Neurologa, specializzata in medicina riabilitativa, autrice di cinque libri e di 120 articoli su riviste internazionali. Con oltre 25 anni di professione, Anna Cantagallo ci spiega perché lo studio delle neuroscienze è funzionale a costruire un’efficace strategia di personal branding. Gli esempi di Giovanni Rana e Coco Chanel.
Marketing e neuroscienze: la brand image più efficace? «Quella capace di stimolare i tre cervelli, che ci faccia apparire così come siamo, dia informazioni anche su come viviamo, dove lavoriamo e sappia bilanciare storia e futuro, quindi passato e innovazione».
Il consiglio viene da Anna Cantagallo, neurologa, specializzata in medicina riabilitativa, dal 2011 direttore scientifico e cofounder di BrainCare (una realtà che si dedica alla stimolazione, al potenziamento delle capacità cognitive delle persone, in ogni età della vita), autrice di cinque libri, oltre centoventi articoli su riviste internazionali e cinque test di autovalutazione neuropsicologica, coproduttrice di due cortometraggi dedicati alla memoria (ai suoi disturbi e al percorso necessario al recupero) che abbiamo intervistato per sapere cosa possano fare un’azienda, un imprenditore, un libero professionista per costruire un’immagine di successo e cosa tecnicamente avviene nella testa di un consumatore o un cliente quando viene rapito da una brand image efficace.
La neurologa, che nella sua esperienza professionale lunga oltre venticinque anni può vantare collaborazioni con istituti di ricerca internazionali (Trinity College di Dublino, New York University, University of California Los Angeles), oltre alla cura di un paziente famoso, si affretta a dire: “Per costruire una brand image che funzioni è necessario capire qual è il target, quindi sapere a chi ci rivolgiamo. L’errore più comune – che fanno gli imprenditori e i liberi professionisti – è voler fare presa su tutti. Ma non è così che funziona. Per arrivare al tuo cliente, devi conoscerlo. Da lì dovrai partire per costruire una immagine che rifletta quello che sei naturalmente e sempre, nella tua vita privata e in quella lavorativa. Occorre agire sui tre tipi di cervello che abbiamo.
Subito una curiosità sul suo paziente più famoso: Federico Fellini.
Sì, era il 1993 ed il regista ebbe un ictus mentre era al Grand Hotel di Rimini. Dopo essere stato nel reparto di neurologia di quella città, fu ricoverato all’ospedale di Ferrara dove lo seguii per due mesi nella riabilitazione motoria e cognitiva. L’ictus gli aveva paralizzato la parte sinistra del corpo e prodotto un deficit di attenzione per la parte sinistra dello spazio.
Riprendiamo il nostro discorso sulla brand image. Andiamo con ordine: ci spiega cosa sono questi tre cervelli?
Noi abbiamo un cervello primitivo che è l’istinto, quello che agisce senza mediazioni e non sbaglia mai. È quello che sa vedere quando un comunicatore finge. Poi c’è il cervello limbico, quello delle nostre emozioni, di cui noi siamo consapevoli: si attiva quando per esempio, siamo davanti a un pubblico e cominciamo ad avere la gola secca. Per finire, c’è quello razionale, quello che alla fine ci spinge a tirar fuori la carta di credito e comprare. Venendo alle sue curiosità, su come un imprenditore o un libero professionista debbano costruire la propria immagine per essere subito associati a quello che vendono o a ciò che producono, è necessario che non ci siano finzioni. Bisogna essere sempre se stessi. Il primo cervello s’accorgerebbe della menzogna. Per vendere una dieta non devi essere in sovrappeso. Dunque, fondamentale la continuità tra quello che sei e quello che produci e vendi. Poi bisogna aggiungere informazioni che stimolino le emozioni, magari parlando dei nostri gusti, di come e dove viviamo.
Un esempio?
Beh, il mio studio, che è pieno di opere d’arte. A me piace l’arte e da me sono attratti molti artisti, che spesso mi lasciano le loro opere. Continuiamo. La brand image deve agire anche sulla parte razionale, la corteccia. Se io promuovo la divulgazione delle neuroscienze devo supportare le mie lezioni – sui social o in tv nei programmi a cui partecipo – con bibliografia e letteratura scientifiche. Così divento più credibile agli occhi di chi non è del settore e convinco la parte razionale, che è quella che fa l’ultima scelta.
È bene che sia l’imprenditore a metterci la faccia o è preferibile ricorrere a un testimonial e senza distinzione tra servizi e prodotti?
Occorrono tutte e due le soluzioni. L’importante è che siano coerenti con quello che sono e fanno al lavoro. Giovanni Rana è l’esempio riuscito di un imprenditore con la faccia onesta, pulita, l’ideale per vendere la pasta fatta in casa. Insomma, tale faccia tale pasta.
Cosa avviene nel nostro cervello quando ci prende una brand image?
Intanto il nostro cervello agisce con il sistema della ricompensa, che ha vita breve. Se mangiamo un gelato, ci sentiamo subito soddisfatti. Ma la soddisfazione dura poco. Per invogliarci a comprare altro gelato e fare in modo che teniamo in memoria più a lungo il ricordo piacevole di quel gelato, è necessario che la brand image di colui che lo produce sia in qualche modo multisensoriale – certo, laddove sia possibile – e ripetuta nel tempo. Più informazioni diamo, più la nostra memoria conserverà meglio il ricordo di quello stimolo piacevole. E questo perché non tutti riusciamo a ricordare nello stesso modo. È come avviene per una pubblicità bombardante, ripetuta, che stimola più sensi e per questo viene ricordata di più. Tecnicamente, quando una brand image o un prodotto ci colpiscono, cambiamo la velocità del respiro, del battito cardiaco, cominciano a sudare le nostre mani, possiamo provare il senso dell’acquolina in bocca.
Quando una brand image è consolidata, meglio non cambiare strategia?
Se faccio la divulgatrice neuroscientifica non posso parlare di tutto quello che si sapeva sino a qualche anno fa del cervello. Devo aggiornarmi. Quindi storia deve associarsi a ricerca e innovazione. Prendiamo il fantastico esempio di Coco Chanel, che mi rappresenta. Un capo della maison si riconosce anche oggi che siamo nel 2022. Al suo stile si associa la ricerca dei tessuti nuovi. Dunque, una brand image deve costruirsi su passato e futuro.
In quanti la seguono sui social?
Abbiamo 11mila iscritti sulla pagina Mente Giovane di Facebook, novemila su quella di BrainCare e 3 mila in una community chiusa, che è lo zoccolo duro dei miei seguaci. Le interazioni, grazie al lavoro di un gruppo editoriale di tredici persone che mi seguono, sono costanti. Ai miei follower regalo pillole per scoprire Quel tesoro del tuo cervello, per riprendere il titolo del mio libro, uscito da poco in due volumi. Nelle mie dirette riprendo parti dei miei studi e delle ricerche, dei miei libri, come, appunto, gli ultimi due testi (sedici capitoli in tutto, otto nel primo, otto nel secondo), che sono un viaggio a tappe nel nostro cervello. Si parte da percezione, attenzione, memoria per arrivare alle sfere più alte: creatività e spiritualità. Il cervello è una realtà ancora misteriosa e tanto utile a capire la nostra realtà. Come dico spesso, la nostra mente semplifica quello che la natura ha magnificamente reso complesso.
Ultima curiosità: nel suo lavoro dedica un capitolo al pensiero positivo. Una scorciatoia non superficiale che può farci correre il rischio di vedere pericoli?
Ma no, bisogna essere ottimisti. E il pensiero positivo è quello di chi è consapevole non solo della complessità e spesso difficoltà della vita, ma anche delle proprie capacità per affrontare i problemi. Il pensiero positivo non è banale, non è superficialità. È al contrario consapevolezza piena di sé e fiducia nelle proprie abilità.