblicato nel primo Speciale tutto italiano del Giallo MondadoriAmori Malati: tre storie di femminicidio”, e a giugno 2021 è uscito per Mondadori il Volume Uno della sua prima serie gialla per ragazzi, “La Banda degli Invisibili – La recita maledetta”, scritto a quattro mani con Franco Forte, autore, editor e direttore di varie collane Mondadori, nonché sceneggiatore di serie tv come “Distretto di Polizia” e “Ris”. In questo suo ultimo libro Elisa si avvicina al mondo degli adolescenti e parlando il loro linguaggio, racconta di una rivincita. Quella degli “Invisibili”.

la-recita-maledetta-bertiniIl suo ultimo libro parla agli adolescenti. Cosa vuole comunicare?

“La Banda degli Invisibili – La recita maledetta” (Mondadori Ragazzi) è il primo volume di una serie mystery dal sapore misto tra giallo e Piccoli Brividi che però, come si evince dal titolo, porta con sé un messaggio piccolo ma importante: parla della rivincita degli Invisibili, quattro ragazzini come tanti, un po’ diversi e un po’ sfigati, che passando giornalmente attraverso inadeguatezza, bullismo e invisibilità sociale finiscono per far tesoro della loro diversità facendola risorsa. Certo, trattandosi di una serie mystery, in primis la sua ‘funzione’ è quella di far divertire e di far vivere avventure ai ragazzi insieme ai protagonisti; ma, allo stesso tempo, l’intenzione è quella di far passare tra le pagine tutta l’importanza del messaggio… è come se la Banda dicesse ai tanti coetanei là fuori: «Ehi, essere diversi non vuol dire essere sfigati (anche se i bulli ti chiamano così) anzi, questa diversità può diventare qualcosa di speciale, se hai il coraggio di crederci fino in fondo!»

Quali differenze ha notato nel rivolgersi a un pubblico più giovane?

Molte. Ma prima di parlare delle differenze vere e proprie voglio sfatare un mito: molti pensano – erroneamente – che scrivere per ragazzi sia una semplificazione dello scrivere per adulti. Non è così, l’ho imparato sulla mia pelle dopo anni che scrivevo per gli adulti: sono semplicemente due cose differenti come differente è il pubblico a cui ci si rivolge. Quella che ritengo la differenza maggiore, nello specifico, è il tipo di scrittura che si deve utilizzare: i ragazzi di oggi non solo sono molto più svegli di quanto non lo fossimo noi ai nostri tempi, ma usando costantemente internet e i social network sono abituati a stimoli molto più veloci. Quindi un libro, che è fatto di carta – e non è lontanamente né un film né un videogioco né un video di Tik Tok – per catturare l’attenzione deve presentare un tipo di scrittura molto più visuale. Questo comporta, nel pratico, che non c’è spazio per introspezione o lunghe descrizioni, per citare le principali. O meglio, per riassumere usando un termine ormai sdoganato, bisogna mettere in pratica la tecnica dello “Show don’t tell” all’ennesima potenza: nell’odierna letteratura per ragazzi vediamo i personaggi del romanzo muoversi sulla pagina fondamentalmente sotto forma di dialogo e azioni.

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In quali valori crede e in che modo cerca di veicolarli con le sue opere?

Più che di valori preferisco parlare di messaggi che cerco di veicolare. Che siano per adulti o per ragazzi, di genere giallo o più thriller, ogni mia opera è creata per due motivi principali. Il primo è dato dal libro in sé, che da solo rappresenta un significato per me importantissimo: l’esistenza stessa della letteratura significa la possibilità per milioni di persone (lettori e scrittori) di vivere non una sola vita, ma, attraverso le storie, di viverne cento, mille, centomila! Il secondo è dettato invece da un macro tema ricorsivo che compare in quasi tutti i miei romanzi: c’è sempre uno o più personaggi che nella vita ha avuto qualche colpo basso, che è caduto in qualche antro buio da cui risalire o che si trova in una condizione di svantaggio (dovuta alle proprie insicurezze/paure o da condizioni esterne) che cerca, nel corso della storia, non solo di rialzarsi ma anche, al contempo, di accettare che queste cose facciano parte dell’esperienza umana. Non sempre tutto di noi dev’essere cambiato ma, a volte, dev’essere solo ‘abbracciato’.

Cosa rende diverso il suo stile dagli altri? In pillole, qual è il suo metodo nella stesura di un libro?

Credo che ogni scrittore, soprattutto accumulando esperienza e sicurezza, sviluppi un suo stile che non è paragonabile ad altri. Quello che chiamiamo stile diventa un po’ il timbro vocale dello scrittore, anche se in traduzione a volte un po’ si perde o si diluisce. Per quanto riguarda il mio metodo di stesura invece è piuttosto canonico. Se vogliamo dividerlo in macro-fasi, direi che solitamente ne affronto sei: l’arrivo dell’idea vera e propria, ovvero il momento in cui nasce ‘il germe’ della storia; la parte successiva di raccolta delle idee, in cui appunto ogni pensiero/suggestione/ramificazione/informazione e idea secondaria che si sviluppa dal nucleo centrale; la stesura di una prima bozza di trama; la stesura della scaletta vera e propria divisa in capitoli; la fase di scrittura, o la cosiddetta ‘prima bozza’ (che solitamente fa abbastanza schifo, cosa normale!) e, infine, la fase di riscrittura, che può comporsi di varie bozze successive a seconda di quanto lavoro c’è da fare sul testo e sulla struttura. Dopodiché il romanzo passa prima in mano al mio agente e al suo bravissimo staff (la grande Piergiorgio Nicolazzini Literary Agency) e poi, una volta piazzato, passa in mano all’editor della casa editrice del caso. Ma il vero giudice finale è solo uno: il lettore!

Quali sono i grandi scrittori a cui si ispira?

Ne ho molti, ma ne citerò due su tutti, i più importanti: Franco Forte e Stephen King. Il primo è il mio mentore (e ora anche co-autore), la figura senza la quale ora non sarei qui a rispondere a queste domande: non solo mi ha insegnato quasi tutto quello che so sulla scrittura, ma, cosa niente affatto secondaria, è stata la persona che in un momento in cui non credevo più in questo mestiere mi ha ispirata a continuarlo. Franco non è solo autore di molti libri di successo per Mondadori (basti pensare alla  Serie di Gengis Khan da cui è stato tratto lo sceneggiato Mediaset, al ciclo della Storia di Roma o alla Serie dei Sette re di Roma, fino alla sua ultima uscita di pochi mesi fa, “L’Uranio di Mussolini”) ma è anche editor e direttore di diverse collane (Il Giallo Mondadori, Urania, Segretissimo, Oscar) ed è stato sceneggiatore di alcune tra le serie tv più seguite come Ris e Distretto di Polizia, cosa che, a mio parere e non solo, ha dato un valore aggiunto al suo modo di scrivere, soprattutto in un momento come questo in cui anche la scrittura deve portare grande attenzione alla visualità e alla serialità. Il secondo autore che ho citato è il grande Stephen King, o Zio Steve, per noi kinghiani. Su quest’uomo ci sarebbe tanto, tantissimo da dire, ma mi limiterò a riportare cosa è significato e continua a significare lui per me: ispirazione continua, sprone, mestiere e fantasia illimitata. A tutti gli aspiranti scrittori e anche a quelli affermati consiglio di leggere non solo le sue opere, ma anche la sua biografia, On Writing, se non l’hanno già fatto. King non è solo horror, come molti pensano o etichettano: King è Scrittura.

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La sua pagina Instagram è molto seguita, da dove nascono i feed dei suoi post?

Da quando mi sono resa conto che comunicare attraverso i social è fondamentale anche per chi fa il mio lavoro, ho dedicato molta cura e ricerca in ogni aspetto del profilo: in particolare il feed cambia al mutare delle stagioni, ma non è escluso che in futuro resti fisso, dipende dal trend che sceglierò di utilizzare. Instagram è una piattaforma poliedrica e spesso in aggiornamento, con una costante aggiunta di nuovi strumenti che consentono quindi di avere accesso a nuovi modi di comunicare con la propria community. È dunque molto importante aggiornarsi costantemente e scegliere con attenzione come utilizzare le nuove possibilità che si presentano senza snaturare il carattere del profilo.

Che tipo di relazioni ha con i lettori?

Molto bella! Adoro incontrarli alle presentazioni, che sia Il Salone del Libro di Torino o il piccolo appuntamento alla libreria di quartiere. Mi piace molto condividere vis-a-vis tutte le emozioni e i dietro le quinte di una storia, e viceversa rispondere alle loro domande o sentire le loro impressioni ( o le critiche, che sono fondamentali per crescere e migliorare). Dopotutto, quello dello scrittore è un mestiere strano: per tutta la parte della stesura è un lavoro solitario, poi, viceversa, quando il libro esce e inizia la fase di promozione ti ritrovi a girare tutta l’Italia e a condividere in socialità quel che hai prodotto per lunghi mesi. Ora, con il Covid, tutto questo ha avuto una forte battuta d’arresto, ma grazie ai social e alle piattaforme online il contatto coi lettori non si è perso del tutto, per fortuna ha trovato nuovi modi di svilupparsi.

Ha vissuto per molto tempo in Inghilterra, dai social infatti traspare l’amore per la cultura e le abitudini inglesi. Secondo lei gli scrittori del Regno Unito come affrontano il loro personal brand?

Sì, per quasi cinque anni ho vissuto a Southsea, dove il mio compagno – astrofisico – lavorava come ricercatore per l’Università di Portsmouth, e questa esperienza mi ha lasciato tanto nel cuore e nell’immaginario visivo. Per rispondere alla sua domanda, gli scrittori (e gli artisti o influencer in generale) nel mondo anglosassone hanno un enorme vantaggio rispetto a noi, ovvero la vastità del pubblico che raggiungono con la lingua inglese. Nel mio caso, quello della scrittura, non avrebbe senso tradurre i post anche in inglese, perché non mi serve raggiungere quel pubblico: il mio target sono i lettori italiani, una nicchia quindi molto piccola rispetto a quella che può ritagliarsi uno scrittore anglosassone. Viceversa, chi invece è italiano ma può rivolgere il proprio prodotto anche a un pubblico internazionale, investendo in una traduzione bilingue dei propri contenuti avrà un ritorno di pubblico e di vendite molto più elevato.

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Oggi cosa significa per una scrittrice avere visibilità sui social media?

Tanto, tantissimo: non dico tutto, perché in Italia il mondo della promozione editoriale è ancora composto da molti altri tasselli (la visibilità sulle grandi testate culturali, la presenza ai festival letterari più importanti, il rapporto diretto con librai e lettori durante le presentazioni, la vincita di premi…) ma l’ago della bilancia si sta spostando sempre di più e il successo o meno di un libro pare passare sempre più spesso dai social media: è lì che si innesca il fatidico ‘passaparola’ che può sancire il boom di un’opera, basta pensare a tanti dei casi letterari degli ultimi tempi.

 

Erika Digiacomo

 

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