Nel suo curriculum c’è scritto coreografo, stuntman, attore, ballerino di tip-tap. Ma anche formatore per comunità di recupero e attività di prevenzione nei settori del bullismo, cyber-bullismo e baby gang. Bruno Danovaro però è conosciuto soprattutto come un campione sportivo di pesistica e arti marziali.
Nato judoka, selezionato per le Olimpiadi di Seul, si trasferisce negli Stati Uniti per coronare il suo sogno che completa con il karate a contatto pieno, entrando in nazionale e partecipando ai mondiali in Giappone. Sambo, grappling e così via. Le gare dove non è stato mai battuto sono 112 e tutte rigorosamente consecutive. Bruno Danovaro, con un diploma in tasca di ragioneria, preferisce il movimento al posto dello studio. Per il campione del mondo era una vera impresa restare seduto sui banchi di scuola. A lui non disturbava una bella passeggiata per sgranchirsi le gambe e vedere il mondo. Certo, sono punti di vista. C’è chi ama il lavoro dietro a una scrivania, c’è chi vuole il contatto con la gente. Ciascuno deve seguire le proprie esigenze o definiamole inclinazioni naturali del carattere.
Ed è proprio dopo il diploma che il nostro campione decide di partire per l’America iniziando una sua rinascita personale. Da quel momento comincia a raggiungere diversi traguardi grazie ai quali comprende la sua primaria esigenza espressiva: lo sport. Con questa determinazione diviene un brand dell’educazione sportiva e rappresenta l’Italia nel mondo. Crede nella società e vuole dare alle persone meno fortunate quella solidarietà e quell’affetto mediante il suo costante impegno con associazioni di volontariato. Non solo. Cerca di educare i ragazzi allo sport perché è una modalità coinvolgente per combattere le diverse forme di bullismo. Con Bruno Danovaro approfondiamo questi temi, comprese le ripercussioni negative che il Covid ha portato in particolare sui ragazzi.
Le discipline sportive sono una valida modalità per insegnare educazione e rispetto. In che modo possono essere integrate nell’attuale società dove assistiamo a episodi di bullismo nei giovani?
Assolutamente sì. Ci sono tante discipline che hanno leve diverse sul risultato da raggiungere, in termini di influenza sulla personalità, sulla reattività, sullo spirito di gruppo così come su quello solitario. Quando ero bambino avevo troppa energia, non mi potevo concentrare sulla scuola ed ero aggressivo. I miei genitori, insieme al pediatra, hanno scelto il judo come disciplina adatta per me, che ho iniziato e svolto dai 9 anni in poi. Mi ha aiutato tantissimo per sfogarmi giocando, imparare la disciplina, misurarmi con gli altri bambini, aumentare la concentrazione. Lo sport dovrebbe essere adottato dall’età di 4-5 anni, in base al carattere e alle abilità del bambino, perché insegna tantissimo. Ovviamente non tutti i ragazzi e non tutti i genitori sanno subito che sport svolgere ma bisogna provare, possibilmente con l’insegnante scolastico e il pediatra. In questo modo possiamo educare i bambini con i valori giusti, compensare le loro mancanze ed equilibrare il carattere.
Come si comunica il brand dello sport per sensibilizzare le persone verso un nuovo modo di vivere la società, magari valorizzando proprio l’attività sportiva?
Lo sport normalmente viene comunicato tramite l’atleta che lo svolge. Possono essere persone simpatiche, antipatiche, umili, arroganti, belle e brutte. Lo sport significa fatica, spesso non viene comunicato in modo “sexy” e nell’età scolastica può diventare un’attività noiosa, quando l’insegnante si limita a seguire il programma didattico. Bisogna investire mediante una strategia di comunicazione che sia in grado di rendere giustizia alle varie discipline, trasmettendone i valori con testimonial credibili, senza dimenticare la consulenza di veri atleti a fianco dei pubblicitari ideatori della campagna.
Crede nel sociale e vuole impegnarsi quotidianamente a beneficio delle persone meno fortunate per dare un sostegno morale. Da dove nasce questo suo desiderio?
La natura mi ha dotato di forza (anche quella di volontà), una struttura corporea speciale, un’energia infinita per lo sport e un ottimismo da vendere. Nella vita tutti noi dobbiamo affrontare delle prove (malattie, perdita di persone care, divorzi, disoccupazione, disastri naturali); ci sono due possibilità di affrontare cose negative: ci si fa schiacciare o si reagisce. Nel mio impegno sociale cerco di dare una spinta ottimistica tramite lo sport e l’energia positiva, per aiutare le persone verso una strada d’uscita sana e costruttiva. Sono molto felice di aver collaborato negli anni in qualità di formatore per comunità di recupero come Exodus di Don Mazzi, il carcere minorile Beccaria e quello di San Vittore a Milano, con l’iniziativa “Giù le mani dalle donne”.
Ricorda un episodio di quando viveva all’estero che è diventata un’occasione di crescita culturale?
Mi trovavo negli Stati Uniti, a New York. Nonostante fossi già un campione affermato all’età di 23 anni, non potevo disporre ancora di grandi disponibilità economiche. Di conseguenza lavoravo nella catena di pizzerie “Sbarro”. Una sera proprio Mr. Sbarro venne maltrattato e minacciato da alcuni soggetti malintenzionati. Come sempre intollerante ai prepotenti, sono intervenuto fisicamente e, nonostante fossero a mia insaputa mafiosi, sono andato avanti per la mia strada. Mr. Sbarro fu lasciato libero di lavorare. La mia crescita personale è sempre stata contraddistinta dalla libertà dell’essere umano a 360 gradi.
In seguito alla pandemia, le persone hanno perso quella socialità che riusciva a coinvolgere emotivamente una comunità. In che modo lo sport può favorire la popolazione a uscire da questa emergenza sanitaria e sociale?
Lo sport nella pandemia sta avendo un ruolo fondamentale. È necessario allenare sia il corpo, per avere più difese immunitarie a disposizione, e sia la mente per poter affrontare le limitazioni (persone che devono vivere in un appartamento piccolo, meno soldi, meno svaghi, solitudine). Durante il lockdown, il divieto di uscire da casa per potersi allenare è stato a mio avviso un grande errore. La pandemia, come la vedo io, era un segnale: un insegnamento per far sì che tutti quanti rivedessimo alcuni aspetti della quotidianità, come il nostro impatto sulla natura ormai fuori equilibrio. Tramite lo sport possiamo capire i veri valori, renderci più forti, pazienti, resistenti e aiutarci anche per dare una svolta alla nostra vita.
Quale messaggio vuole inviare a tutti quei giovani che hanno subìto forti limitazioni a causa del Covid?
Dico ai ragazzi che le difficoltà possono essere molteplici; una volta c’erano le guerre, la fame e tantissime altre brutte cose. La pandemia è stata sicuramente una prova durissima per tutti, soprattutto per i più giovani. Bisogna però capire che la normalità non è quando tutto va bene, bensì quando si devono affrontare le difficoltà. Proprio queste ultime ci consentono di crescere e diventare più forti.
Quanto influisce essere un campione quando si avvicinano i giovani e si trasmettono le regole delle discipline sportive, quasi fosse un autentico insegnamento?
Influisce tantissimo, specie quando mi sono trovato a incontrare i ragazzi delle scuole più disagiate e problematiche, perché questa tipologia di ragazzi è abituata a rispettare l’uomo forte. Partendo da questo punto ho poi insegnato a incanalare la loro violenza nello sport, rispettando le regole e i valori educativi, specialmente il rispetto per l’avversario e per il prossimo.
Che soddisfazione riceve quando si espone in prima persona a insegnare lo sport come veicolo di socialità?
Mi sono sempre esposto in prima persona in tutto, non badando mai a eventuali rischi, sempre alla pari, infrangendo il protocollo. Il mio obiettivo è sempre stato, pur essendo un campione, di mettermi allo stesso livello per dimostrare quanto lo sport sia veicolo di socialità.