Per farsi conoscere, ha scritto e prodotto uno spettacolo che ha fatto sold out ogni sera a New York. Poi ha lavorato sul proprio brand con articoli sui giornali, locandine dei precedenti spettacoli teatrali e lettere di raccomandazione: «Per affermarsi negli Stati Uniti non basta essere laureati in un ateneo americano: devi dimostrare Extraordinary Ability».
Carolina de’ Castiglioni, classe 1996, milanese di nascita, vive a New York ed è una pluripremiata attrice e scrittrice. Nel suo lavoro coltivare il personal branding è fondamentale, e l’ha sempre saputo, ma è stato l’arrivo della pandemia a farle scoprire anche il lato burocratico di questo tema. Dall’Italia, infatti, Carolina ha dovuto compilare decine di documenti e richiedere diverse lettere di raccomandazione per ‘convincere’ gli Stati Uniti a farla tornare a New York con un visto di lavoro chiamato “For Aliens with Extraordinary Ability”. E ci è riuscita, come racconta in questa intervista.
Com’è cominciata la tua avventura? Perché hai scelto di dedicarti a questo lavoro?
Quando ero piccola ero una persona estremamente timida e senza un vero e proprio ‘sogno’. Il mio primo incontro con il teatro è avvenuto per caso, grazie alla mia migliore amica d’infanzia, Anna, che mi ha spinta a frequentare il mio primo corso di recitazione. Da lì, è stato amore a prima vista.
Come mai hai scelto di lavorare anche negli Stati Uniti?
Verso la fine del liceo ero ancora convinta di voler far l’attrice. Tutti i migliori programmi di recitazione però si trovavano in America. Mia madre mi ha dato un ultimatum: se hai davvero stoffa, devi entrare in una delle migliori università americane. È stata lei che mi ha dato la spinta e la determinazione di fare l’application alla New York University. Poi, per fortuna, sono stata accettata. Lì ho passato i migliori anni in assoluto.
Come funziona il percorso per riuscire a lavorare negli USA e perché è così importante il personal branding nel processo?
Per lavorare negli Stati Uniti non basta essersi laureata in un ateneo americano. È necessario un visto, nel mio caso l’O-1B, un visto che viene chiamato “For Aliens with Extraordinary Ability”. Bisogna dimostrare non solo di avere talento, ma di essere qualcuno che è già avviata nella sua carriera, già conosciuta, con dei successi alle spalle. Non era esattamente il mio caso. Dopo essermi laureata, essendo un’immigrata, ho fatto fatica a trovare i primi lavori (avevo un visto temporaneo che in molti casi era invalidante). Ho deciso perciò di ‘disciularmi’ (come direbbe la mia famiglia): se gli agenti non volevano rappresentarmi perché non ero americana e i produttori non volevano assumermi a causa del mio visto, avrei dimostrato a tutti che, da sola, potevi creare arte e lavoro. Grazie ad un’amica italiana, Federica Borlenghi, magnifica regista, ho scritto e prodotto uno spettacolo che ha fatto sold out ogni sera a New York. Da lì, mi sono mossa per avere articoli, recuperare tutte le locandine dei miei precedenti spettacoli teatrali, chiedere lettere di raccomandazione, e tanto tanto altro lavoro. È stata dura ma alla fine ce l’ho fatta.
Al di là del percorso statunitense, quando hai capito l’importanza del personal branding per il tuo lavoro, soprattutto nei social?
Purtroppo nel mio ambiente lavorativo l’immagine conta moltissimo. Paradossalmente, il tuo talento a volte vale di meno di quanto tu sappia ‘venderti’. Me ne sono resa conto quando ho fatto tutto il lavoro di ricerca per ottenere il visto. A loro non interessava sapere se ero brava, ma se portavo lavoro.
Cos’è il personal branding per te?
Sono io.
Oggi chi gestisce i tuoi canali social?
Io.
Progetti per il futuro?
Tanti in cantiere e alcuni in sviluppo. A luglio ho iniziato a girare in America per la prima volta dopo tanto tempo: è sempre un’avventura molto emozionante.