Personal branding e arte del cinema. Entrambi si basano sulla capacità di raccontare una storia per creare un’immagine o un’identità distintiva. Dell’importanza della narrazione – e dei luoghi che la trasmettono al grande pubblico – se n’è occupato Ciro Formisano, regista di “L’altro buio in sala”, film documentario uscito in sala nel 2022 con Carlo Verdone ed Enrico Vanzina, Claudio Bisio e Donatella Finocchiaro. Business Celebrity lo ha incontrato e ha scoperto un professionista che rifugge da qualunque tipo di omologazione.
«La mia famiglia è appassionata di cinema da sempre e la smania di volerlo realizzare credo mi sia stata trasmessa da mio padre. Da bambino lo osservavo maneggiare cineprese Super 8 con la pellicola da sviluppare: è un qualcosa che oggi non si fa più neppure per il cinema, data la diffusione di tecnologie che hanno soppiantato la preziosa 35 millimetri. Questo ha reso il mestiere del cinema più semplice e accessibile, ma per un nostalgico della pellicola come me è anche una grande rinuncia…».
Come è nata la tua passione per il grande schermo?
A quel tempo non ero ancora abbastanza grande da capire che il mondo del cinema è correlato alle cineprese: solo successivamente ho capito che dietro a un film c’è qualcuno con una telecamera in mano che riprende. Mio padre guardava film di qualità, ricordo “Odissea 2001 nello spazio” e altri di Stanley Kubrick, poi “Brazil” di Terry Gilliam con Robert De Niro. Li guardavo anch’io perché all’epoca non c’era come oggi una classificazione per i film non adatti ai bambini. Se un film era esplicito, allora era direttamente vietato ai minori.
Da quanto tempo ti dedichi alla professione di regista?
Ho una formazione cinematografica: ho frequentato il Dams e poi un corso di formazione sovvenzionato dalla Comunità Europea. Mi dedico a questa passione e professione da sempre, ho realizzato il mio primo cortometraggio a 19 anni. Tra le esperienze lavorative più importanti c’è l’aver lavorato per una televisione a Firenze che ora non esiste più: all’epoca si chiamava Tele Monte Carlo 2, di proprietà di Cecchi Gori. Nel 2001, quando l’emittente ha chiuso i battenti, mi sono trasferito a Roma iniziando a lavorare come videomaker in vari luoghi e per diversi progetti, tra Italia e Indonesia. Nel 2021 sono entrato in società con Luca Rossi di TVM e ora collaboriamo su vari progetti, miei e di altre persone.
Quali sono le opere che hai realizzato?
Nel 2017 ho girato il mio primo film intitolato “l’Esodo” con Daniela Poggi scrivendo la sceneggiatura in collaborazione con Angelo Pastore. È la storia di una 60enne che si ritrova improvvisamente nella condizione di esodata, e quindi senza alcun reddito. Questo film mi ha dato grandi soddisfazioni: ha vinto il Globo D’Oro, premio riconosciuto dalla stampa estera in Italia, una candidatura ai Nastri D’Argento, altri 14 festival nazionali, 3 festival in Francia, il Festival di Cipro e in Inghilterra il Chichester Film Festival. A marzo 2022 è uscito un mio documentario che si intitola “L’altro buio in sala” che racconta la realtà dei cinema chiusi durante la pandemia. Un lavoro che sta dando belle soddisfazioni: pochi giorni fa ha ottenuto una selezione ufficiale ai Nastri d’Argento 2023.
Giri film solo in Italia oppure anche all’estero?
Giro film solo in Italia e in particolare mi dedico al cinema indipendente, quindi non legato a grandi produzioni, per ora…
Hai un film nel cassetto?
Sì, il film che ho finito di girare la scorsa estate, ma per ora non anticipo nulla…
Hai una troupe numerosa?
La mia troupe non comprende molte persone, sul set anch’io svolgo diversi ruoli. Ho un rapporto di fiducia e di amicizia con le persone che fanno parte del mio staff e per me questo è molto importante perché è la base per lavorare bene.
Come gestisci il tuo brand personale di regista?
Noto di avere un mio seguito: le persone che guardano i miei film provano emozioni e trovano spunti su cui riflettere grazie a queste opere cinematografiche. Mi chiedono attraverso i social se sto lavorando a qualcosa incuriositi: questo mi riempie di soddisfazione. Non ritengo di dover gestire il mio nome come un brand, sono prima di tutto un autore e rifuggo da qualunque tipo di omologazione per quello che tento di raccontare nelle storie che propongo.
Qual è il tuo posizionamento specifico per differenziarti da altri professionisti del tuo settore?
Penso che il lavoro di regista non debba avere una strategia, ma piuttosto occorre seguire il proprio stile, la propria vena artistica, se così si può definire.
Che rapporto hai con i social media?
Dopo il mio documentario “l’Altro buio in sala”, il mio rapporto con i social è cambiato radicalmente. Da quella esperienza infatti è nato un progetto social – “Cinetica” – che ha l’obiettivo di promuovere il cinema italiano di tutti i tempi. È un grande impegno che porto avanti ormai da un anno, con l’idea di far conoscere il glorioso cinema italiano: penso soprattutto alle nuove generazioni che – sedotte dalle serie-tv proposte dalle numerose piattaforme – quasi non conoscono l’esistenza di un settore che ci ha reso invece celebri in tutto il mondo. “Cinetica” è da poco disponibile su tutti i principali canali social sotto forma di video-recensione di titoli scelti in base a due criteri: o per la qualità o per l’enorme impatto che hanno saputo dare alla nostra cinematografia.
Hai mai avuto modo di collaborare con un ufficio stampa? Con quali risultati?
Ho un ufficio stampa che diffonde le mie opere cinematografiche, ma non ho mai avuto un ufficio stampa che si occupasse della mia persona.
Hai mai scritto o pensato di scrivere un libro sulla tua carriera oppure sul tuo settore professionale?
Ho scritto due romanzi il primo “L’Esodo” è quello da cui è stato tratto l’omonimo film, il secondo “Il Covid-19 ai tempi dell’Amore” è una bella storia d’amore scritta durante il primo lockdown. Amo scrivere ma non ho mai pensato di lavorare a un libro su di me, anche perché sto realizzando il mio terzo film e dico abbastanza di me nelle mie storie. Anche se fossi al centesimo film, non credo di dover essere io a parlare di me: non sono abbastanza autoreferenziale per farlo.
Qual è il tuo approccio di fronte a una cinepresa?
Diciamo che preferisco stare dietro la macchina da presa: guardo più alla sostanza e mi concentro più sul mio lavoro rispetto all’apparenza.
Come ti prepari per un evento o un’intervista?
Sono sempre spontaneo, perché preferisco esprimere i pensieri nel momento in cui vengo intervistato. Quindi non preparo i discorsi e le interviste.
Che consigli daresti a un giovane che vuole intraprendere la tua stessa carriera?
Consiglio di studiare molto e formarsi, ma soprattutto di fare esperienza sul campo. Di non scegliere questo mestiere pensando alla fama o alla ricchezza perché il cinema, soprattutto quello indipendente, non porta automaticamente queste due cose. È importante non aver paura ed esprimere la propria personalità: credo sia giusto non permettere a nessuno di interferire con le proprie idee, sempre che ci siano. Alla fine l’importante è essere sempre sé stesso perché il cinema è un’arte in divenire.