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Il patrimonio culturale di Achille Castiglioni, designer e pioniere del personal branding

di Mariateresa Totaro
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Raccontare una vita è difficile, forse quanto viverla. Per questo nessun altro, se non Giovanna Castiglioni, potrebbe raccontare meglio chi era suo padre Achille. Uno degli architetti e designer italiani più famosi nel mondo, inventore di oggetti cult come la lampada Arco o lo sgabello Mezzadro, vincitore di nove Compassi d’Oro le cui opere sono esposte persino al MoMA di New York.

 

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Per tanti Castiglioni e le sue creazioni rappresentano un brand, ma per sua figlia Giovanna si tratta di ricordi di una vita straordinaria. «Mio padre era una persona più che un personaggio. Non si è mai reso conto della fama che aveva raggiunto e onestamente neanche noi abbiamo mai compreso realmente la sua notorietà. Aveva sempre le scintille negli occhi, non è mai invecchiato nonostante avesse 84 anni quando è mancato. Ha conservato il suo sguardo curioso e fanciullesco per tutta la sua vita. La sua forza risiedeva in questa curiosità costante, nel porsi sempre domande sul mondo, sulle persone e su tutti gli oggetti che gli capitavano sottomano». 

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Achille Castiglioni, 1998, nel suo studio di Milano in Piazza Castello 27 – Foto di Hugh Findletar

Castiglioni comincia a lavorare in un primo studio in Porta Nuova con i suoi fratelli Livio e Pier Giacomo all’indomani della laurea in Architettura nel 1944. Si occupa di progetti di architettura, urbanistica, mostre, allestimenti e product design. «Siamo nel dopoguerra, in una Milano bombardata che cerca di rinascere. I periodi di crisi sono così: o rinasci o implodi. E per lui quel periodo è stato fondamentale. Ha avuto la possibilità di lavorare per grandi aziende come Alessi, Brionvega, Cassina, Kartell, Flos, Zanotta. All’inizio della sua carriera non c’erano molti architetti, quindi le aziende affidavano i loro progetti anche a giovanissimi progettisti».

L’allestimento come forma di comunicazione

Pian piano Achille Castiglioni si fa strada nel mondo del design e dell’architettura, ma come si cura il proprio personal brand nel dopoguerra, senza mezzi e senza avere neppure la percezione di quello che si sta facendo? Lui non si ferma mai, partecipa alle Triennali, progetta mostre e lavora di continuo. Si dedica alla progettazione di tanti allestimenti, uno dopo l’altro: «Papà ha capito l’importanza di circondarsi di professionisti. Quando realizzava gli allestimenti per la Triennale, la Montecatini o la Rai, si contornava di grafici, fotografi bravi, allestitori specializzati e questo gli permetteva di ottenere grandi risultati. Il successo di quei progetti faceva sì che venisse richiamato anno dopo anno e così ha iniziato a farsi conoscere, a fare, contestualizzandolo oggi, personal branding».

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Photo: Giuseppe Pino

Ora, però, a curare quel brand e portare alto il suo nome c’è un progetto iniziato quasi per caso nel 2006, poi diventato la Fondazione Achille Castiglioni. Il 2 dicembre di quest’anno saranno vent’anni che Achille Castiglioni non c’è più, ma per conoscerlo e per entrare nel suo mondo basta visitare la Fondazione. In Piazza Castello, a Milano, lo studio, l’archivio, i prototipi, le collezioni di oggetti, i progetti sono tutti lì. Intatti.

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Fondazione Achille Castiglioni – Foto: Annette Cheung

60 anni di professione raccolti in un luogo magico

A curare la Fondazione, oltre ai suoi figli, Giovanna e Carlo (il presidente) ci sono anche Antonella Gornati – che ha affiancato l’architetto per oltre vent’anni e si occupa dell’archivio insieme anche a Noemi Ceriani. «Quando mio padre è morto, mia mamma Irma non sapeva bene cosa fare di tutto questo patrimonio culturale. Non avevamo idea di come renderlo disponibile al pubblico. Io mi sono laureata in geologia e non sapevo che mi sarei dovuta occupare di design. Per me era un papà, un compagno di giochi, un uomo straordinario e per conoscere meglio Achille Castiglioni mi intrufolavo al Politecnico di Milano per seguire le lezioni sulla storia del design. Sicuramente non ha mai capito di esser diventato “un brand”, mentre io e mio fratello sappiamo bene che per tenere viva la sua memoria va seguita una vera strategia tra la comunicazione e le riedizioni dei suoi progetti. Preferisco in questo caso parlare di “Metodo Castiglioni”, perché papà non ha mai fatto una sola tipologia di prodotto e ha lavorato per tantissime aziende diverse». 

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Achille e Giovanna Castiglioni

Le creazioni di Castiglioni ancora affascinano intere generazioni (non solo di designer), ma dietro il brand c’è l’importante lavoro della Fondazione. Un luogo aperto a tutti coloro che vogliono fare ricerca, che accoglie mostre e che continua l’attività del designer milanese: «Qui ci sono tutti i prototipi e questo, ad esempio, ci ha permesso di rimettere in produzione oltre trenta oggetti che non si producevano più o nuovi prodotti come un set da scrittura chiamato “Cento3” prodotto da una start-up italiana, una poltrona-letto o il “kit di vendita” della lampada Parentesi, una delle più famose al mondo. So di avere una grande responsabilità: raccontare mio padre e trasmettere il suo lavoro. All’inizio non sapevo cosa fossero i social, ad esempio, poi da autodidatta ho imparato a utlizzarli. Facciamo quasi tutto da soli in Fondazione essendo persone curiose che amano il lavoro di gruppo. Abbiamo alcuni collaboratori esterni che ci aiutano nella comunicazione, nella parte grafica e ad allestire mostre temporanee. La cosa più bella di quest’attività, però, è accogliere le persone e vederle emozionarsi di fronte agli oggetti creati da mio padre». 

 

Mariateresa Totaro

Photo cover: JB Mondino (proprietà FLOS spa)

 

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