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Il brand di Giuseppe Ciutto, celebrity della birra: «Quello nel logo Basei sono proprio io»

di Patrizia Tonin
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Ha scelto di differenziarsi, producendo birre che non piacciono a tutti. Intervista a Giuseppe Ciutto in arte Basei, il birraio che si “nasconde” dietro all’omonimo marchio friulano. «Il mio obiettivo è far capire, come accade da anni nel settore del vino, che anche dietro la birra artigianale c’è moltissima cultura».

 

La storia di Giuseppe Ciutto, per tutti Basei, nasce a Latisana, provincia di Udine, in quel Friuli Venezia Giulia duro e concreto ma al tempo stesso di “cuore”. Il suo mestiere è quello del “mastro birraio”: iniziato oltre 15 anni fa per passione nel garage di casa, oggi è diventato il suo lavoro a tempo pieno.

Fin da giovanissimo Giuseppe ha dimostrato una propensione per il lavoro manuale, e fare birra è sempre stata la sua idea fissa. Ma visto che nessun impianto di produzione riusciva a soddisfarlo, l’ha ideato e fatto costruire su misura. Poi si è dotato di strumentazioni di precisione, per avere il controllo di tutto il processo di birrificazione, a partire dall’acqua fino alla birra imbottigliata. «Il mio prodotto deve essere di alta qualità e replicabile nel tempo».

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Dopo svariate sperimentazioni e studi sulla birra, sull’acqua, sui luppoli e malti, nel 2018 Giuseppe Basei riesce ad aprire il birrificio, insieme alla sorella e alcuni amici di infanzia. Poi nel 2019 arriva anche la “Tap Room”, luogo di cultura e conoscenza del mondo della birra artigianale. «La nostra Tap Room è il luogo per eccellenza dove entrare in contatto con la filosofia del brand, l’evoluzione dello “spaccio aziendale” nel quale assaggiare alla spina i prodotti del birrificio. Di fatto, una vetrina dalla forte componente di comunicazione esperenziale».

Oggi Basei è tra i primi cinque produttori di birra artigianale della Regione. «Il nostro lavoro è in continua evoluzione: nel biennio 2018-2019 siamo partiti con 7 birre per 250 ettolitri, nel 2020 a 350 ettolitri e nel 2021 con 600 e zero contributi da parte dello Stato. Nel 2022 abbiamo portato la nostra produzione a 1.000 ettolitri con 14 birre».

La sua è una birra artigianale, schietta e mai banale, per chi ama bere bene, diretta e silenziosa, senza compromessi, come lo sono i friulani. Una birra che arriva direttamente al palato e al cuore e ci rimane per un po’. Il racconto della sua attività imprenditoriale ci fa capire che «ce la puoi fare, se hai un’idea e la persegui», nonostante le difficoltà.

Raccontaci come è nata la passione per la birra artigianale, il percorso fatto per aprire il birrificio e dove vi ha portato.

Il mio percorso in questo mondo è iniziato oltre 15 anni fa, bevendo la prima birra artigianale, la tipo PILS di Birrificio Italiano, e ho capito che era una birra vera. Da qui ho iniziato ad appassionarmi a questo mondo e una sera, tornando dal turno notturno – all’epoca ero manutentore meccanico delle macchine utensili in un’azienda friulana – ho iniziato a guardare su Sky una serie tv con tre birrai famosi: Frank Calagione, Teo Musso di Baladin e il titolare di Birra del Borgo. Erano in giro per vallate a cercare erbe per farne una birra artigianale insieme. Guardavo Frank Calagione che era partito dal garage costruendo le sue macchine. «Io sono un manutentore meccanico e so fare la stessa cosa» ho pensato. Così ho iniziato a costruirmi delle macchine per produrre birra nel garage di casa, con le pentole da cucina, e a leggere blog e libri sulla birra, sull’acqua e sul luppolo, ma considera che eravamo agli albori di tutto, non c’era molto materiale e pochissimi siti internet parlavano di questo. Dopo 8-10 anni di sperimentazioni, prove tecniche e assaggi della mia birra con gli amici, ho costruito il mio impianto semi-automatico. Nel 2016 mia sorella Serena mi ha suggerito di fare qualcosa vendendo la mia birra… Ed è iniziata la nostra avventura imprenditoriale.

Così avete aperto il birrificio?

Non subito. C’era l’idea ma non i soldi. Servivano capitali e persone. Abbiamo contattato un amico di infanzia, Nino Leanza, che fa il consulente finanziario per chiedergli di fare il business plan. Insieme a lui, altri due amici hanno sposato la nostra idea diventando soci: Stefano Movio e Giuseppe La Manno, cuoco e venditore di prodotti italiani negli USA e soprattutto a New York. Ci sono voluti nove mesi per preparare il business plan e sette per avere il via libera da una banca. Nel 2017, finalmente, abbiamo aperto la partita iva e la società: il mio sogno stava prendendo sempre più forma. Nel gennaio 2018 abbiamo iniziato la ristrutturazione di un capannone in centro a Latisana e dopo tre mesi eravamo quasi pronti per partire. C’era anche l’impianto della sala cottura, che avevo progettato insieme a un ingegnere. Nonostante avessimo pianificato tutto, alcuni problemi burocratici hanno rallentato l’apertura del birrificio! Trascorsi alcuni mesi, a settembre 2018, abbiamo venduto la nostra prima birra e a dicembre 2019 abbiamo aperto finalmente anche la Tap Room. Purtroppo già a marzo 2020, causa pandemia, abbiamo dovuto chiudere.

Eppure nonostante il periodo hai continuato la tua attività. Cosa vi siete “inventati” sul piano della comunicazione e della gestione del cliente?

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Siamo stati il primo birrificio artigianale in Italia a fare le consegne a domicilio, già tre giorni dopo la chiusura totale. Gli altri ci hanno seguito a ruota! E dopo un mese dalle consegne, abbiamo aperto anche l’e-commerce che ci ha permesso di lavorare nei lunghi mesi di chiusura del 2020, mentre nel periodo estivo fortunatamente siamo riusciti a riaprire. La pandemia ha cambiato la percezione dei clienti: siamo stati incentivati a cambiare modello di business, uscendo dal Friuli Venezia Giulia e iniziando la distribuzione in tutta Italia. Poi grazie al passaparola si sono avvicinate molte più persone al nostro mondo. Il 2020 è stato un anno complesso, ma ci siamo inventati di tutto: abbiamo deciso di imbottigliare dai fusti, per non buttare via la birra, facendo i growler da 2 litri e i mini fusti da 3 e 5 litri. Se a inizio 2020, facevamo solo rifermentazione in bottiglia, nel 2021 siamo passati al confezionamento isobarico: quindi dalla bottiglia alle lattine! Le lattine hanno un impatto visivo molto chiaro e rappresentano al meglio il nostro brand e il nostro essere giovani e dinamici. Un altro aspetto importantissimo per il mondo delle birre artigianali sta nelle collaborazioni con altri birrifici, alcuni anche molto affermati e conosciuti: una sinergia che ti permette di migliorare e accrescere. Nel 2021, con Mister B di Mantova abbiamo fatto una cotta sperimentale e prodotto la prima birra fucsia in Italia e con La Villana di Vicenza abbiamo fatto la Mango Ipa. Tra birrifici artigianali ci si aiuta molto e vi è un grande rispetto per i mastri birrai.

E nel 2022?

Il 2022 è stato importante perché siamo stati scelti da un nostro fornitore di materie prime per sperimentare una birra, la Fresch hops, come viene fatta in America, con un tipo di luppolo appena colto, quindi fresco, che viene congelato e spedito in Italia direttamente dagli USA. I clienti hanno sentito subito la differenza con le mie birre, eppure è piaciuta. In chiave marketing, devi uscire sempre con prodotti nuovi e originali: noi vendiamo per il 70% nelle birroteche indipendenti, attraverso distributori specializzati in birra artigianale che seguono la filiera del freddo, grazie ai quali abbiamo conosciuto meglio il mercato. La clientela ha una cultura molto alta: per questo dietro il bancone c’è sempre chi spiega la birra. L’altro 30% per cento è venduto nella nostra taproom e a clienti diretti .

Siete giovani nel panorama dei birrifici artigianali italiani, eppure avete già ricevuto importanti riconoscimenti. Quanto sono importanti i premi per valorizzare la vostra attività e in termini di posizionamento sul mercato?

I premi sono innanzitutto una gratificazione per il birraio e per il suo lavoro. Quest’anno siamo stati premiati fra i migliori 60 birrifici in Italia dalla Guida Slow Food, nella categoria “Birrificio Eccellente”, oltre ad altri premi per due nostre birre. Nel 2021 abbiamo ricevuto il 3° posto per la Mojo, un’American Pale Ale, al concorso più importante a livello italiano “Birraio dell’anno”. I riconoscimenti fanno bene alle vendite, alla reputazione nel mercato delle birroteche indipendenti e tra i distributori. Ma i nostri “cavalli di battaglia” restano le birre storiche di Basei che i clienti chiedono sempre.

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Per quanto riguarda la comunicazione, il sito internet e il marketing, sei seguito da qualcuno?

Sin dall’inizio mi sono affidato a un’agenzia di comunicazione, che è stata fondamentale per la costruzione e lo studio dell’immagine e della brand identity di Basei.

Parlando di prodotto, hai fatto delle scelte specifiche?

Sì, diverse. Ho selezionato, scelto e studiato sempre l’acqua, i luppoli, i malti e, infine, il lievito che è un elemento importantissimo per la produzione della mia birra.

Hai mai fatto dei video sulla tua storia o tutorial sulla birra?

Video tutorial no perché ce ne sono già tanti del settore. Mi piacerebbe implementare Instagram con delle sezioni ad hoc, reel o storie, nelle quali racconto la mia storia e la mia birra.

«Io sono Basei, e questa è la mia passione». Quanto è importante “metterci la faccia” – anche nelle etichette – e quali canali vorresti sperimentare per migliorare la presenza del tuo brand personale?

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Il mio logo è diretto e molto comunicativo. Ho sempre pensato che se il prodotto non piace, c’è la mia faccia: per questo voglio sempre il meglio per i miei clienti. Sono io l’omino che vedete nell’etichetta da cui è iniziato tutto, tramite la mia ingegnosità creo la birra e il messaggio è “La birra è dentro di me”. Nel 2021 c’è stato un altro passaggio importante per la nostra identità: quando siamo passati alla lattina hanno preso vita i vari personaggi che si trovano nelle etichette e che danno il nome alle birre: Basei, Cigo, Nino, Matnik, Mojo, Baru, Big Joe, Franko, Daina.
Credo che i social siano il canale migliore per far conoscere il brand Basei, ma servono persone specializzate e competenti.

L’estate scorsa avete fatto dei tour alla scoperta della natura e poi del birrificio. Avete altri progetti in vista?

Sarebbe interessante aprire un franchising. Vorrei seguire il modello americano, che qui in Italia è rappresentato da Baladin, cioè essere “local” e fare un upgrade dell’impianto cottura per aumentare la produzione. Per quanto riguarda invece i tour, qui in Friuli Venezia Giulia è difficile far capire che anche dietro la birra artigianale c’è cultura, non solo nel vino. Vedremo in futuro.

Come sei arrivato a coronare il tuo sogno? Che messaggio vorresti condividere con chi vuole aprire un’attività?

L’insegnamento principale arriva dalla famiglia: dedizione al lavoro e sacrificio. In questo periodo, in Italia, non è tutto facile come sembra: spesso mi chiedo se sia il momento migliore per aprire qualche attività… Allo stesso tempo, soprattutto ai giovani, dico di studiare, impegnarsi molto e di perseguire le proprie idee con determinazione, anche se non si ha le spalle coperte.

 

Patrizia Tonin

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