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Alessandro Rimassa: «Amo fare auto-challenge del mio status quo e raccontarlo all’esterno»

di Sara Tamburini
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Esperto di future of work e digital transformation, è autore di sette libri (fra i quali due romanzi). «Curo il mio brand personale raccontando la crescita che ho maturato nei diversi progetti da imprenditore. TikTok e YouTube? Meglio LinkedIn»

Definire Alessandro Rimassa un imprenditore, “seppur tardivo”, come lui stesso si definisce, è davvero riduttivo. Milanese, classe ’75, dopo alcuni anni passati più all’estero che in Italia, ha deciso di vivere nella sua città natale che gli piaceva “anche in tempi non sospetti”.

Esperto di future of work e digital transformation, autore e scrittore con una profonda passione per il tech, ma con la consapevolezza che la persona deve essere sempre messa al centro. Dopo numerose esperienze in diverse realtà, Alessandro ha co-fondato la Talent Garden Innovation School che ha guidato per anni e successivamente ha fondato altre due aziende tra cui oggi si divide: la prima è Radical HR, una piattaforma che mette a disposizione corsi di formazione on demand, webinar e guide dedicate agli HR.

«Desidero aiutare chi si occupa di risorse umane a trasformare le proprie organizzazioni. Mi piace aiutare le aziende italiane a cambiare il modo di lavorare, per adattarle al futuro del lavoro, mettendo sempre più le persone al centro e tenendo conto dell’importanza del wellbeing e dello smart working».

L’altra società è Happy2C, una piccola holding di investimento in start up con progetti interessanti, che vengono supportate nella costruzione del nuovo business.

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E tra tutte queste attività, come gestisce il suo brand personale di manager?

Amo fare auto-challenge del mio status quo e raccontarlo all’esterno. Sia durante l’avventura con Talent Garden – che adesso con Radical HR – utilizzare il mio brand personale mi ha permesso di contribuire allo sviluppo e al posizionamento dell’azienda. Lavoro sul personal branding non tanto per raccontare una storia teorica ma per condividere il mio percorso di imprenditore e di manager, di studioso e di scrittore. Non parlo tanto delle mie skill da imprenditore, quanto della mia continua crescita professionale e personale. Lo utilizzo per raccontare cosa faccio, quel che studio e sperimento, per poi mettere a disposizione della mia azienda tutto questo. Non è racconto fittizio ma reale di ciò che sono, ciò che faccio e ciò che provo a diventare ogni giorno.

Secondo lei i professionisti italiani sanno fare personal branding? In cosa sono bravi e in cosa potrebbero migliorare a suo avviso?

Da una parte esistono tanti professionisti di grande valore che non sono abbastanza bravi nel raccontare ciò che fanno: ed è un peccato perché, se lo facessero, creerebbero contenuto di valore permettendo alla comunità di crescere più velocemente. Dall’altra, ci cono professionisti di dubbio valore, ma bravi a raccontarsi. Mi piacerebbe che la comunicazione non fosse considerata un aspetto a sé ma come costruzione del valore di ognuno di noi.

Che rapporto ha con i social?

Ho un rapporto divertito con Instagram, sopito con Facebook, mai nato con TikTok e ho la speranza di flirtare con YouTube, ma alla fine non ci riesco mai. Io per il mio personal branding ho scelto LinkedIn, lo coltivo lì perché è da quel canale che sviluppo business. Uso gli altri social come passatempo, però credo che ognuno debba trovare il media giusto per sé e per quello che deve comunicare.

So che ha scritto diversi libri, ce n’è uno a cui è più affezionato?

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Bella domanda! Ho scritto sette libri e adesso sto per scriverne uno nuovo. Penso che il bello di pubblicare un libro sia avere la possibilità di veicolare alla community – composta da lettori vecchi, nuovi e potenziali – dei contenuti che in qualche modo sono stati rilevanti per te e che tu hai avuto la possibilità di approfondire: quindi credo che ci sia il libro giusto per quel momento. Scrivere un libro nasce sempre dalla necessità e dal bisogno e dalla voglia di prendersi e condividere ciò che si sa e ciò che si è scoperto. Io ho scritto due romanzi, “Berlino sono io” e “Generazione mille euro” (da cui è stato tratto l’omonimo film, ndr), mentre tutti gli altri sono saggi: chiaramente i romanzi sono più divertenti mentre la saggistica è senz’altro più impegnativa. Probabilmente rimarrò sempre più legato a “Generazione mille euro”: del resto si sa il primo figlio è un reale changer nella tua vita. Forse il libro a cui sono più affezionato non sarà neanche il prossimo, ma quello che devo ancora scrivere: lo farò al prossimo cambio di vita.

Sono previsti cambi?

Penso che la vita sia fatta di stagioni: ho avuto una stagione in cui mi sono occupato di contenuti, quella in cui mi sono occupato di imprenditoria e penso che in futuro, tra qualche anno, ci sarà una nuova stagione, e quindi nuove sfide. In una vita meno frenetica mi piacerebbe tornare a scrivere romanzi, oggi non ho la testa né la concentrazione per farlo.

Mi parlava di stagioni. Qual è stata la più grande soddisfazione in questa stagione?

Far crescere le persone intorno a me, sempre: oggi guardo l’azienda e vedo donne e uomini in costante crescita che stanno contribuendo a fare da system integrator tra persone e processi. Se fai l’imprenditore o il manager, la più grande soddisfazione è vedere che ci sono gli altri, permettere loro di liberare il proprio potenziale.

Che consigli darebbe a un giovane che vuole intraprendere la sua stessa strada?

Premesso che ognuno dovrebbe seguire la propria strada – e non le orme di qualcun altro – se vuoi costruire una vita professionale piena devi essere curioso, aver voglia di imparare ogni giorno. Per imparare intendo leggere, incontrare persone, origliare le persone che parlano, imparare da quelli più bravi: bisogna essere curiosi e “rubare” o prendere in prestito spunti dagli altri. Stimolare la curiosità aiuta a migliorarsi sempre e a mettere in dubbio ogni giorno ciò che hai imparato per poter approdare allo step successivo. Poi io non sono bravo con l’autocelebrazione: dunque, una volta raggiunto un traguardo, penso già al prossimo. Dovrei invece imparare a fermarmi e brindare, festeggiare. E lo dico sempre alle persone che lavorano con me, perché celebrare i successi ci dà maggiore fiducia per le sfide future.

 

Sara Tamburini

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