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Beppe Braida: «La satira può essere uno strumento per dire la verità in modo digeribile»

di Irene Cocco
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Passione e autenticità, impegno e leggerezza. Sono i valori che hanno guidato Beppe Braida nella costruzione della sua reputazione e del suo personal branding. Raccontiamo il percorso di uno dei comici più famosi d’Italia tra risate, realismo e valore del pubblico.

 

Da Zelig a Colorado, passando per le indimenticabili parodie del tg, Beppe Braida spiega come ha costruito una carriera nel mondo della comicità. L’artista è in tour nel 2024 con lo spettacolo “Piano B” scritto con Raffaele “Skizzo” Bruscella.

La comicità è stata sempre una parte della sua vita. Come ha iniziato?

È vero, fin da bambino sognavo di far ridere la gente. Ho sempre creduto in questo sogno e ho lavorato sodo per realizzarlo. Dopo 25 anni di gavetta e sacrifici, posso dire di avercela fatta.

Qual è l’esperienza che ritiene più significativa nella sua carriera?

Lasciare Zelig è stato un bivio decisivo. Lì ero uno dei tanti comici, ma prendere in mano la conduzione di “capocomico” con Colorado ha segnato una svolta. Ho guadagnato i miei gradi di capocomico sul campo, con il sudore della fronte e il calore del pubblico.

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Ha creato tormentoni che sono diventati celebri. Qual è il messaggio che voleva trasmettere?

Il mio intento era sottolineare che la nostra stampa non è poi così libera. Facendo il comico, ho impersonato personaggi come Emilio Fede e Silvio Berlusconi, ma la verità implicita è che l’informazione spesso segue certe agende. La satira può essere uno strumento per dire la verità in modo digeribile.

Come vive la sua professione?

L’ho sempre considerata un lavoro vero e proprio, ma l’ho svolto con grande passione e autenticità. Di fronte al pubblico devi essere autentico, perché la gente percepisce se sei vero o falso. Ho sempre cercato di coniugare impegno e leggerezza.

Il pubblico è sempre stato al centro della sua carriera. Cosa rappresenta per lei?

Il pubblico è il mio vero datore di lavoro. È lui che decreta il successo di uno show o di un tour. Ci vuole un grande rispetto, perché senza il pubblico non ci saremmo noi artisti. La loro approvazione è la nostra linfa vitale.

Ha notato cambiamenti nel pubblico con l’avvento dei social media?

Il pubblico non ha subito cambiamenti radicali: la gente cerca ancora intrattenimento e momenti di evasione. Tuttavia, l’avvento dei social media ha notevolmente frammentato l’attenzione. Ognuno può ora salire su un palcoscenico virtuale, cercando di catturare la luce dei riflettori in un mare di contenuti tra i più disparati. Il bisogno di protagonismo è ormai parte della vita quotidiana, soprattutto tra le giovani generazioni cresciute nell’era digitale. La possibilità di pubblicare ogni aspetto della vita e ottenere in cambio approvazione immediata, ha creato una dinamica sociale in cui la quantità spesso prevale sulla qualità. I social hanno democratizzato la comunicazione, e questo è sicuramente un bene, abbattendo le barriere che un tempo riservavano la produzione di contenuti a pochi eletti. Questo ha avuto un impatto positivo in termini di libertà di espressione e accessibilità, ma ha anche un lato oscuro. La piattaforma è stata concessa indistintamente, permettendo a chiunque di parlare ad un vasto pubblico, senza filtri o verifica. In alcuni casi, questo ha dato risonanza a chi era meglio rimanesse zitto.

Quindi non è un fan dei social media?

Preferisco la realtà alla virtualità.

La realtà e la comicità, secondo lei, come si intrecciano?

La comicità nasce dall’osservazione della realtà. Si ride di un uomo che inciampa in strada, ma la vera abilità sta nel saper cogliere i dettagli del quotidiano e portarli sul palco in modo che tutti possano identificarsi e ridere insieme.

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Che consiglio darebbe alle nuove generazioni se volessero seguire le sue orme?

Ah, direi di fare domanda alle poste! Scherzi a parte, è un mestiere che richiede passione, dedizione e un pizzico di follia. Come diceva il grande Gianni Morandi, «uno su mille ce la fa», quindi se non hai quella scintilla, forse è meglio un lavoro più stabile. Ma se la passione arde, allora inseguila senza guardarti indietro. Alle nuove generazioni poi direi di staccarsi ogni tanto dai cellulari e venire a teatro. O di andare in un museo, di aprire un libro. C’è un patrimonio culturale che sta scomparendo e che dovremmo invece riscoprire. Di guardarsi intorno, insomma, perché dietro l’angolo di casa ci sono spesso tesori nascosti. Meno social, più realtà!

 

Irene Cocco

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