L’identità dei nostri politici nelle parole di un esperto di comunicazione: «La stagione pandemica ha esaltato un processo di leaderizzazione già maturo in De Luca. Ma l’esigenza di alimentare il personaggio ha finito per… inghiottire la persona. Un ministro che mi piacerebbe seguire? Mara Carfagna».
Nessuno più e meglio di Papa Francesco ha umanizzato e reso accessibile non solo il suo mandato episcopale, ma anche il ruolo di leader politico.
Le uscite testosteroniche del “Tyson della politica” possono piacere o meno, ma ‘o pate ‘e campani è riuscito a fare un lavoro di personal branding come pochissimi. Parola di Domenico Giordano, autore di un libro, dedicato al Presidente della Regione Campania e intitolato: De Luca – La comunicazione politica di Vincenzo de Luca, da sindaco a social star (Areablu edizioni).
In poco più di cento pagine e partendo dall’esperienza di primo cittadino a Salerno di De Luca, l’autore ci dice come O sceriffo sia tra i migliori ad avere lavorato sulla brand image. Ma nello stesso tempo rappresenti l’interprete migliore e più raffinato di una fase di svuotamento della politica a tutto vantaggio della comunicazione.
«Il suo messaggio muscolare – scrive Giordano – è fatto apposta per scaldare la sua fanbase. Le sue performance televisive sono programmaticamente disegnate per essere spammate attraverso i social network. Molto di più e molto meglio di Salvini, Renzi o Di Maio, il presidente De Luca rappresenta l’esempio perfetto del leader politico ibrido, in grado di muoversi, talvolta anche a sua insaputa, nell’universo della comunicazione transmediale. A differenza del leader della Lega, De Luca non ha bisogno di una Bestia tecnologica per coordinare i suoi sforzi comunicativi. De Luca è la bestia digitale. De Luca è anche il simbolo migliore del passaggio dalla politica del fare alla politica del raccontare. I due lati sono sempre esistiti, ma oggi la propaganda ha divorato completamente la politica, e il fatto (politico) è stato rimpiazzato dal detto (dei politici). Quello che conta è il saper trovare le parole giuste al momento giusto, cioè quando l’attenzione del pubblico su un determinato tema è alta».
A leggere il libro, che ha la prefazione di Marco Valbruzzi, il maestro dello storytelling securitario in epoca pandemica, che ha superato il milione e mezzo di iscritti sulla pagina Facebook, però, un punto debole ce l’avrebbe, e si chiama realtà.
Ma proviamo a capirne di più con Domenico Giordano, che nella sua biografia scrive di essersi perdutamente innamorato del Supergovernatore, senza essere corrisposto.
C’è da crederci, Giordano. Pur riconoscendogli di essere il migliore nella comunicazione politica, fa passare il Presidente della Campania come il rappresentante perfetto di una fase in cui – lei scrive – non conta risolvere il problema, ma poter dire, credibilmente, di saper risolvere il problema. Accusa De Luca di prezzemolismo, presenzialismo e ipercomunicazione. Mette in fila tutti gli aggettivi più feroci usati dal Presidente in piena pandemia contro i furbetti della mascherina. Ma sotto Covid, il mezzo poteva pure giustificare il fine, che era proteggere i campani. Giusto? Nello stesso tempo, Vicienz è riuscito a fare un ottimo lavoro di personal branding. Osanna o crucifige?
In verità, vedo in circolazione attualmente pochi politici che al pari di Vincenzo De Luca possano vantare un modello di personal branding così tanto strutturato, riconoscibile e ampiamente condiviso come il suo. Quindi la risposta alla domanda – se De Luca sia riuscito a consolidare un modello credibile di personal branding – è decisamente affermativa. Un modello che oggi ha dei caratteri identitari ben precisi e che in questi ultimi due anni in particolare si è rinnovato per adeguarsi allo scenario pandemico conservando, però, integri i suoi elementi di fondo.
Cosa vuole dire?
La stagione pandemica ha esaltato un processo di leaderizzazione già maturo in De Luca, ha creato la bolla perfetta che gli ha permesso di presentarsi e raccontarsi per mesi come l’unico e il solo capace di traghettare i campani fuori dal tunnel del Covid-19. Ed è grazie a questa cornice narrativa che De Luca ha potuto spazzare via ogni titubanza emersa nei mesi precedenti sulla sua ricandidatura e, in particolare poi, sbaragliare il campo opposto e vincere le elezioni regionali del 2020 con il 70% dei consensi. D’altro canto, questa sorta di voto di riconoscenza è un modo per disobbligarsi nei confronti di coloro che hanno conservato con i cittadini chiusi nelle loro case una presenza costante nei mesi più bui della prima ondata. Lo abbiamo visto in Campania, in Puglia con Michele Emiliano, in Veneto e Liguria con Zaia e Toti, così come in tante altre città dove i sindaci incumbent hanno spazzato via i competitor di turno.
Nello studio del personal branding in molti dicono che la coerenza premi. La forma di De Luca sembra coerente con la sua sostanza. Il personaggio è uguale alla persona. Altro punto a favore dell’ex sindaco di Salerno.
Il personaggio è coerente con la persona assolutamente, solo che negli ultimi due anni, l’esigenza di alimentare il personaggio – divenuto grazie e a causa dei social network assai ingombrante – ha finito per inghiottire la persona. Questa è stata la vera mutazione del deluchismo: nella percezione comune e, non solo, il personaggio ha preso il sopravvento rispetto alla persona. C’è un’attenzione diversa rispetto al passato nello scegliere le forme del linguaggio, la necessità di suscitare – anche forzandolo, il dibattito – e l’attenzione. Mi pare che dai tempi di Lira Tv De Luca abbia ceduto alle regole della politica pop, perdendo quella dose di genuinità che lo ha sempre caratterizzato.
Quanto i media hanno “gonfiato” il personaggio? Per la sua condanna da parte della Corte dei Conti – giudizio di primo grado – alcuni media l’hanno ritratto in una foto in cui si irrita. È un circolo vizioso, non trova?
I media hanno gonfiato e riverberato gli effetti della comunicazione di Luca per mero interesse di bottega. Un interesse legittimo ci mancherebbe, ma finalizzato a vendere copie, incrementare accessi e visualizzazioni. C’è in questo un rapporto fisiologico che, però, sembra deragliare sempre più verso una patologia dell’informazione. La notiziabilità non è più solo il contenuto in sé, quanto sempre più spesso diventa l’elemento di folklore, per usare un’espressione cara proprio al presidente De Luca.
Anche Bossi agli inizi non era un fiorellino delicato quando si esprimeva. Perché non ha studiato il suo caso?
Una delle differenze sostanziali tra la comunicazione di Bossi (e della prima Lega) e quella di Vincenzo De Luca riguarda la dimensione istituzionale che determina una personalizzazione del nemico.
Cioè?
La Lega di Umberto Bossi combatteva contro Roma ladrona, quindi aveva messo nel mirino qualcosa di indefinito, un pot-pourri indistinto, mentre De Luca da sindaco può scagliarsi contro un avversario che ha sempre avuto negli anni una precisa riconoscibilità, un nome e un cognome, oggi Luigi Di Maio o Luigi De Magistris, ieri Stefano Caldoro o Marco Travaglio. I nemici di Bossi erano avversarsi generici, quelli di De Luca sono sempre stati negli anni degli antagonisti che assumevano sembianze e connotati precisi.
E, invece, il personaggio Salvini come le sembra?
È chiaro che la stessa cosa vale ai nostri giorni per Matteo Salvini con una differenza di fondo rispetto alla comunicazione di Bossi. Infatti, se da un lato la sua dimensione di leader nazionale lo porta inevitabilmente a costruire un nemico che sia un totem simbolico da poter utilizzare come spaventapasseri – dagli immigrati, alla sicurezza urbana, dalla legge Fornero alla battaglia contro la pressione fiscale – dall’altro, è riuscito a coniugare questo primo livello con una dimensione pop”, di quotidianità e vissuto comune. Per farlo ha scelto di sfruttare la viralità dei social network, scegliendo un linguaggio e una cornice narrativa tanto semplice o banale quanto efficace. Un registro criticabile, ma funzionale alla raccolta di un’audience crescente.
De Luca, da quanto scrive, simile a Renzi e a Berlusconi. Sono tre personaggi che rompono gli schemi e su questo hanno costruito la loro immagine.
In parte sì, nel senso che De Luca e Renzi rispetto a Berlusconi sono tra loro accomunati perché hanno sempre rinnovato il parterre dei loro nemici in funzione del momento storico e degli obiettivi politici da raggiungere. Mentre a differenza di Renzi e Berlusconi – che hanno sempre adottato un vocabolario che per quanto non convenzionale non è mai stato violento o denigratorio – Vincenzo De Luca ha scelto di rompere le regole del bon ton istituzionale e attaccare frontalmente senza alcun riguardo i propri avversari. In questi anni è stato un fiume in piena di imbecilli, bestie, cafone, conigli, dementi e farabutti.
Restiamo su immagine e istituzioni. Come ha visto, nel febbraio scorso, l’esternazione di Giuliano Amato, presidente della Corte Costituzionale? Ha usato le giuste parole, la giusta postura, il giusto tono per spiegare perché alcuni quesiti referendari sono stati ammessi, altri no? O non doveva tenere una conferenza stampa?
Il neo presidente della Corte Costituzionale ritiene – per la sua formazione – la comunicazione una sovrastruttura, un orpello o poco più complementare, ma non essenziale. La cultura politica in cui è maturato Giuliano Amato considerava la comunicazione una dimensione accessoria, ma non fondamentale, perché il rapporto tra mittente e destinatario del messaggio non era costruito come oggi sulla disintermediazione, era un rapporto unidirezionale e verticale. In funzione di questa prospettiva, Amato ha fatto quello che riteneva più coerente. Amato non sente il bisogno di comunicare cioè di mettere in comune, condividere. Al contrario, sente l’esigenza di informare.
Darebbe consigli a chi si occupa di brand image del Papa?
Mi scuso per l’irriverenza del paragone, ma se proprio occorre dare un consiglio, sarebbe il caso di farlo con Amato e di dirgli di guardare alla narrazione del Pontefice. Papa Francesco ha mostrato in questi anni come il suo ruolo potesse coniugarsi senza perdere credibilità e reputazione, anzi, al contrario, accrescendole, con la dimensione del quotidiano, dell’uomo con le sue piccole fragilità prima che del suo ufficio. Nessuno più e meglio di Papa Francesco ha umanizzato e reso accessibile non solo il suo mandato episcopale, ma anche il ruolo di leader politico. Quindi se ad Amato darei un 4 in pagella, Papa Francesco merita un 10 e lode.
Scrive che ha conosciuto De Mita, ha incrociato D’Alema e Fini. Le manca Andreotti. Erano tempi diversi, non c’erano social star. Era meglio?
La società era diversa e quei leader comunicavano nel rispetto dei codici e dei registri del loro tempo. Non li possiamo mettere a confronto, sarebbe un errore grossolano.
Calenda viceré – cioè, secondo a De Luca – sui social?
Tra i celebrity leader della politica italiana, al primo posto del podio metto la Meloni, poi Renzi e infine Salvini, mentre Calenda è bravo, ma paga dazio alla sua arroganza di sentirsi e pensarsi più bravo dei suoi colleghi. Questa mancata soggettivazione, cioè, aver raccolto meno di quanto desiderasse, lo porta ad apparire come presuntuoso agli occhi del pubblico.
Un personaggio di cui vorrebbe curare l’immagine?
Non so quale sarà il mio prossimo cliente, però, posso dire che mi piacerebbe seguire il ministro Mara Carfagna. Credo che potrebbe essere molto più incisiva, ma preferisce conservare un low profile che forse pensa sia doveroso per raccontare la sua credibilità, ma che, a mio avviso, la penalizza più che metterla in una condizione di vantaggio.
1 commento
Cinzia complimenti per l’intervista che rivolgo anche all’intervistato, l’ho trovata straordinariamente interessante, comprerò senz’altro il libro. Voglio soffermarmi su due aspetti: Giordano dice che il racconto ha divorato la politica, in effetti è così, ma mi chiedo, è giusto? Verso quali rischi ci porta questa subalternità? Secondo, non mi convince su Amato: una cosa è essere presidente di regione ed un’altra presidente (per pochi mesi) della Corte Costituzionale. Ciò che è permesso a De Luca non era permesso ad Amato che anzi si è spinto molto oltre le consuetudini comunicative della Corte.