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«Il nostro impegno per Milano capitale europea dell’Avvocatura e delle Professioni»

di Redazione
L’avvocato Claudio Acampora, della lista “Diritti al Futuro”, spiega come andrebbe rinnovato l’Ordine degli Avvocati di Milano, in vista delle elezioni per il Consiglio (in programma dal 7 al 9 febbraio, presso la biblioteca Ambrosoli di Palazzo di Giustizia). «È un’occasione unica per far sì che Milano diventi la capitale europea dell’Avvocatura e delle Professioni, con sinergie istituzionali a livello locale, nazionale ed europeo».

 

Avvocato, partiamo dal focus del nostro magazine, ovvero dalla comunicazione dei brand personali. Come comunicano a suo avviso gli avvocati in Italia?

Il quesito è estremamente attuale ed è anche complesso per la figura professionale dell’avvocato. Storicamente, per i limiti deontologici posti (tra i quali i temi della riservatezza, del divieto di accaparramento dei clienti, dell’intermediazione dell’avviamento e altro), la comunicazione ha rappresentato più un ostacolo che non un’opportunità. Allo stato, come principio generale, è ammessa la cosiddetta comunicazione “informativa”: l’avvocato può comunicare e informare in merito alla propria attività professionale “con qualunque mezzo”, ma sempre nel rispetto dei limiti della trasparenza, verità, correttezza e, attenzione, purché l’informazione rilasciata non sia comparativa, ingannevole, denigratoria o suggestiva. Esistono pubblicazioni compiute da avvocati in cui ci si vanta di noti clienti contrapposti ad altre parti o dei seguenti successi professionali; se compiute maldestramente queste comunicazioni implicano, evidentemente, a seconda del tenore del testo, rischi per possibili esposti deontologici.

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C’è poi la delicata questione (anche sul punto della comparazione tra studi) degli AWARDS, che rimane un’area “limbo” solo in parte disciplinata, perché normalmente non gestita da avvocati e, quindi, da soggetti-operatori che non considerano in modo limitante il codice deontologico, lasciando spazio a situazioni borderline o, alcune volte, non adeguate perché funzionali a sostanziosi pagamenti economici a cui seguono, inevitabilmente, celebrati riconoscimenti. Ci sono studi che fanno della massima riservatezza il loro punto di forza e altri che usano in modo discutibile le informazioni sul loro operato e sui loro assistiti. In sintesi, oggi occorrerebbero Ordini Professionali più attenti a questi temi e capaci di indicare chiaramente i limiti dell’azione comunicativa in modo sicuramente più chiaro, anche prima di eventuali procedimenti disciplinari.

Il brand è invece qualcosa di diverso. Diversi studi, soprattutto nell’area ambrosiana, valorizzando il proprio brand forniscono valore non al professionista – come persona individuale – ma allo studio, capace di operare con determinate modalità di risoluzione dei problemi legali, alla struttura organizzata e al lavoro processualizzato e organizzato. In questo senso, si “quota” anche quanto costruito dal professionista nel tempo, consentendo allo stesso di poter trasmettere un qualcosa, un bene immateriale di grande valore, a fine carriera.

Storicamente l’avvocato italiano non era (e non è) abituato a una simile tipologia di pensiero: arrivato alla pensione, tutto viene perduto. Il tema del brand consente in parte di evitare questo fenomeno: è un concetto che deve entrare nell’area di competenza anche delle istituzioni forensi. A titolo esemplificativo, sarebbe possibile pubblicare nell’albo i brand dei molti professionisti e dei diversi studi: in questo modo si inizierebbe a dare valore al lavoro storico del professionista o al suo apporto in uno studio strutturato e implicherebbe anche un’informazione in più per i potenziali clienti. Nel caso di veri e propri brand personali – tipicamente espressi con il cognome dell’avvocato – di solito hanno maggiore forza per materie specifiche (l’avvocato Tizio noto per quella determinata materia), ma diventano molto più deboli quando viene a mancare l’avvocato “famoso”. Questo non consente un trasferimento dell’effettivo valore di quel brand e della storia retrostante. Nel prossimo futuro, se il tema delle specializzazioni trovasse un adeguato sviluppo, i brand potrebbero avere anche una maggiore forza. Già esistono studi che hanno brandizzato la tipologia di attività di cui si occupavano: anche questo è un profilo che potrebbe implicare un ulteriore sviluppo.

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Premesso ciò, per tornare al quesito su come gli avvocati comunichino, posso serenamente dichiarare che la comunicazione per gli studi professionali – considerando il tema in ambito nazionale e non locale/ambrosiano – è ancora ai primordi e, soprattutto, è tuttora orientata in modo tradizionale. Manca la visione di poter trasmettere valore e di comunicare con modalità innovative o, anche semplicemente, attuali: se solo si analizzassero dal punto di vista della regolarità i siti degli studi legali italiani, si rileverebbero numerose violazioni di legge. In tal senso manca proprio anche la capacità di gestire i nuovi strumenti di comunicazione. Oggi, l’avvocato italiano potrebbe essere definito bonariamente un “deficiente digitale”, laddove la società è in fase di estrema digitalizzazione.

Spesso quando si parla di un avvocato, le persone si portano dietro alcune percezioni. La prima è che non sempre si riesce a capire in quale ramo un avvocato sia effettivamente specializzato. La seconda invece è un alone di “scaltrezza professionale” con accezioni non sempre positive. Qual è la sua esperienza su questo?

Per evitare quanto giustamente osservato, l’avvocato deve imparare a essere chiaro: deve posizionarsi nei suoi settori di riferimento (e parlo di settori, perché vi sono ambiti in cui è indispensabile essere eclettici e multidisciplinari e non ci si può limitare alla canonica divisione civile, penale e amministrativo) e offrire la sua professionalità in modo sostenibile e adeguato. Esistono studi dimensionati per il cliente privato, altri organizzati per il privato e qualche ente di piccola media dimensione e poi chi, magari, è dimensionato per una multinazionale con più sedi nel mondo: a ognuno il suo, laddove il mercato lo consenta.

In alcune zone italiane la clientela privata è sensibilmente prevalente e, probabilmente, proprio in questi ambiti è più consueto discorrere della “scaltrezza professionale”: tale caratteristica del professionista ha un valore duplice, uno positivo nel senso che ci si aspetta che l’avvocato sia sveglio, attento e non consenta passi falsi ad alcuno e l’altro, purtroppo, negativo, perché a volte anche il professionista (non solo gli avvocati) proprio per la responsabilità del rapporto fiduciario e dell’affidamento che il cliente riconosce alla figura, rischia di cadere e di tradire la fiducia accordata (chiaramente spesso a suo indebito vantaggio). Questo è gravissimo e va monitorato e debitamente sanzionato. Esistono i Consigli di Disciplina deputati in tal senso.

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Lei personalmente che approccio ha con i canali di comunicazione? Come gestisce il suo brand personale? Che strumenti predilige?

Attualmente, nell’ambito della gestione del mio studio (siamo in una decina), stiamo cercando di innovare, soprattutto con attenzione alla modalità di esercizio dell’attività professionale. Abbiamo creato il nostro brand e ora abbiamo ideato e stiamo costruendo una piattaforma capace di aiutare il professionista dello studio nella gestione del lavoro e nel rapporto con i clienti. Occorre attualizzarsi, sempre nel rispetto dei valori, dell’etica e della deontologia che connota la professione forense (anche comprendendo che esistono alcuni concetti storici non più in linea con il momento). Questo implica sacrifici e investimenti, anche nuove sinergie professionali: ma è il prezzo da pagare se si desidera crescere. Come in ogni settore, anche in questo, occorre innovare.

Personalmente sono a favore di ogni nuovo mezzo di comunicazione e intendo anche valutare, ai fini professionali, modalità di lavoro come quelle immaginabili mediante l’uso della realtà aumentata o attraverso il meta-verso, ambito, quest’ultimo dove di recente sono emerse interessantissime problematiche giuridiche. Tra l’altro, di recente, a Milano, non si può prescindere da un’adeguata comunicazione nel caso, ad esempio, desideri candidarti per le Istituzioni Forensi… Considerare la comunicazione non limitata a semplice telefonate e attualizzata con social, chat, broadcast e altro – come un valore aggiunto anche per interloquire nella classe forense (avvocati tra avvocati) – è un piccolo passaggio epocale che, fino a poco tempo fa, non avrebbe avuto alcuna considerazione.

Nelle prossime elezioni per il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, lei si presenta con la lista “Diritti al Futuro”. Il brand scelto fa pensare ai giovani avvocati: come vede il futuro della professione per le generazioni che si stanno formando?

Se si legge il nostro programma, si nota come i giovani siano al centro: se parti da queste tematiche significa che hai una visione a lungo termine. In Cassa Forense siamo abituati a ragionare con prospettive di 30, 40 e 50 anni. Spesso negli Ordini si considera un arco temporale futuro limitato nel tempo: e dunque quasi mai funzionale a visioni significative in favore della categoria.

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Attualmente la sensazione è che i giovani siano in grande difficoltà. Il messaggio che la nostra squadra vuole comunicare è diverso dal sentire comune ed è, quanto meno per Milano, di ottimismo. Milano è una città in grande espansione dove quotidianamente si creano opportunità: i giovani che entreranno nella famiglia forense ambrosiana, se la nostra lista dovesse riuscire a governare e gestire il nostro Ordine, si sentirebbero maggiormente rassicurati. Se l’Ordine fosse gestito da noi, con una nostra maggioranza, vorremmo aiutare i giovani nel modo migliore: in quest’ottica abbiamo scelto di candidare un giovane collega – l’avvocato 31enne Daniel Di Pietro – per dimostrare che anche la loro generazione può riuscire in questa professione, diventando protagonista nelle istituzioni forensi.

Albert Einstein ha concepito la teoria sulla relatività a 26 anni… Mentre noi, in generale, riteniamo (anche nel mondo forense) che occorra avere almeno 50 anni per dire la propria: questo, per certi versi, potrebbe essere comprensibile in un’ottica tradizionale, ma al tempo stesso è limitativo se si ragiona nella prospettiva della professione. E Milano potrebbe dimostrarlo. Il tema è quello dell’esempio, dell’impegno costante e di importanti stimoli: se immaginassimo a Milano una nuova casa dell’avvocatura, un building iconico dove dare vita, tra le tante attività, a un vero e proprio HUB per i giovani avvocati e professionisti, si vedrebbero sorgere nuovi studi professionali di colleghi specializzati, sinergici con altri giovani professionisti (commercialisti, notai, ingegneri, periti) e in molti casi proiettati verso una dimensione più internazionale della professione, europea e globale.

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Oggi i volumi di produzione e reddito dell’avvocatura sono stimabili per un 80% circa nel mondo stragiudiziale, mentre all’avvocatura tradizionale, quella del mondo giudiziale, rimarrebbe una percentuale forse vicina al 20%. Un Ordine moderno dovrebbe considerare che il mondo sta cambiando e che tra qualche anno determinate vertenze del mondo giudiziale potrebbero divenire oggetto di attenzione di intelligenze artificiali. Occorre quindi accrescere la cultura delle prevenzione giuridica, della guida dei diritti e della consulenza stragiudiziale tempestiva.

Un’altra sfida su cui lei si sta battendo è la candidatura di Milano come Capitale Europea dell’Avvocatura e delle Professioni. Che tipo di sinergie potrebbero nascere e come il brand “Milano” potrebbe trarre vantaggio dal diventare Capitale dell’Avvocatura?

A marzo 2023 dovremmo raggiungere l’agognato traguardo del “Tribunale dei Brevetti”, che da Londra potrebbe essere trasferito a Milano. La nostra città presenta uno sviluppo immobiliare e infrastrutturale che da New York sostengono cruciale per il passaggio da Little City (dove ancora tutti si conoscono) a Big City (dove la città diventa globale, abitata da cittadini del mondo). Io e Cinzia Calabrese ne abbiamo parlato da Bloomberg a novembre in occasione della maratona di New York che ogni anno organizziamo – con il patrocinio della Cassa Forense – con decine di avvocati italiani.

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Una categoria professionale di assoluto rilievo sociale non può rimanere indietro rispetto a un simile sviluppo. Guardate le sedi dell’ordine degli avvocati di Parigi o di Madrid, luoghi di civiltà e pregio architettonico (a Parigi è Renzo Piano ad aver ideato la sede del Consiglio dell’Ordine) che rispecchiano anche il valore sociale del professionista, dell’avvocato. A Milano l’Ordine si trova al primo piano del Tribunale e occupa un ampio ufficio e un ufficio distaccato meno ampio. È corretto che esista un ufficio all’interno del Tribunale, ma non è adeguato alle prospettive di questa città e di questa regione. Milano e la Lombardia risultano attrattive per il mondo intero in termini di investimenti finanziari di altissimo livello e di espressione culturale. L’area dell’EXPO è stata acquisita dagli australiani. Gli americani detengono Porta Vittoria, l’emiro del Katar si è aggiudicato Porta Nuova, i cinesi hanno aperto una sede della loro miglior Università alla Bovisa e daranno vita al loro più importante centro del design qui a Milano… Di fatto la città è destinata a divenire globale. In parallelo il mondo “Giustizia istituzionale” è molto fermo, mentre gli avvocati avrebbero invece la possibilità di dare il loro contributo, anche, eventualmente, insieme alle altre professioni.

Immaginiamo per un attimo un building importante, iconico, costruito in modo assolutamente sostenibile con l’apporto delle migliori professionalità (da individuarsi con debita gara in studi di architettura, di ingegneria e con una progettualità che rispetta i parametri medico/sanitari capaci di annullare le diversità delle persone e di rendere fruibile l’area di riferimento veramente per tutti). Rendiamo poi questa “Casa delle Professioni” ideata dall’Avvocatura il luogo di celebrazione di tutti i procedimenti disciplinari/deontologici delle diverse professioni, da intendersi come esempio del valore delle regole nel mondo professionale.

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Immaginiamo poi di accedere ai fondi della Cassa Forense per progetti ordinistici e ai fondi europei (con la collaborazione di altri Ordini di altri Stati) per finanziare progetti di Giustizia autonoma, attuabili tramite gli istituti dell’arbitrato, della negoziazione, della mediazione e della conciliazione, e di coinvolgere per la rilevanza della sede anche la Camera di Commercio. In tale ambito proviamo a considerare che un processo autonomo – gestito dagli avvocati, senza rivolgersi alla Giustizia statale – potrebbe costare meno di un canonico giudizio statale e offrire risultati (una sentenza, una decisione, un accordo) entro l’anno.

Ipotizziamo poi un HUB (con anche importanti centri studi e collegamenti universitari) per i giovani avvocati e i giovani professionisti che intendano avviare un proprio studio o attuare sinergie professionali fin da subito, costituendo poi studi multidisciplinari. Proseguiamo a ragionare in termini di stage per i giovani presso i diversi Stati europei organizzati da ordini consociati e utili per condividere le diverse professionalità e i molteplici ordinamenti, considerando anche di primaria importanza il diritto europeo e ogni possibile esperienza a Strasburgo e a Bruxelles.

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Ragioniamo su un building che presenti, dunque, anche un tema di ospitalità omologata al livello di alta professionalità e alle persone cittadine del mondo, senza chiaramente escludere servizi di ristorazione per giovani e meno giovani. Aggiungiamo, se possibile, un’area dedicata al movimento e allo sport nel rispetto dell’idea della prevenzione, magari con le aree dello sport compatibili e pronte ad accogliere atleti disabili. In pratica un’area di assoluta civiltà e legata al miglior sviluppo intellettuale che solo i professionisti possono esprimere: uno spazio urbano estremamente stimolante per migliorare il futuro dei professionisti, sociale e di civiltà della città. Un esempio per tutto il mondo a Milano, che in questo modo diverrebbe la capitale europea dell’avvocatura e delle professioni.

Attuale, inclusivo e sostenibile: sono i punti cardine della proposta della lista “Diritti al Futuro”. Che soluzioni proponete per caratterizzare e dare nuova linfa all’identità istituzionale dell’Ordine degli Avvocati?

Troviamo che il progetto della casa/building dell’avvocatura e delle professioni esprima bene i temi dell’essere attuale, inclusivo e sostenibile. Ma questi concetti sono declinabili anche nel quotidiano. Oggi le informazioni di maggiore rilievo devono essere immediatamente fruibili per tutti i colleghi: non è ad esempio concepibile che un Ordine ometta di comunicare a un giovane neo avvocato che se non effettua subito il riscatto degli anni di pratica e laurea potrebbe ritrovarsi a metà carriera a spendere cifre folli per tale istituto e non è pensabile che non vi sia una comunicazione che condivida tutti i bandi per avvocati presso tutte le amministrazioni pubbliche e partecipate della Lombardia.

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Non è plausibile che soggetti privati realizzino piattaforme che speculino sull’intermediazione delle prestazioni professionali e che l’Ordine non si attivi per trovare soluzioni attuali, alternative e moderne, come ad esempio un servizio ordinistico di indirizzamento dei cittadini. Non è accettabile avere percorsi per disabili di difficile utilizzo in un Tribunale e per accedere all’Ordine. Oggi sono pochissimi i servizi per i colleghi: plausibile, a titolo esemplificativo, una banca dati completa in uso gratuito all’avvocatura ambrosiana da parte del Consiglio e un reale servizio di assistenza per le avvocate mamme. È necessario un servizio di gestione di tutti i protocolli concordati con la magistratura, con la possibilità effettiva di un monitoraggio e di un puntuale controllo. È doveroso il massimo rispetto per gli avvocati che si rivolgono alle cancellerie e agli uffici giudiziari e pubblici: se le parole hanno un peso, ci piacerebbe non sentire mai più chiamare un’avvocata «signora» o «signorina» quando entra in una cancelleria… È opportuna anche la costituzione di un fondo utile per aiutare l’avvocato milanese che, per motivi a lui non imputabile, si ritrovi in un effettivo stato di necessità. È necessario infine un collegamento costante, mediante deleghe specifiche a colleghi esperti, con le istituzioni forensi nazionali, internazionali ed europee (CNF – CASSA FORENSE – OCF – CCBE). Di fatto, un ordine presente e vigile che fornisca un reale servizio agli iscritti: i quali potranno essere fieri di appartenere al COA di Milano.

I candidati della lista “Diritti al Futuro”

Le elezioni per rinnovare il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano si svolgono dal 7 al 9 febbraio – dalle 08.30 alle 15.00 – presso la biblioteca Ambrosoli di Palazzo di Giustizia, via Carlo Freguglia 1, Milano.

I 16 candidati della lista “Diritti al Futuro” (8 donne e 8 uomini)

ACAMPORA Claudio Angelo
– CALABRESE Cinzia
– CHIALASTRI Frida
– DE RISO Angelo Giovanni
– DI PIETRO Daniel Fabio
– DI TOLLE Marco Luigi
– FERRARO Francesca
– GARGANO Costanza Maria
– GERUNDA Stefano
– LENSKI Eva
– LI VIGNI Ilaria Ilda
– MUSCATELLA Katia
– POLLAROLI Matteo
– SARNO Manuel
– TUSA Benedetto
– VETRONE Ornella

>>> Guarda il video della presentazione della Lista

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