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Alfredo Accatino: «Con i miei libri riscopro l’identità degli artisti dimenticati del ‘900»

di Agnese Azzarelli
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Tra i più importanti creativi italiani, Alfredo Accatino è autore di grandi eventi internazionali come le cerimonie dei Giochi Olimpici (e Paralimpici) di Torino 2006, e dell’Expo Milano 2015. Oltre che direttore creativo e partner di Filmmaster, Accatino è scrittore, sceneggiatore, autore di programmi televisivi, libri umoristici e pubblicazioni sul tema della comunicazione e delle arti.

 

La prima causa di morte è la vita.

 

Il tuo volto è noto, eppure forse non tutti sanno che su pagine social e su di un blog ti prodighi per far conoscere opere di artisti sconosciuti ai più: dall’arte grafica a quella pittorica, dall’arte scultorea alle curiosità. Come si conciliano studio e vita lavorativa?

Due vite che sono complementari e fondamentali, anche perché il mio lavoro di creativo è bellissimo quanto stressante, e posso affrontarlo al meglio (e sopravvivere) proprio quando posso ricaricarmi nelle ore libere, di notte, in trasferta (sono arrivato a passare 200 notti in hotel/anno) scrivendo di cose inutili e meravigliose come l’arte. Mi piace inoltre recuperare la creatività perduta, rendere omaggio ai dimenticati, a coloro che per mille motivi sono stati ingiustamente messi da parte. Si creano poi in maniera spontanea reti di persone straordinarie, accomunate da passione e curiosità, che spesso ritrovo nella vita reale. I social, se li usi bene, sono uno dei più grandi piaceri della storia.

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Photo – Antonio Barrella

Propongo di parlare dei tuoi OUTSIDER: hai mai pensato di bussare a una delle loro porte? A qualche d’uno di loro avresti mai dato un consiglio?

Con tanti di loro. In particolare, con Dick Ket, l’ho anche dichiarato nel libro. Un artista olandese vissuto agli inizi del ‘900, recluso in casa con una grave patologia cardiaca, che non ha mai perso la voglia di sorridere, anche in punto di morte. Ma mi sarebbe piaciuto frequentare anche Stefano Tamburini e Andrea Pazienza per poter vivere con lui e il suo gruppo gli anni liberi della satira e della controcultura de Il Male e Frigidaire, prima che il conformismo ci mettesse il bavaglio. Anzi, dico di più, mi taglierei il dito mignolo della mano sinistra per passare una notte nel 1927 a Berlino, a Parigi, e Roma. Nel nuovo volume OUTSIDERS 3 che uscirà a marzo-aprile ho fatto però un passo avanti e ho bussato alla porta anche di artisti viventi, anomali e folli. A ognuno di loro darei un consiglio, ma già lo so che non mi ascolterebbero…

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Cesare Sofianopulo, “Maschere”, 1930 (Museo Revoltella, Trieste)

Artisti geniali del Novecento, originali, puri, unici, diversi, che non troverete – quasi mai – nei manuali di storia dell’arte. Cos’è andato storto?

La prima causa di morte è la vita. Non c’è niente da fare, soprattutto in un secolo come il ‘900 che ha visto due conflitti mondiali e 157 guerre “locali”, dove ci sono state persecuzioni, crisi economiche, epidemie, scontri tra diverse visioni del mondo, persecuzioni per idee politiche o anche solo scelte sessuali. Se dovessi però tracciare una mappa degli autori li dividerei in 5 aree: 1 – Quelli che non ce l’hanno fatta. 2 – Quelli che ce l’hanno fatta e si sono distrutti. 3 – Quelli che potevano farcela e la storia li ha annientati. 4 – Quelli che erano troppo avanti o troppo diversi per poter essere assimilati. 5 – Quelli che sono rimasti soli.

Io prenderei come esempio, tra i tanti, Hilma af Klint. Una donna relegata alla solitudine del proprio appartamento lascia in eredità al nipote milleduecento dipinti, centoventicinque taccuini e ventiseimila pagine di note biografiche; con l’espresso legame testamentario di non diffonderli, se non a vent’anni dalla sua morte. La prima donna ad esplorare l’astrattismo. Perché lo faceva? Cosa la spinse a produrre, così copiosamente, nel segreto del suo appartamento, lontana dai riflettori?

Hilma af Klint è una delle scoperte che porterà a riscrivere i testi di storia dell’arte, essendo non sono la prima donna a produrre arte astratta, ma probabilmente il primo astrattista in assoluto. Lei lo fece realizzando opere gigantesche, quasi mossa da uno spirito guida, ma al di là delle teorie spiritiste, sembra anticipare realmente l’arte di 50 anni.

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Hilma af Klint

Pensate che era così convinta che i suoi contemporanei non avrebbero compreso la sua creatività che lasciò scritto che le sue opere, rinchiuse in casse, dovevano essere aperte solo decenni dopo la sua morte. Ne scrissi tra i primi in Italia anni fa, poi è stata recentemente esposta al Guggenheim di New York. Quello che inoltre ho toccato con mani, che sarebbe veramente illuminante da esplorare in un rapporto tra critica dell’arte e antropologia, è perché le origini dell’arte astratta si collochino sempre nell’estremo nord dell’Europa, a pochi passi dal Polo Nord, in un unico filo conduttore che unisce, con storie differenti, August Strindberg (scrittore e pittore da riscoprire), Hilma af Klimt, Mikalojus Konstantinas Čiurlionis (musicista), Kandinskij in un arco di pochissimi anni.

Quelle che tu narri non sono parabole di artisti che hanno fatto del successo la loro prima ragione. «Persone vere, ancor prima che artisti, che tornano in vita e si siedono tra noi e hanno tante cose da dire». Personalità alle volte scomode per il loro tempo. Nella tua storia fanno capolino un falsario, una donna innamorata del Führer, un artista olandese affetto da una forma di autismo. Di quest’ultimo lo facciamo il nome: Willem van Genk. Viene incluso nell’Art Naïf encyclopédie mondiale, ma rifiuta di farsi fotografare. Con Willem, in un’ottica di personal branding ante litteram, qualcosa sarebbe andato storto, se non fosse che il suo distintivo impermeabile in pelle nero di certo non passava inosservato… C’è qualche consiglio che potremmo dargli o qualche d’uno che lui potrebbe dare a noi?

Consiglio di cercarli, perché vivono tra noi, esistono, e spesso sono lasciati soli. Il mondo non ha bisogno di eroi, e come dico sempre: «Se ami l’arte, acquista arte». A un artista morto, il denaro non serve.

E anziché distribuire redditi a casaccio, aumenterei fortemente la dotazione della “Legge Bacchelli”, creata per aiutare artisti, scrittori, intellettuali, che vivono momenti di vera difficoltà economica, nella vecchiaia, dopo una vita dedicata a creare. Come per il caso di Fausto delle Chiaie, il grande maestro che ogni giorno apre una galleria a cielo aperto dietro l’Ara Pacis a Roma, oggetto di una petizione in tale senso, che mi permetto di segnalare.

Non sempre schivi, ma dediti ad un’attività che, seppur a volte arrivi a sfiorare il business, sembra rispondere a logiche altre, sul fil rouge di continui rimandi al sentimento della vita che ognuno di loro ha. Qualcuno ci prova a fare della propria arte un business, come George Ohr, vasaio di Biloxi, il quale chiede cento dollari, all’inizio del Novecento, per i pezzi che ama di più, senza riuscire a venderli. Accanto alla sua originale produzione di vasellame, realizza selfie bizzarri. Protagonisti i suoi baffi, lunghi diciotto pollici. Una storia da manuale sui generis?

George Edgar Ohr (1857-1918) è stato un ceramista americano visionario, che operava nel profondo sud degli Stati Uniti. Anche lui vicino, 50 anni prima, ai lavori di Lucio Fontana o alle “plastiche” di Gaetano Pesce. In questo trovo che ci sia una magia.

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George Edgar Ohr

Veniamo ad oggi. Tu hai scritto una lettera aperta ai creativi. Cito: «In Italia non esistono cifre che dicano quanti siano i professionisti della creatività. I “creativi”, semplicemente, non esistono. Eppure siamo quelli che costruiamo, ogni giorno, immagini, sogni e tendenze. Quelli che progettano le piattaforme dove ci si confronta. Che creano stili, storie e visioni da condividere. Disegnano il presente». Ancora: «Facciamo un lavoro anonimo», «rappresentiamo l’identità storica della nazione, il made in Italy, quello che ancora ci garantisce un minimo di credibilità nel mondo». Cosa proponi, non dico per arrivare a comparire nei manuali di storia dell’arte, ma per avere un riconoscimento ora e subito, per uscire dall’anonimato?

Credo che la creatività debba essere valorizzata in Italia molto di più di quanto non lo sia, perché è uno dei fattori che ci ha permesso di risollevarci in ogni secolo della storia, e di creare nell’ultimo secolo il “Made in Italy “di cui andiamo così fieri. Dovrebbe essere tutelata nel diritto d’autore, anche nelle nuove forme espressive e commerciali, da sempre ignorate e in fondo, disprezzate. Con Filmmaster da un quarto di secolo rappresentiamo l’Italia nel mondo nei grandi eventi internazionali, dalle Olimpiadi (Torino 2006 e Rio 2016) all’Expo, a Milano come a Dubai. Siamo un’eccellenza, eppure in questo percorso non abbiamo mai avuto un supporto a livello internazionale. Eppure, alcuni dei migliori talenti sono italiani. Su questa strada c’è ancora moltissimo da fare.

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Questa lettera è un manifesto pratico. Tornando al principio: troppo spesso studio e vita lavorativa si alimentano ognuna di vita propria. Il tuo è un esempio di chi ha fatto della creatività il proprio business. Forse anche sulla scorta degli insegnamenti dei tuoi OUTSIDER, quali i programmi futuri o in corso per ciò che attiene la tua attività professionale?

Per quanto riguarda la scrittura, dopo Outsiders 3 e possibili edizioni estere, a settembre uscirà un mio romanzo dedicato al mondo dell’arte ambientato nel mondo delle avanguardie. E sarà per me, ovviamente, una nuova sfida. Nel mondo degli eventi saremo invece impegnati con Filmmaster nella realizzazione di un nuovo museo a Genova, e come sempre a portare il lavoro italiano nel mondo.

 

Agnese Azzarelli

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