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Angelo Deiana: «Visione d’insieme e apertura al confronto per fare education for profit»

di Francesco Fravolini
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Il presidente di Confassociazioni, esperto in economia della conoscenza e dei servizi finanziari, utilizza il proprio brand personale (talk televisivi, scrittura di libri, contributi editoriali) per creare consapevolezza in ambito associativo, fornendo spunti per analisi e approfondimenti. Pensando a Expo 2030 perché «non si vince più da soli».

 

Confassociazioni vuole tutelare e promuovere il sistema associativo delle professioni e delle imprese. Questo impegno è fondamentale per valorizzare il ruolo nel sistema costituzionale, legislativo, economico e sociale italiano, senza tralasciare i corrispondenti ambiti europei. Nell’attuale momento storico internazionale dove la pandemia ha rivoluzionato l’economia è importante comprendere le esigenze delle imprese e dei professionisti, per favorire una ripresa economica che possa rilanciare lavoro e produzione. Ed è proprio per seguire questi obiettivi che la Confederazione non intende perseguire finalità politiche e religiose, impegnandosi in prima linea a garantire, nei confronti dei soggetti confederati e nel rispetto dei loro statuti, la piena trasparenza nella gestione organizzativa, senza dimenticare la conduzione amministrativa.

Angelo Deiana, Presidente di Confassociazioni, Anpib (Associazione Nazionale Private & Investment Bankers) e Ancp (Associazione Nazionale Consulenti Patrimoniali), è considerato uno dei maggiori esperti di economia della conoscenza e dei servizi finanziari e professionali in Italia. Portatore di visioni innovative in termini di reti fisiche e tecnologiche, top manager di primari gruppi bancari nazionali e internazionali, docente universitario, è autore di numerose pubblicazioni. Fra le ultime opere ricordiamo Fintegration. La trasformazione digitale del sistema bancario, Web Reputation, Rilanciare Roma facendo cose semplici. Attualmente è Vice Presidente di Auxilia Finance, Docente di Finanza Strutturata e di Progetto alla Facoltà di Ingegneria dell’Università di Parma, e Docente di Finanza e Venture Capital alla Facoltà di Economia dell’Università Mercatorum.

Presidente, Confassociazioni in che modo suggerisce soluzioni all’economia italiana?

«La nostra Confederazione è una piattaforma in cui, collaborando sinergicamente, tutti i partecipanti (professionisti, manager, imprese) creano nuove prospettive per la crescita del sistema Paese. D’altra parte, il capitalismo intellettuale è caratterizzato da processi basati sull’economia della conoscenza e della reputazione dove lo scambio di know-how tra soggetti diversi non è visto come una competizione negativa, quanto piuttosto come un grande meccanismo a rete di collaborazione. È un modello simile a quello delle università americane (ma non solo) che fanno “education for profit”. Noi facciamo ‘rappresentanza per lo sviluppo’ perché questo mondo produce idee, progetti, soluzioni e Confassociazioni le mette a disposizione ‘gratis’ delle reti circostanti (istituzioni, politica, grandi aziende, banche a prescindere da qualsiasi posizione e da qualsiasi provenienza)».

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Giovani, professionisti, imprese subiscono un costante cambiamento perché la formazione rivede la sua modalità. Dove è necessario intervenire per garantire un’adeguata crescita culturale?

«Dalle basi. Questo Paese deve provare a recuperare (e, magari, ampliare) le leadership culturali che aveva e che, per molti versi, ha perso. Grazie allo tsunami digitale che stiamo vivendo abbiamo sicuramente più opportunità di imparare, ma dobbiamo cercare di farlo per essere competitivi a livello mondiale nella cultura, nella ricerca, nella conoscenza. Ad esempio, dovremmo organizzare a Roma (che è già la Capitale della Storia e della Cristianità e lo vedremo, ancora una volta con il Giubileo del 2025) un confronto strategico tra le migliori menti sul futuro del mondo. Per cui bene gli Europei di nuoto o la Ryder Cup ma, anche per preparare un’eventuale Expo 2030, dovremmo iniziare da subito a programmare una grande Conferenza annuale sulla conoscenza sul modello Davos. Bisogna fare trend perché le giovani generazioni devono trovare esempi e modelli positivi a cui ispirarsi».

Il valore aggiunto del sistema associativo come interviene a beneficio delle imprese aderenti a Confassociazioni?   

«Mettendo a fattor comune l’esperienza e la visione del sistema azienda di tutti noi così da stimolare ulteriori azioni e accelerare la rinascita del sistema delle imprese. Noi cerchiamo di dare risposte concrete e semplici a tutti i nostri associati, aiutandoli a innovare le competenze manageriali e i relativi modelli di business. Senza dimenticare che l’uso intelligente della Rete offre l’opportunità alle PMI di farsi conoscere oltre la dimensione locale su una scala impossibile in precedenza. La comunicazione real time di questa fase sta facendo in modo che non il più grande, ma il più veloce abbia un vantaggio competitivo. Per questo ci definiamo ‘la rete delle reti’, ovvero una grande community di business che, oltre a fare rappresentanza, fa rete tra le imprese e tutti i soggetti associati per implementare i loro processi di crescita».

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Photo: Unsplash / The Climate Reality Project

L’emergenza sanitaria della pandemia in che modo ha stravolto socialità e cultura?

«Sulla nostra pelle abbiamo compreso che pandemia, guerra e altri fattori di incertezza si sommano ai processi evolutivi dell’innovazione tecnologica. Tutto questo produce una spinta globale che è difficilissima da controllare perché il nostro mondo non solo diventa ogni giorno sempre più complesso, ma ha bisogno di modi innovativi per fare business ed essere governato. Oltretutto dobbiamo anche considerare che, nel sistema delle reti globali, i confini sfumano, gli Stati per certi versi tendono a svanire in termini economici e politici, le imprese si dematerializzano (e diventano quasi software), oppure diventano veri e propri Stati paralleli (puro hardware come le Big Tech). Senza dimenticare che la pandemia, soprattutto nella prima fase, ci ha costretto a quello che può essere definito il più grande esperimento sociale della storia: quattro miliardi di persone in lockdown quasi totale, che facevano relazioni, affetti e business solo attraverso la rete. Un’accelerazione straordinaria da cui non si torna indietro».

Il mondo associativo che ruolo assume nell’attuale periodo storico?

«Tutto dipende da quanto crediamo nella forza della sinergia e della condivisione. Viviamo in un mondo complesso e interdipendente in cui l’economia della conoscenza, la globalizzazione competitiva e la diffusione delle nuove tecnologie di rete hanno prodotto cambiamenti epocali. È fondamentale, dunque, pensare e agire in modo diverso ed è quello che fa Confassociazioni con il suo principio cardine: non si vince più da soli. O vincono tutti oppure non vince nessuno. Noi lo diciamo e lo facciamo. Per questo i numeri raggiunti in soli 9 anni ci premiano: 739 organizzazioni che riuniscono più di 1 milione e 259mila iscritti di cui oltre 213 mila imprese con 5,3 dipendenti medi».

Lei in che modo valorizza il brand di Confassociazioni nel contesto sociale ed economico?

«Quando in una rete si hanno a disposizione tante professionalità competenti, buone pratiche e uno spirito interno che favorisce costantemente sinergie sia nazionali sia internazionali, diventa tutto più facile. Per questo sono e resto solo un umile operaio della vigna di Confassociazioni. Sono i nostri professionisti, i nostri manager, le nostre imprese (e la loro reputazione) il valore concreto e pragmatico del nostro brand. Quello che determina il nostro successo».

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Photo: Unsplash / Ian Schneider

Quali asset hanno bisogno di profonde trasformazioni per evitare derive economiche future?

«L’orizzonte è ormai chiaro: il livello di maturità delle competenze professionali e digitali, le logiche di costruzione costante di processi di redditività con infrastruttura tecnologica a supporto, l’attenzione alla valorizzazione delle risorse umane in rete, rappresentano l’orizzonte vero della consulenza prossima ventura e il “nice to have” che tutto il sistema Italia dovrebbe perseguire nei prossimi anni».

Spesso è importante metterci la faccia per risolvere problemi a beneficio dell’Italia. La sua professionalità come interviene nel dibattito sociale ed economico?

«Cercando di dire in maniera semplice e comprensibile a molti le cose come stanno e invitando, senza alcun piglio polemico o di scontro, al confronto e al dialogo. Partecipare ai tanti talk di informazione televisiva come pure scrivere libri oppure altri contributi nei diversi magazine con cui collaboro ha un duplice compito. Da una parte, favorire una visione di insieme che cerca di creare consapevolezza in Confassociazioni; dall’altra, utilizzare il confronto continuo con le tematiche e gli esperti mi offre ulteriori spunti di analisi e di approfondimento. Come dicevamo, aspirare a raggiungere la leadership culturale sempre e comunque».

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Quali sfide future prevede per Confassociazioni?

«Tante, nel breve e nel lungo periodo. Cavalcare l’onda dell’economia della conoscenza, cogliere le opportunità e stringere sinergie con altri importanti stakeholder. Continuare la nostra crescita, non solo in Italia ma anche a livello internazionale, sempre uniti e sempre intenzionati a dare concretamente, con soluzioni semplici, gli strumenti e le professionalità necessarie per il rilancio del nostro Paese. E di tutti noi che ne siamo i cittadini. Perché quello che conta è sempre e comunque il benessere delle persone».

 

Francesco Fravolini

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